3000 climate litigation contro la crisi climatica

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Il Global Climate Change Litigation, il database più completo in materia, ha registrato 2796 casi al 17 settembre 2024, con il 70% delle cause intentate nell’ultimo decennio, dopo l’Accordo di Parigi del 2015. Tra i Paesi con il maggior numero di contenziosi figurano Stati Uniti, Regno Unito, Brasile e Germania, ma anche i Paesi del Sud del mondo stanno cominciando a far sentire la loro voce, con oltre 200 casi, di cui 88 solo in Brasile.

Secondo l’UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l’Ambiente) i contenziosi climatici rientrano in sei categorie principali:

  • violazioni di diritti umani sanciti dal diritto internazionale e dalle costituzioni nazionali;
  • mancata applicazione di leggi e politiche legate al clima;
  • azioni per mantenere i combustibili fossili nel sottosuolo;
  • richieste di maggiore trasparenza sul clima e denunce di greenwashing;
  • rivendicazioni sulla responsabilità delle imprese per i danni climatici;
  • mancanza di adattamento agli impatti del cambiamento climatico.

Nel 2023 sono state intentate 233 nuove cause a livello globale, con Paesi come Panama e Portogallo che hanno visto la loro prima causa sul clima. Un dato significativo è il crescente coinvolgimento dei giovani che, protagonisti assoluti di molte di queste iniziative legali, hanno contribuito a rafforzare i movimenti per il clima e ispirato molti altri attivisti. Secondo un sondaggio del 2021 dell’InterClimate Network, oltre l’80% dei giovani ritiene che il cambiamento climatico stia già avendo un impatto negativo e che influenzerà la loro vita in futuro.

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Le cause climatiche vanno oltre i tribunali: hanno un impatto significativo sull’opinione pubblica e sulle scelte politiche. Non è, infatti, solo l’esito a essere importante. L’attivismo e l’attenzione che questi contenziosi generano possono essere altrettanto – se non più – significativi di una sentenza di vittoria o sconfitta.

Esempi come il caso “Urgenda” del 2019 nei Paesi Bassi, dove il governo è stato obbligato a ridurre le emissioni del 25% entro il 2020 rispetto ai livelli del 1990, dimostrano il potenziale di queste cause per creare precedenti e promuovere cambiamenti significativi.

 

Il contenzioso climatico in Italia 

Quando parliamo di climate litigation italiano abbiamo più volte citato “La Giusta Causa”, il contenzioso climatico portato avanti dalle associazioni ambientali Greenpeace Italia e ReCommon e 12 cittadini italiani contro il colosso industriale Eni. L’accusa è di aver contribuito significativamente e in prima persona alle emissioni di gas serra e, di conseguenza, alla crisi climatica.
Ma non è l’unico caso: ci sono altri sei contenziosi rilevanti nel nostro Paese.

 

“Giudizio Universale”: A Sud et al. contro Italia 
Il 5 giugno 2021, l’ONG A Sud e oltre 200 persone hanno fatto causa al governo italiano, accusandolo di non aver preso le misure necessarie per rispettare gli obiettivi sull’emergenza climatica dell’Accordo di Parigi. L’azione legale mira a ottenere una dichiarazione che l’inazione del governo stia contribuendo alla crisi climatica e un ordine per ridurre le emissioni del 92% entro il 2030. Gli obblighi del governo derivano dall’Accordo di Parigi, dalle leggi UE e dai rapporti dell’IPCC.

Il 14 dicembre 2021 si è svolta la prima udienza. Il governo ha chiesto che il ricorso fosse respinto, sostenendo che il tribunale civile non avesse giurisdizione su questioni politiche e che i ricorrenti non avessero il diritto di chiedere una responsabilità diretta per il cambiamento climatico.

Il 14 gennaio 2022 i ricorrenti hanno risposto, e il 21 giugno 2022 c’è stata la seconda udienza. La decisione finale è stata fissata per il 13 settembre 2023. Il 26 febbraio 2024, il Tribunale di Roma ha dichiarato inammissibile la causa, affermando che la gestione del cambiamento climatico riguarda scelte politiche, non azioni civili.
I ricorrenti pensano di fare appello.

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L’Autorità Garante per la Concorrenza e il Mercato v. la campagna pubblicitaria Diesel+ di Eni
Il 20 dicembre 2019, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha multato Eni con cinque milioni di euro per pubblicità ingannevole riguardo al carburante Diesel+. L’AGCM ha ritenuto che Eni avesse dato l’impressione che Diesel+ fosse ecologico, usando un logo “green”, mentre i benefici ambientali erano limitati a un solo componente del carburante. La pubblicità, secondo l’AGCM, non rifletteva accuratamente l’impatto ambientale del prodotto e ha creato un’impressione ingannevole di riduzione delle emissioni di gas serra.

ENI ha fatto appello al Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, che ha confermato la multa. Tuttavia, il 23 aprile 2024, il Consiglio di Stato ha annullato la decisione a favore di Eni, stabilendo che la pubblicità non fosse ingannevole. La corte ha sottolineato che è possibile fare dichiarazioni “green” anche per prodotti inquinanti, a condizione che siano ben contestualizzate e chiariscano i benefici ambientali limitati.

