Gugerotti: per i cristiani è tempo di solidarietà, non di schermaglie teologiche

Effettua la tua ricerca

More results...

Generic selectors
Exact matches only
Search in title
Search in content
Post Type Selectors
Filter by Categories
#finsubito

Carta di credito con fido

Procedura celere

 


A colloquio con il prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali che illustra il sussidio pastorale ad esse dedicato per il Giubileo. L’auspicio del porporato che Roma sia ospitale verso i pellegrini di terre martoriate per la guerra: “I luoghi orientali nella ‘caput mundi’ non sono dei ghetti”. Sull’evoluzione degli scenari mediorientali: segni rincuoranti di cui non sappiamo la durata perché “in ogni guerra c’è il mondo”

Antonella Palermo – Città del Vaticano

L’apprensione per i cristiani delle Chiese orientali, in gran parte ridotti in uno stato materiale e psicologico di grande fragilità, a motivo delle guerre che sfibrano il tessuto socio-economico delle aree dove vivono. È quanto emerge dall’intervista ai media vaticani con il cardinale Claudio Gugerotti, prefetto del Dicastero per le Chiese orientali che ha preparato un sussidio pastorale in vista del Giubileo delle Chiese orientali, che sarà celebrato dal 12 al 14 maggio. Uno strumento pensato per questi fedeli ma anche per quelli della Chiesa latina che avrà modo di conoscere così più da vicino la ricchezza delle tradizioni del mondo orientale e ancora assai presenti in Occidente e in particolare a Roma. 

Finanziamenti personali e aziendali

Prestiti immediati

 

Eminenza, l’inizio dell’Anno Santo ha coinciso con la transizione politica della Siria, la tregua a Gaza… come legge questi eventi alla luce del tema giubilare, la speranza, e come pensa possano incidere sul futuro dei cristiani in quelle terre?

Certamente io credo che questi eventi siano proprio il segno di una speranza che sembrerebbe impossibile. Se non ci fosse la speranza, noi non avremmo nemmeno questi piccoli segni di ripresa, di attesa, di possibilità di rincuorare e rincuorarci. Come andranno, difficile saperlo, ma il fatto che ci siano, vuol dire che ci sono delle radici di bene che possono ancora crescere. Speriamo che la forza del bene, come il Papa ripete in ogni circostanza, possa avere la meglio sulla forza del male. Certo è che questi eventi sono il segno, in tutta la loro ambiguità naturalmente, di una possibile attenzione dell’uomo all’uomo, della persona alla persona, come costitutivo fondamentale della creatura umana e in particolare del cristiano o del credente, in generale.

Vale per tutte le aree di conflitto, che il Papa non dimentica mai di citare…

Certo. Ripetere insistentemente, opportune et importune. Questo invito a costituire nella serra che è il mondo un luogo particolare di cura per piante particolarmente fragili – che è appunto il messaggio costante di Papa Francesco – è certamente simboleggiato da questi eventi come un fatto possibile e anche foriero di frutti. Ripeto, quanto siano fragili anche i frutti oltre ai fiori, quanto possano durare, quali interventi possano sussistere, questo è impossibile dirlo perché in ogni guerra c’è tutto il mondo implicato.

Cardinale Gugerotti, perché pubblicare questo sussidio pastorale per le Chiese orientali?

Per elaborare un piccolo strumento ‘esotico’ che esca un po’ dal coro, per far presente una dimensione alla esperienza romana del pellegrinaggio, acquisendo anche delle caratteristiche dalle Chiese orientali a seconda della spiritualità di ciascuna di esse. Quindi, lo scopo è di parlare agli orientali, facendo loro notare che ci sono delle ricchezze specifiche nelle loro tradizioni che il Giubileo può fare emergere con chiarezza, con passione, con entusiasmo anche per i propri fedeli, soprattutto in questo tempo di gravi difficoltà per tutte le Chiese orientali (Medio Oriente, Ucraina, Egitto, Etiopia, Eritrea…). Perché i sussidi, che poi loro stessi elaboreranno, attingano anche da una sensibilità giubilare valorizzando i tesori che hanno. La seconda parte è molto intrigante perché è la storia della Roma orientale. Quel che nasce da una breve sintesi, ma ben documentata, è che Roma ha vissuto costantemente la presenza di orientali e di comunità orientali molto cospicui. Questo riguarda non soltanto l’Impero, ma anche la Chiesa. La Chiesa romana è stata fortemente abitata dalle comunità orientali che hanno conservato a lungo la propria specificità. Stupirà il lettore che undici Papi siano stati greci e che quasi una decina fossero siriaci. Il che significa che si tratta di una presenza non marginale. Roma, caput mundi, era anche una città nella quale si identificano gli orientali come integrati nella sua compagine, e non semplicemente come piccole comunità di emigrati.  

