La «biodiversità» del sistema bancario: il sano equilibrio tra gigantismo e territorio

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di
Antonio Miglietta*

Le banche di grandi dimensioni non possono rappresentare l’unico strumento di finanziamento delle imprese. È invece necessario diversificare le fonti di capitale: i piccoli e medi istituti invece garantiscono una conoscenza del territorio e degli approcci relazionali indispensabili alle Pmi

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Il futuro del sistema bancario italiano è oggi oggetto di un intenso dibattito, spesso focalizzato sulla contrapposizione tra «banche grandi» e «banche piccole e medie» (Pmb), talvolta accusate di limiti strutturali. Tuttavia, un’analisi più approfondita evidenzia come le Pmb siano un elemento chiave per la stabilità e la resilienza del sistema. Dal punto di vista patrimoniale, giova ricordare come le Pmb italiane abbiano attraversato le recenti crisi finanziarie mantenendo una solida base patrimoniale e migliorando costantemente sia la qualità degli attivi, sia il cost-income. Il livello medio del 16,4% di patrimonializzazione delle Pmb indica una base patrimoniale in costante miglioramento, addirittura superiore alla media europea delle Lsi (Banca d’Italia, 2022). Al contempo è anche migliorata la qualità degli attivi, conseguendo risultati in linea la rilevazione media delle «significant». Infine, il cost-income delle Pmb si attesta nel 2023 al 55,7%, evidenziando un miglioramento dell’efficienza operativa superiore alla media di settore. In tale contesto, il gigantismo bancario, nonostante i danni inflitti alle economie occidentali all’epoca della crisi finanziaria dello scorso decennio – e in particolare all’Italia – è spesso indicato come modello ideale al quale ambire. Occorre in primo luogo riconoscere alcune evidenze sui motivi ontologici del rischio del «Gigantismo bancario».

I rischi e le questioni da risolvere

La prima riguarda il progressivo svilimento dell’azione di controllo e pungolo degli azionisti. È il noto problema della «teoria dell’agenzia», ovvero l’autoreferenzialità dei manager rispetto agli azionisti, che non possono incidere in nessun modo e neppure fanno da deterrente a comportamenti di mismanagement. I compensi stellari e soprattutto le sorprendenti buonuscite corrisposte – pur in presenza di risultati disastrosi – sono l’epifenomeno. Inoltre, su un piano puramente gestionale, si assiste oggi al fenomeno di significativa riduzione della «Dimensione ottima minima» (Dom), necessaria per conseguire economie di scala. L’innovazione tecnologica – attraverso la digitalizzazione – mostra piuttosto che la Dom sia oggi fondata oggi su dimensioni ridotte. L’evoluzione dell’intelligenza artificiale – se ben interpretata – potrà ulteriormente supportare questo fenomeno. Il gigantismo, d’altro canto, con l’inevitabile standardizzazione dei processi e delle relazioni, può condurre ad astrazioni che rischiano di deteriorare l’attività creditizia non soltanto a livello quantitativo, ma anche di efficacia, sterilizzando sempre più la necessaria dimensione relazionale. Infine – conseguenza diretta e significativa delle grandi concentrazioni bancarie – si assiste oggi a vere e proprie diseconomie di scala, talvolta generate da rigidità organizzative che limitano la capacità di adattamento alla continua evoluzione di economie sempre più dinamiche.




















































L’importanza delle Pmb

Come dimostrato dalla crisi finanziaria del 2008, la concentrazione del credito fra pochi grandi attori è inadeguata a mitigare il rischio sistemico e per l’Italia e l’Europa è cruciale lo sviluppo del mercato dei capitali. Le banche di grandi dimensioni, pur avendo un ruolo fondamentale, non possono rappresentare l’unico strumento di finanziamento delle imprese. È invece necessario diversificare le fonti di capitale, promuovendo strumenti e canali indispensabili per supportare nuove imprese e Pmi anche in settori spesso considerati meno attraenti. La rete straordinariamente diversificata di Pmi italiane – il 99% delle aziende italiane che impiega circa il 76,5% del totale degli occupati – è una realtà complessa di imprese e famiglie che merita un sostegno adeguato da parte del sistema, alla quale le Pmb contribuiscono in modo mirato anche grazie alla conoscenza approfondita del territorio e ad un approccio relazionale. In tal senso, le Pmb sono in grado di creare valore non solo economico, ma anche sociale. E tale funzione – strettamente legata al tessuto locale – è difficilmente replicabile da gruppi bancari i cui modelli operativi spesso standardizzati stentano a cogliere le specificità delle comunità. 

Il bivio

Le Pmb, dunque, non debbono essere intese come mero complemento al sistema bancario, ma piuttosto come un pilastro fondamentale di un’economia realmente inclusiva. Ci si trova oggi di fronte a un bivio. Da un lato, la progressiva riduzione della biodiversità bancaria nel nome di un’ineludibile concentrazione, che pone il rischio di impoverire il sistema bancario privandolo di una delle sue componenti più preziose – e di indebolire il tessuto economico locale aumentando al contempo la vulnerabilità complessiva del sistema. Dall’altro, la promozione e la tutela di un modello fondato sulla biodiversità bancaria – per dimensione, perimetro o modello di business – al quale le piccole e medie banche apportano un contributo fondamentale. Una scelta che appare più equilibrata, poiché in grado di conseguire quella sinergia tra Pmb e grandi banche, a beneficio dell’intero sistema.

*Angelo Miglietta è Ordinario di Economia e Gestione delle Imprese presso l’Università Iulm

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22 gennaio 2025

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