 

I.L. c. Ministero dell’Interno e Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Ancona
Il 24 febbraio 2021, la Corte Suprema di Cassazione italiana ha stabilito che la protezione umanitaria deve essere concessa anche a chi è esposto a gravi rischi per la vita a causa di situazioni ambientali, sociali o climatiche, e non solo in caso di conflitto armato. La corte ha chiarito che, se la situazione nel Paese di origine minaccia i diritti fondamentali della persona, come la vita e la dignità, si deve considerare anche il degrado ambientale, i cambiamenti climatici e l’uso insostenibile delle risorse naturali. 

Il caso riguardava un cittadino del Delta del Niger, in Nigeria, a cui era stata negata la protezione internazionale. La Corte ha richiamato un precedente della Corte dei diritti umani dell’ONU, stabilendo che le persone vulnerabili a queste minacce devono ricevere protezione umanitaria.

 

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Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato v. Volkswagen Aktiengesellschaft e Volkswagen Group Italia
Nel 2015, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha aperto un’indagine contro Volkswagen per pratiche commerciali scorrette. L’azienda era accusata di dichiarare falsi livelli di emissioni nei suoi veicoli diesel (tramite l’uso del software defeat device) e di promuoverli come ecologici, ingannando i consumatori.

Nel 2016, l’AGCM ha concluso che Volkswagen aveva violato il Codice del Consumo e le ha imposto una multa di 5 milioni di euro. Volkswagen ha contestato la decisione davanti al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR) del Lazio, ma il ricorso è stato respinto nel 2019.

Volkswagen ha fatto appello al Consiglio di Stato, sostenendo che la multa dell’AGCM violava il principio del ne bis in idem (non si può essere puniti due volte per gli stessi fatti), poiché nel 2018 un tribunale tedesco le aveva già imposto una sanzione di 1 miliardo di euro per la stessa vicenda.

La questione è arrivata alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), che nel 2023 ha stabilito che i due procedimenti riguardavano condotte diverse: in Germania si era punita la mancanza di supervisione aziendale, mentre in Italia si trattava di pubblicità ingannevole e vendita di veicoli con il defeat device.

Ora spetta al Consiglio di Stato italiano verificare se i fatti esaminati dalle due Autorità siano davvero distinti o sovrapposti.

 

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Altroconsumo v. Volkswagen Aktiengesellschaft e Volkswagen Group Italia S.p.A
Dopo l’AGCM, nel 2016 anche l’ONG italiana Altroconsumo, a nome di oltre 63.000 consumatori che avevano acquistato veicoli Volkswagen, Audi, Seat e Skoda, ha avviato una class action contro Volkswagen presso il Tribunale di Venezia. L’accusa era che l’azienda avesse ingannato i clienti dichiarando falsi livelli di emissioni e promuovendo i suoi veicoli come ecologici, quando in realtà usava un software (il defeat device) per manipolare i test sulle emissioni.

Il Tribunale ha dato ragione ad Altroconsumo, stabilendo che Volkswagen aveva fatto pubblicità ingannevole e violato i diritti dei consumatori. Ha ordinato un risarcimento di 3.000 euro per danni economici e 300 euro per danni morali a ciascun partecipante alla class action, per un totale di oltre 200 milioni di euro.

Volkswagen ha fatto appello, e nel novembre 2023 la Corte d’Appello di Venezia ha confermato che l’azienda aveva usato pratiche scorrette, ma ha ridotto il risarcimento: i 3.000 euro di danni economici sono stati annullati perché la Corte ha ritenuto che Volkswagen avesse già preso misure correttive gratuite. È stato invece confermato il risarcimento di 300 euro per danni morali.

La decisione non è definitiva: le parti hanno sei mesi per ricorrere alla Corte Suprema.

 

Alcantara S.p.A. v. Miko S.r.l.
Il 15 luglio 2021, Alcantara S.p.A., produttore di microfibre per il settore automobilistico, ha chiesto al Tribunale di Gorizia un provvedimento urgente contro il concorrente Miko S.r.l., accusandolo di pubblicità ingannevole. Miko promuoveva il proprio prodotto come ecologico con dichiarazioni come “100% riciclabile” e “sostenibile lungo tutto il ciclo produttivo”.

Alcantara sosteneva che queste affermazioni, definite “green claims”, fossero vaghe, false e non verificabili, configurando un caso di concorrenza sleale. Ha chiesto che fossero vietate e rimosse da ogni mezzo promozionale.

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Il 25 novembre 2021, il Tribunale ha dato ragione ad Alcantara, ordinando a Miko di eliminare le dichiarazioni e pubblicare la decisione sul proprio sito per 60 giorni. Tuttavia, il 12 marzo 2022, la decisione è stata annullata in appello per motivi procedurali.

 

I contenziosi climatici non solo cercano di fermare chi contribuisce alla crisi climatica, ma sono anche uno strumento di advocacy potente per sensibilizzare e fare pressione su governi e aziende. Indipendentemente dall’esito, i contenziosi sul clima giocano un ruolo cruciale nel responsabilizzare governi e aziende, sensibilizzare l’opinione pubblica e spingere per un futuro sostenibile.





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