Quando il potenziamento di asili nido e scuole per l’infanzia aggrava i divari territoriali

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A metà gennaio l’Ufficio parlamentare di bilancio (Upb) ha reso noto il Focus sullo stato di attuazione dei progetti per il potenziamento dell’offerta degli asili nido e scuole dell’infanzia.

Il documento curato dall’organismo indipendente che dal 2014 svolge analisi e verifiche in tema di finanza pubblica, tratta uno dei temi “caldi” collegati alle risorse del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). In particolare, l’analisi valuta lo stato d’avanzamento dei progetti che puntano a dotare l’Italia di 150.480 nuovi posti nell’ambito del Pnrr (per bambini tra 0 e 2 anni e tra 3 e 6 anni) e delle risorse nazionali aggiuntive per ulteriori 31.600 nuovi posti negli asili nido per la fascia 0-2 anni, come definito nel Piano strutturale di bilancio di medio termine deliberato a fine settembre dal Consiglio dei ministri.

Le risorse complessivamente impegnate sono pari a circa quattro miliardi di euro e hanno l’obiettivo di consentire al Paese di fornire una copertura adeguata nei servizi per l’infanzia. L’indicatore associato, infatti, stabilisce che il “goal” da raggiungere è quello di “garantire che le strutture pubbliche e private per l’infanzia abbiano una disponibilità di posti pari ad almeno il 33% del numero dei bambini sotto i 3 anni a livello nazionale” e di “garantire che le strutture per l’infanzia abbiano una disponibilità di posti, pari ad almeno il 15% del numero dei bambini sotto i 3 anni, a livello regionale”, ovvero che in nessuna Regione italiana l’offerta di posti resti sotto tale soglia.

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La prima cosa che emerge dal rapporto è il ritardo nella spesa delle risorse: “nonostante la centralità di questo intervento, volto a contrastare il declino demografico, ridurre i divari territoriali, promuovere la parità di genere e l’occupazione femminile, emergono alcune criticità nella sua realizzazione”, spiega l’Upb.

“Sin dalle prime fasi attuative del Pnrr si sono riscontrate difficoltà, in particolare per il segmento riservato agli asili nido. L’adesione da parte dei Comuni, soprattutto quelli del Mezzogiorno e con gravi carenze strutturali, è stata limitata e sono state necessarie più procedure di assegnazione dei fondi per esaurire tutte le risorse disponibili”.

Ad oggi sono stati censiti 3.199 progetti e i fondi che risultano effettivamente utilizzati sono pari a 816,7 milioni di euro, un dato distante dal cronoprogramma finanziario secondo cui la spesa avrebbe dovuto superare la metà dei 3,24 miliardi di risorse assegnate con il Pnrr.

Questi però non sono gli elementi principali che emergono dal focus. È indossando la lente delle disuguaglianze territoriali che diventa possibile comprendere quale sarà la situazione una volta che gli interventi avviati saranno completati. Se è vero che “l’analisi dei divari regionali nell’offerta del servizio suggerisce una riduzione delle distanze tra le Regioni meridionali e quelle del Centro-Nord”, lo è anche che “complessivamente, la realizzazione degli interventi del Pnrr ridurrebbe i divari tra le Regioni mentre aumenterebbe quelli al loro interno”.

Nella pratica si amplierà la disuguaglianza nell’offerta di questi servizi pubblici all’interno delle stesse Regioni. Tale effetto, si spiega, “è evidente in realtà come il Piemonte, la Calabria e la Sardegna, in cui pur raggiungendo, grazie agli interventi del Pnrr, la soglia del 33 per cento, permangono numerosi Comuni senza alcuna copertura del servizio”.

In particolare, anche dopo gli interventi del Pnrr la quasi totalità (il 96,6 per cento) dei Comuni “polvere”, quelli cioè con meno di 500 abitanti, resterebbe priva di tali strutture e, più in generale, l’81,4 per cento dei territori che non aveva alcun asilo continuerebbe a restarne privo.

Quanto emerge non è una novità per l’Uncem, l’associazione tra Comuni montani che aveva previsto tutto questo fin dalla pubblicazione dei bandi, i quali -era stato evidenziato- avrebbero escluso naturalmente i piccoli Comuni di montagna.

“Avevamo chiesto che venissero considerate le aggregazioni esistenti, per creare nuovi servizi formativi ed educativi 0-18, ovvero Unioni montane, Unioni di Comuni, Comunità montane”, spiega il presidente Marco Bussone. “A preoccupare i Comuni e a frenare le iniziative per nuovi investimenti su questo ordine di scuola è il fatto che gli enti locali, anche in forma aggregata, non hanno risorse correnti per gestire gli asili”.

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© Piano asili nido e scuole dell’infanzia, Ufficio parlamentare di bilancio

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Il problema degli asili nido non è solo la costruzione nè la disponibilità di immobili, bensì i costi di gestione, totalmente a carico dei Comuni, rileva l’Uncem. “A differenza di tutti gli altri ordini di scuola l’asilo nido è l’unico per il quale anche tutto il personale è a carico dei Comuni e con le rette degli utenti si coprono meno del 50% dei costi, per cui molti municipi decidono di rinunciare a quel servizio”, spiega un comunicato dell’associazione.

Lo scorso anno l’Uncem aveva criticato anche il Piano asili nido nazionale, quello complementare alle risorse del Pnrr, contenuto nel decreto ministeriale n. 79 del 30 aprile 2024 del ministero dell’Istruzione e del merito (di concerto con il ministero dell’Economia). Prevede un investimento di 735 milioni di euro, per ulteriori 1.900 progetti, ma tra i criteri minimi seguiti dal ministero per l’assegnazione dei contributi c’è anche quello di una “popolazione residente nella fascia d’età 0-2 anni di almeno 60 bambini”.

Secondo Giovanni Battista Pasini, sindaco di Lama Mocogno (MO) e presidente di Uncem Emilia-Romagna, “si tratta dell’ennesimo intervento che crea disuguaglianze e non guarda ai veri bisogni delle comunità locali, in particolare quelle più piccole poste in aree interne e montane, che ogni giorno lottano per contrastare lo spopolamento. Quello della disponibilità di posti negli asili nido è un ambito strategico che costituisce la base per la permanenza delle giovani famiglie in questi territori. Per ogni bambino che trova spazio in un nido ci sono almeno tre persone che rimangono a vivere in montagna, quasi sempre per l’intero periodo scolastico di 15 anni”.

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La strada scelta e percorsa dall’Italia, però, è un altra. Infatti è l’Istat a rendere evidente che cosa sta accadendo e con tutta probabilità continuerà ad accadere, nell’ultimo rapporto dedicato a “Offerta di nidi e servizi integrativi per la prima infanzia”, pubblicato nel novembre 2023: “Si stima anche una grande frequenza delle richieste di iscrizione non accolte per carenza di posti: il 63% dei nidi pubblici e il 40,7% dei privati non hanno accolto ad inizio anno tutte le domande pervenute. Soprattutto nel Mezzogiorno è stata avvertita di più la pressione sui servizi da parte delle famiglie e le barriere all’accesso hanno lasciato dei bambini in lista d’attesa in oltre due terzi delle unità di offerta pubbliche e in quasi la metà di quelle private”. Un problema di accesso che, ora lo sappiamo, gli interventi realizzati con i fondi del Pnrr non risolveranno.

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