Riforma Nordio: la Giustizia ha bisogno di serenità

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Le infinite insopportabili contraddizioni del nostro Paese. Tutti si professano paladini della terzietà dei giudici, alimentando la partigianeria nello scontro tra magistratura e politica. Questo atteggiamento è un suicidio. Insinuarsi nella frattura tra i due poteri dello stato non è un bene per nessuno. Da un canto la reazione forte dell’Anm toglie prestigio al ruolo costituzionalmente definito super partes dei suoi membri. Dall’altro la violenta presa di posizione di una parte (fortunatamente l’altra parte ha avuto un rigurgito di dignità) dell’opposizione conferma che i nostri rappresentanti intendono la giustizia come un’affare politico. Contraddizione su contraddizione.

Ma a parte questo è insana la costruzione del conflitto sottostante. La narrazione, ormai tristemente nota, è quella dell’uso politico della giustizia cui farebbe da contraltare una legislazione difensiva. Anni fa me ne sono occupata. E confesso di aver lavorato per una riforma organica non della magistratura in quanto tale, ma nella sua dimensione di parte processuale, convinta allora, come oggi, che essere accusa e giudice di volta in volta non consenta a chi esercita ora l’uno ora l’altro ruolo di essere pienamente super partes, come giudice, ed ex parte, come Pm. T

anto a dispetto della compiuta attuazione del principio base del giusto processo, iscritto nell’art. 111 della Costituzione: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale”. Se gli animi fossero sereni la ipotesi di separare la funzione requirente da quella giudicante potrebbe esser vista per quello che è: una riorganizzazione funzionale dei ruoli. Invece viene vista come un’aggressione all’ordine dei giudici, perché non siamo usciti fuori da quel clima di conflitto nel quale viviamo da oltre 30 anni. La riforma della struttura organigrammatica della Magistratura, proposta da Nordio, non è un mostro. Carriere diverse, concorsi diversi. La scelta tra l’una e l’altra funzione, cioè tra fare il giudice terzo o esercitare l’azione penale in nome dello Stato contro i presunti innocenti, verrà operata prima di iniziare. Così come si sceglie se fare l’avvocato o il notaio, il chirurgo o il clinico, il progettista o il costruttore…. Basi formative analoghe, specializzazioni diverse per massimizzare competenza ed efficienza.

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Il doppio Csm è la naturale conseguenza di tale assetto. Entrambi i Consigli, come quello attuale, composti da tre membri di diritto (il presidente della Repubblica, il primo presidente della Corte di Cassazione e il procuratore generale della Cassazione) e da altri 30 componenti, di cui 20 saranno togati, cioè appartenenti alla magistratura, e 10 saranno membri laici, cioè non magistrati. Il meccanismo di scelta dei membri dei due Csm sarà il sorteggio. Esso rappresenta una novità, tra le più avversate. Qual è la minaccia all’autonomia se, anziché eletti, i componenti dei due Consigli saranno sorteggiati? Il sorteggio è il metodo unico per un contesto in cui non dovrebbero esserci fazioni con cui schierarsi ma solo competenze da valorizzare. Il fine è quello, difficilmente non condivisibile, di evitare nomine influenzate o decise dalle correnti della magistratura o della politica. Attualmente i membri togati del Csm sono eletti da magistrati ordinari e i laici dai due rami del Parlamento in seduta comune. Come si possa dire che passare da questo procedimento competitivo al sorteggio implichi un’aggressione alla indipendenza è difficile spiegarlo.

Forse quello che preoccupa sono i procedimenti disciplinari. Oggi la funzione è affidata al Csm, secondo la nozione della “giustizia domestica”. Con la riforma, invece, la funzione di organo disciplinare sarà affidata a un’Alta Corte composta da 15 giudici (tre nominati dal presidente della Repubblica, 3 estratti a sorte da un elenco redatto dal Parlamento in seduta comune, 6 magistrati giudicanti e 3 requirenti estratti a sorte nelle rispettive categorie). Non è chiaro quale sia la minaccia di tale previsione, se non si è condizionati da un pregiudizio persecutorio. Ciascuno ha il diritto di scioperare. Anche i magistrati possono e devono esercitare tale diritto, ma, secondo l’art. 40 della Costituzione, “nell’ambito delle leggi che lo regolano”. Tutti hanno la libertà di protestare, ma alcuni, più di altri, hanno il dovere di farlo nel rispetto dei principi del decoro e della dignità dei presidi istituzionali dello Stato.

L’annunciato abbandono delle aule, nelle quali si svolgerà l’apertura dell’anno giudiziario, sabato prossimo, nel momento in cui il ministro o i suoi delegati interverranno, non è un gesto che qualifica. I magistrati possono e devono percorrere altre vie per collaborare al procedimento di formazione delle leggi, rispettando le stesse quando approvate, così come si chiede ai cittadini. Non devono, però, interferire.

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