La frequenza degli incendi come quelli di Los Angeles è più che raddoppiata dal 2003 al 2023, si legge in uno studio pubblicato sulla rivista Nature Ecology & Evolution. La colpa è anche del cambiamento climatico, che – tra temperature elevate, siccità e vegetazione secca – crea le condizioni favorevoli alla propagazione delle fiamme. Sulla tragedia in California è già uscito un primo rapido studio di attribuzione, capace di trovare una relazione diretta tra gli incendi scoppiati due settimane fa e il riscaldamento globale di origine antropica.
Dietro a un incendio così distruttivo, però, ci sono tanti fattori da analizzare da diverse angolazioni. Tra questi, anche la tipologia di piante che popolano un territorio. È qui che entrano in gioco gli eucalipti. La loro corteccia, infatti, si secca rapidamente e crea combustibile, viene quindi facilmente catturata dal vento e può essere trasportata a chilometri di distanza, aumentando la vulnerabilità della zona colpita.
Gli eucalipti sono anche molto oleosi, una particolarità che li rende sì profumati, ma anche tremendamente infiammabili. Nel 2015, il governo federale degli Stati Uniti aveva anche stanziato quattro milioni di dollari per eliminare i giovani alberi di eucalipto nei dintorni di Oakland, e l’Agenzia federale per la gestione delle emergenze aveva addirittura proposto di abbattere tutti gli alberi della regione. L’area che coprono nel solo Stato della California è di circa sedicimila ettari. Susie Cagle ha creato anni fa per il Guardian una vignetta simbolica di questo albero e delle problematiche sociali che porta con sé.
Le immagini che arrivano dagli Stati Uniti ricordano sfortunatamente gli episodi dello scorso autunno in Portogallo, dove tra il 14 e il 17 settembre circa cinquemila vigili del fuoco sono stati mobilitati per gestire oltre cento incendi attivi. Questi avevano causato la morte di sette persone, ferendone più di cinquanta. Oltre cinquemila ettari di terra sono stati completamente bruciati. Uno dei motivi? Ancora lui: l’eucalipto.
L’Eucalyptus globulus, il suo nome scientifico, è arrivato in California e in Europa – in Italia è presente principalmente in Sicilia, Calabria, Puglia e Sardegna – nel XIX secolo per motivi commerciali e principalmente per la produzione di legname. Tuttavia, il suo abuso attraverso la monocoltura ha innescato un gigantesco problema contemporaneo: in Portogallo, ad esempio, circa il venticinque per cento dell’intera superficie forestale è coperto da quest’albero. Gli incendi producono anche notevoli emissioni di anidride carbonica, come evidenziato dal Servizio di monitoraggio atmosferico di Copernicus (Cams).
Anche in Spagna, precisamente in Galizia, dopo gli incendi del 2017 che causarono quarantanove morti e novantuno feriti, prese il via un’ampia campagna per l’eradicazione di questa pianta invasiva, nel tentativo di prevenire disastri futuri.
Allo stesso modo, in Italia la Fondazione Cima (il Centro internazionale in monitoraggio ambientale) ha messo in discussione il ruolo dell’eucalipto nella gestione dei territori a rischio incendi, in particolare nel caso dei roghi del 2023 in Sicilia o del 2021 in Sardegna. In questi contesti, la Fondazione ha dimostrato come spesso questa pianta superi numericamente le specie autoctone che dominerebbero il paesaggio se lasciate indisturbate. Infatti, come sostiene la Fondazione Cima, «abbiamo privilegiato l’eucalipto come specie più adatta agli ambienti caldi e aridi del Mediterraneo, sfavorendo invece le foreste di querce e altre latifoglie che in assenza di disturbi esterni coprirebbero quasi tutto il territorio».
Queste specie autoctone sono preziose per «l’immagazzinamento del carbonio, la biodiversità e la resilienza degli ecosistemi», come sottolineano la Fao e Nature Conservancy. I due enti aggiungono che queste piante autoctone offrono anche significativi benefici ambientali nel mitigare i cambiamenti climatici attraverso l’alta capacità di stoccaggio della CO2. Offrirebbero quindi opportunità economiche attraverso il commercio di anidride carbonica e attraverso i settori delle energie rinnovabili, sempre più importanti nella lotta al riscaldamento globale.
Incendio dopo incendio, però, i danni sembrano affievolirsi a uno sguardo superficiale data l’attività intensiva di ripiantaggio dell’eucalipto. In Italia, inoltre, un bosco composto esclusivamente da eucalipti è biologicamente quasi sterile: un ecosistema privo di vita, incapace di ospitare fauna o di favorire la crescita di altre piante concorrenti.
L’eccessiva dipendenza dall’eucalipto è alimentata dal suo valore economico. Un esempio è quello della Navigator Company, azienda portoghese che produce carta e cellulosa, che nel 2022 ha registrato un fatturato di 2,5 miliardi di euro: una cifra che dipende fortemente dall’eucalipto; parliamo del terzo esportatore del Portogallo e contribuisce a circa l’uno per cento del Pil del Paese e al tre per cento delle esportazioni nazionali di beni. L’azienda sostiene anche oltre trentamila posti di lavoro; diventa quindi fondamentale immaginare nuovi piani imprenditoriali per trasformare questo tipo di industrie, orientandole verso modelli più rinnovabili e sostenibili.
Esiste, a proposito, un caso locale virtuoso che dimostra gli effetti positivi dell’eradicazione dell’eucalipto. Risale al 1989, come racconta il World rainforest movement, quando i residenti di un piccolo paese chiamato Veiga do Lila, nel Portogallo settentrionale, si sono riuniti per rimuovere duecento ettari di quest’albero. I risultati nel tempo non solo sono stati efficaci, ma contribuiscono a dimostrare la base scientifica dietro una differenziazione delle colture.
La zona, ora coperta da specie locali come noce, mandorlo, ulivo e pini, non è stata interessata da incendi negli ultimi trent’anni. Prevenzione e gestione sostenibile del territorio sono quindi fondamentali per proteggere il territorio dai roghi. Come? Investendo nella biodiversità, riducendo la dipendenza dall’eucalipto, potenziando le comunità locali e usufruendo dei vantaggi economici del commercio di anidride carbonica, perché solo tramite una seria pianificazione del paesaggio si può «affrontare la questione a lungo termine».
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