Nel sussidio ci sono indicazioni concrete alle Chiese per vivere questo tempo di grazia con consapevolezza e coraggio ed essere così testimoni credibili della speranza. Ci vuole fare qualche esempio? In quali ambiti ci vuole più coraggio e consapevolezza?

In Oriente ci vuole coraggio a vivere. A vivere oggi giorno nonostante tentino di ammazzarti. È una forma talmente basilare di coraggio che sembrerebbe scontato. Invece, per gli orientali non è per nulla scontato, e per noi potrebbe anche non esserlo in futuro. Il motivo per cui questo documento serve pure agli occidentali è innanzitutto per capire che ci sono delle forme espressive del cristianesimo antichissime, del tempo stesso di Cristo, che noi ignoriamo e che costituiscono l’unità nella diversità dell’identità cristiana. Essa non è monolitica: lo abbiamo visto anche nel recente Sinodo, realtà plurale in cui ci si può anche non capire, non per cattiva volontà ma per diversità di radici. Lo stare insieme, scambiandoci le peculiarità di ciascuno, è stata una delle grandi scoperte del Sinodo. Questo documento ha un po’ lo stesso scopo: far conoscere che su questo tema ci possono essere componenti e sensibilità diverse. Il coraggio è quello che più è richiesto per celebrare il Giubileo. Passare la Porta della misericordia, della speranza, è impossibile in un mondo di morti, che siano morti fisiche o interiori. Io ho l’impressione che molto spesso l’Occidente, con tutte le sue sofisticazioni, sia abituato a parlare come se fossimo un gruppo di vecchie signore che giocano a bridge su un’isola circondata dai caimani. 

Prestito personale

Delibera veloce

 

Intende dire, da una posizione un po’ troppo ‘comoda’?

Sì, siamo abituati a non avere guerre che ci coinvolgano direttamente, ma potremmo averle dopodomani e comunque stanno già dentro i nostri territori. Ci sono tutti i presupposti. Il Papa parla spesso di guerra a pezzi, e adesso i pezzi rischiano di comporsi molto facilmente. Pensate a cosa sta succedendo in queste ore negli Stati Uniti: l’insediamento del nuovo presidente. Tutto il mondo guarda lì. Il messia è considerato questo nuovo evento di cui ognuno pensa che ci salverà, attraverso l’imprevedibilità delle cose e della persona. È come se dicessimo: qualcosa potrà arrivare di buono, visto che ‘peggio di così non può essere’. È curioso il messianismo laico che stiamo vivendo in questo momento. Tutti a guardare a Washington. Ecco, coraggio per gli orientali è sapere che come sempre hanno sofferto, soffrono anche adesso ma questo non li estingue. E noi saremo con loro, nel senso che noi cattolici occidentali non li abbandoneremo, siano cattolici o siano ortodossi. Il cristianesimo è uno ed una è la speranza del mondo. Non possiamo mettere le nostre divisioni in questo momento davanti agli elementi di unità che ci hanno incorporato in Gesù Cristo il quale è uno e non può che essere uno perché Cristo non riusciremo a spezzarlo.

Eminenza, quanto la tradizione del monachesimo orientale, per esempio, può aiutare anche i cattolici della Chiesa latina a vivere il Giubileo con una spiritualità intensa?

Richiedi prestito online

Procedura celere

 

