La Consulta ha deciso in base alla sentenza precedente. Che fa a pezzi la legge Calderoli. Ora parlamento e governo dovranno cambiarla. E poi sarà possibile un’altra consultazione
Perché la Corte Costituzionale ha bocciato il referendum sull’autonomia differenziata? E cosa succede dopo la scelta dei giudici della Consulta? La scelta dei giudici parte dalla sentenza precedente. Ovvero quella che pur confermando la legittimità della legge sotto il profilo costituzionale ha segnalato sette rilievi basati sul concetto di sussidiarietà. Il ministro Roberto Calderoli esulta: «Ora posso lavorare in pace senza più avvoltoi che mi girano sopra la testa». Ma il costituzionalista Alfonso Celotto avverte: «Ora parlamento e governo dovranno colmare i vuoti. È probabile che in seguito ci saranno nuovi ricorsi e nuove richieste referendarie».
Il referendum bocciato
Per capire la decisione della Corte bisogna fare un passo indietro. La legge Calderoli di fatto è una legge quadro, ovvero una cornice che fissa regole di ingaggio e iter per arrivare alla stipula di Intese Stato-Regione su alcune o tutte le 23 materie sulle quali le Regioni hanno possibilità di chiedere «maggiori e ulteriori forme di Autonomia» rispetto allo Stato. A dicembre i giudici hanno pubblicato la sentenza sui ricorsi di Puglia, Campania, Sardegna e Toscana. Pur confermando la legittimità della legge sotto il profilo costituzionale, la Corte ha segnalato sette rilievi basati sul concetto, centrale, di sussidiarietà, l’avvicinamento del livello di governo più efficace. E questi sette rilievi dovranno adesso essere colmati dal parlamento.
I sette rilievi
Ecco i 7 punti segnalati dalla Corte, riepilogati oggi dal Corriere della Sera. Il primo è che il trasferimento deve essere di «funzioni di materia» e non di «materie» in toto. Il secondo è la delega legislativa per la determinazione dei Lep (i livelli essenziali delle prestazioni) non può essere appannaggio dell’esecutivo ma deve coinvolgere il Parlamento. Sono quindi vietati i Dpcm come strumento per la definizione dei Lep in favore di un decreto legislativo, quindi con il pieno coinvolgimento del Parlamento. C’è anche una bocciatura del decreto interministeriale come strumento per modificare le aliquote di compartecipazione al gettito. Così come della scelta normativa di incardinare il comitato dei saggi di Sabino Cassese per la definizione dei Lep nella legge di Bilancio 2022. Infine l’esclusione di Regioni e Province già a statuto speciale dall’Autonomia differenziata e la «facoltatività piuttosto che la doverosità per le Regioni destinatarie della devoluzione del concorso agli obiettivi di finanza pubblica».
Il referendum abrogativo
La Consulta ieri ha deciso sul referendum abrogativo dell’intera legge Calderoli. Ma dopo la sentenza di dicembre il quesito referendario di abrogazione di una legge già «riscritta» sarebbe risultato non corretto. Proprio a causa della precedente sentenza, già di fatto modificata dal pronunciamento della Consulta. Ora, tecnicamente, I negoziati fra Veneto, Liguria, Piemonte, Lombardia e lo Stato sulle 9 materie non Lep possono riprendere. Per le altre 14 materie, le cui funzioni necessitano della definizione dei Lep, si attende il lavoro della Ctfs, Commissione tecnica dei fabbisogni standard.
I Lep
Calderoli dice che dei sette rilievi della Corte «soltanto uno era presente nel testo del governo, gli altri sono stati introdotti dal Parlamento. Di quei problemi, uno riguarda le Regioni a statuto speciale su cui non intendiamo intervenire, tre sono autoapplicativi perché la sentenza è di tipo additivo, cioè sostituisce con parole costituzionalmente corrette quelle di oggi». Secondo il ministro ora l’unico problema rimangono i Lep: «Una materia inesplorata su cui la Corte ha accolto la definizione della legge, ma ha contestato lo strumento con cui definire i livelli essenziali. Porremo rimedio con la presentazione di una legge delega, scritta secondo i dettami. Che ci consentirà, dopo 24 anni, la definizione dei Lep. Cosa che va fatta indipendentemente dall’Autonomia differenziata».
Il giurista
Celotto, intervistato da Elena G. Polidori sul Quotidiano Nazionale, spiega quindi che «la Corte ci dice che il quesito era rimasto monco, perché in fondo c’era stato proprio un intervento di incostituzionalità precedente che quindi avrebbe sottoposto di fatto pezzi di un’intera legge al vaglio delle urne. Quindi, da quello che si può desumere senza aver ancora letto le motivazioni ma solo dalla stringatezza di un comunicato, risulta che la Corte ha valutato il quesito come ‘poco chiaro’ perché dentro non ci sono alcuni pezzi della legge che la Corte ha invitato il Parlamento a rivedere».
Un voto politico
Il professore di Diritto Costituzionale a Roma Tre aggiunge che «il rischio sarebbe stato quello di fare un voto più politico che giuridico; lo dice chiaramente il comunicato quando spiega che sarebbe diventato un referendum solo sull’Autonomia differenziata come ‘titolo’ ma non come contenuto». E ancora: «I famosi sette punti di incostituzionalità hanno lasciato una legge dimezzata e un referendum su una legge dimezzata è un non senso». Ora, spiega, «si sposta tutto di nuovo nell’ambito del Parlamento e del governo che dovrà colmare i vuoti, facendo una legge Calderoli bis. Poi il Parlamento può anche dire cose in più, ma prima deve colmare i vuoti. Anche perché, visto come si è sviluppato il conflitto sul tema, è probabile che in seguito ci saranno nuovi ricorsi e nuove richieste referendarie».
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