Il monaco è uno che ha preso sul serio il Battesimo. È una persona che ha deciso che il Battesimo è una cosa così grande da essere la preoccupazione fondamentale e la gioia e l’estasi dell’intera vita. Noi abbiamo un monachesimo occidentale e un monachesimo orientale: essi si intendono benissimo perché esiste una antropologia monastica. Qui rimando al lungo paragrafo della Orientale lumen di Giovanni Paolo II sul monachesimo in Oriente. Sono i carismi radicali dei grandi cercatori di Dio. Ecco, chi è il pellegrino del Giubileo se non un cercatore di Dio? E che cosa chiede San Benedetto alla persona che bussa alla porta del monastero? Gli propone di cercare Dio. Il Giubileo è una grande occasione per cercare Dio anche da parte di coloro che non si identificano in termini immediati in una confessione religiosa, un po’ come è successo quando è morto Giovanni Paolo II: eravamo certi che erano venuti molti non praticanti al funerale. Lo stesso fenomeno dovrebbe capitare al passaggio della Porta santa: cioè la capacità di percepire che tutti abbiamo bisogno di una porta di perdono che nello stesso tempo ci configuri (la porta contiene), ci difenda (si può chiudere di fronte al pericolo) e ci faccia entrare in uno spazio di intimità (perché ci obbliga ad essere “dentro” insieme).

Una immagine dell'intervista con il cardinale Claudio Gugerotti, negli studi del Dicastero per la Comunicazione

Una immagine dell’intervista con il cardinale Claudio Gugerotti, negli studi del Dicastero per la Comunicazione

Siamo nella Settimana di preghiera per l’Unità dei cristiani. Nel vostro sussidio si legge: “Oltre alla conversione individuale, sarebbe bene che dalle Chiese fossero coltivati sentimenti e celebrati segni di perdono dato e ricevuto, tanto più profetici nei tempi angosciosi di conflitto che l’umanità sta attraversando”. Quale è la portata di una esplicitazione come questa?

Mi sembra molto importante questo aspetto perché lo vedo di fatto realizzato oggi, soprattutto in Oriente. Tra il popolo cristiano, tranne che in certe alte sfere, le divisioni religiose non sono assolutamente percepite. Insistere e contrapporre la diversità delle Chiese cattoliche di rito orientale tra di loro e la divisione di queste Chiese rispetto alle Chiese ortodosse, da cui la gran parte si originano, è cosa che oggi non possiamo permetterci, mentre lottiamo per la sopravvivenza. Oggi dobbiamo farlo insieme, come cristiani, perché non sappiamo se ci sarà garantita la vita proprio in quanto cristiani. Non lo sappiamo in nessun luogo. Quindi, non c’è tempo per le schermaglie teologiche: è tempo di una solidarietà di sopravvivenza che diventa anche profezia di comunione, come già accadde in passato nei gulag sovietici.

In vista della Quaresima quali sono le vostre raccomandazioni?

Conto e carta

difficile da pignorare

 

Il mondo orientale vive la Quaresima in termini molto rigidi. Una delle cose che appassiona di più gli orientali è sapere quanto tu digiuni. Può essere una domanda ingenua ma, generalmente, sfocia o parte dalla percezione che il digiuno è il segno di quanto prendi sul serio Dio e di quanto capisci che Dio è l’unico essenziale. Per cui devi prendere le distanze da tutti i piccoli idoli che sistematicamente tendono a sostituirlo. Il digiuno è questo, in realtà: l’astinenza da quello che rischia di diventare il centro della giornata, prendendo il posto di Dio. La preghiera e il digiuno, che aumentano in epoca quaresimale, per gli orientali sono la riaffermazione che la vita è di Dio, lo spazio è di Dio. Così come il primo Giubileo nella Bibbia. “La terra è mia, dice Dio nel Levitico, e voi siete tutti servi miei”. Per cui, se tu hai ceduto il tuo terreno, esso torna a te in proprietà, se tu hai dei debiti, ti vengono rimessi. Quanto questo modello sia poi stato realmente applicato è un grande punto interrogativo, ma fa parte della Scrittura questa indicazione secondo cui si torna ogni cinquant’anni all’affermazione che Dio è l’unico. Il settimo giorno Dio si riposò per prendere le distanze dalla sua creazione e per guardarla con compiacimento.

Quindi, non si conosce a sufficienza il patrimonio artistico e culturale delle Chiese orientali?

Non si conosce. Ci fu, decenni or sono, un documento dell’allora Congregazione per l’Educazione cattolica, il quale prescrisse che in ogni seminario latino ci fosse un insegnamento sulle Chiese d’Oriente. Probabilmente è uno dei documenti più disattesi tra i tanti disattesi che sono stati prodotti dalla Santa Sede.

Come mai, secondo lei?

Perché c’è stato un periodo in cui le scienze umane hanno interessato di più come integrazione del curriculum di studi dei seminaristi di quanto potesse interessare la parte storica o filologico-artistica. Per cui è diventato un programma mastodontico, c’è di tutto, però questi aspetti fondamentali per capire il cristianesimo non sono rimasti. Ciò per me è molto grave perché significa una conoscenza parziale della propria identità. E significa anche, potenzialmente, la fonte di polemica dell’uno contro l’altro o, al contrario, il presupposto di un’adorazione estatica dell’altro da sé: entrambi atteggiamenti che non hanno nessun fondamento e non sono affatto utili. Per esempio, l’esaltazione di un Oriente astratto, come alternativa a un Occidente razionale…sono in buona parte luoghi comuni. Vediamo nell’altro, senza conoscerlo, ciò che vorremmo essere noi e non siamo. E così l’altro finisce con l’essere quello che noi pensiamo, perché non ci interessa conoscerlo per quello che è. È una forma di colonialismo culturale, ancora una volta. Inoltre, corriamo il rischio di esaltare alcuni problemi specifici di certe aree geografiche e di pensare che siano universali. Altro insegnamento che abbiamo avuto dal Sinodo: attenzione a non generalizzare, a non pensare che le nostre priorità lo siano per tutti.

Ci sono degli itinerari di pellegrinaggio proposti in questo sussidio per meglio conoscere le tracce di presenza orientale a Roma. C’è un luogo, o dei luoghi, che a lei sono particolarmente cari perché magari vi ha trovato particolare ristoro spirituale oppure per l’originalità delle memorie artistiche e dei retroscena storici?

Tutti i luoghi orientali sono per me significativi. C’è da dire che nel primo millennio fu costruito tantissimo per gli orientali: monasteri, edifici, icone, templi… a partire dal Mille molti sono stati trasformati in luoghi affidati a latini ma le vestigia sono ancora lì. Quando venni a Roma, nell’85, la domenica mi piaceva andare a concelebrare nella chiesa di S. Maria in Cosmedin, affidata alla Chiesa greco-melchita e, siccome la liturgia era in greco, salvo qualche piccola parte in arabo, mi piaceva fare l’esperienza viva di una concelebrazione di questo rito che aveva un fascino particolare, visto anche l’edificio e la sua storia, di frequentazione da parte della grande comunità greca. Poi i miei interessi di armenologia mi hanno portato spesso a visitare la chiesa di San Nicola da Tolentino e di San Biagio della Pagnotta. C’è poi una realtà orientale che continua a Roma anche se è ignorata: abbiamo numerosi collegi abitati da seminaristi orientali (per romeni, ucraini, bizantini in generale, greci, armeni, siro-malabaresi e siro-malancaresi, maroniti…). Per le suore orientali che studiano a Roma qualche anno fa è sorto un collegio apposito. E poi sono stati affidati o costruiti vari luoghi di culto per orientali cattolici ed anche per orientali ortodossi.

Dilazione debiti

Saldo e stralcio

 

Il 19 febbraio ci sarà l’ordinazione episcopale del Sotto-segretario del nostro Dicastero, monsignor Ciampanelli. Lui ha voluto che nella celebrazione in San Pietro cantino i cori dei collegi orientali di Roma insieme con la cappella Giulia, in modo che la voce dell’Oriente e dell’Occidente si fondano in un’unica liturgia di lode all’unico Signore nelle lingue più diverse.

È vero che i Papi costruivano case apposite per accogliere i pellegrini orientali?

Vero. Pensate quanto era viva la sensibilità anche dei Pontefici nel sentirsi in qualche modo responsabili di tutte le espressioni della cristianità dando voce, spazio e aiuto concreto a questi pellegrini che spesso erano poverissimi. E noi auspichiamo che questo Giubileo non porti a Roma solo i ricchi orientali. Oggi la gran parte soffre la fame o la guerra. Desideriamo che i pellegrinaggi delle singole Chiese, anche con il nostro aiuto, possano portare persone che vogliono mettersi in pellegrinaggio verso Roma e che non lo potrebbero fare per la scarsità dei mezzi a cui purtroppo sono stati costretti. Questo mi porta ad aggiungere un invito: quando vedete i gruppi di orientali che celebrano a Roma, andate, anche solo per far vedere che sono accolti. Non sono dei ghetti, non sono neppure luoghi esclusivi dove possono affermare la loro identità. Sono qui per condividere. Ed è il senso dell’ospitalità accettare la condivisione.



Source link

***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****

Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link

Source link

Dilazioni debiti fiscali

Assistenza fiscale