La prima inchiesta sul dossieraggio illegale, che ha preceduto quella Milanese, è ora in Tribunale a Torino. A gestire il sistema di spionaggio in questo caso sarebbe stato anche Riccardo Ravera, carabiniere in pensione, nonché ex membro della “Crimor” che quando era comandata dall’allora generale “Ultimo” il 15 gennaio 1993 arrestò Totò Riina. Ravera era stato incaricato di spiare i dipendenti, i collaboratori e l’ex amministratore delegato della Kerakoll da Andrea Remotti, ex amministratore delegato della società modenese.
Giovedì 23 gennaio il giudice per l’udienza preliminare deciderà se ci sarà o meno un processo per gli “Spioni” di Torino. Si tratta della prima inchiesta sul dossieraggio illegale che ha preceduto quella Milanese che ha visto nel mirino della Procura di Milano Equilize, la società dell’ex presidente di Fondazione Fiera Enrico Pazzali e l’ex poliziotto in pensione Carmine Gallo. Nel filone torinese sono ventuno le persone indagate: le accuse vanno dalla corruzione all’associazione a delinquere finalizzata alle interferenze nella vita privata. Tra di loro anche l’ex amministratore delegato della Kerakoll spa Andrea Remotti.
A gestire il sistema di spionaggio in questo caso – sotto un corrispettivo di denaro – sono i sessantenni Riccardo Ravera (indagato), carabiniere in pensione, e Pinuccio Calvi (indagato), anche lui nell’Arma. Il primo – giusto per mettere subito in chiaro l’abilità di questo ex militare – era un membro della “Crimor” che quando era comandata dall’allora generale “Ultimo” il 15 gennaio 1993 arrestò Totò Riina.
Dopo il congedo Ravera era diventato amministratore di fatto delle società Crew Service e Crew Investigazioni con sede a Torino e delle società collegate, tra cui la MR Security Srls. Esercitava così abusivamente la professione di investigatore privato, senza avere la speciale abilitazione dello Stato. Ma questo filone torinese sullo spionaggio cosa ha svelato? E che legame c’è con gli “spioni” del capoluogo lombardo?
Come venivano spiati i vertici e dipendenti della Kerakoll
Al centro dell’indagine della Procura di Torino, affidata al pubblico ministero Gianfranco Colace e Giovanni Caspani, c’è anche la società Kerakoll spa. Il colosso modenese del settore delle ceramiche e dell’edilizia è la cornice di un’inchiesta su presunti spionaggi industriali al fine di screditare i manager di aziende. Tra gli indagati sono finiti Emilia e Fabio Sghedoni (indagati), figli del patron Romano e attualmente entrambi ai vertici del colosso che ha sede a Sassuolo, e Andrea Remotti (indagato), amministratore delegato dell’azienda fino al novembre 2022 quando uscì improvvisamente.
Stando a quanto sostenuto dalla Procura nella richiesta di rinvio a giudizio, Remotti si sarebbe rivolto all’ex carabiniere Ravera per cercare informazioni che potessero screditare Enrico Abbati (non indagato), già dirigente della Kerakoll spa e diretto concorrente di Remotti per l’ambito ruolo di direttore generale del colosso modenese.
In concreto Ravera e i suoi collaboratori installavano di nascosto registratori durante alcuni incontri professionali e privati tra dirigenti per procurarsi “notizie attinenti la vita privata“. Informazioni che poi i clienti di Ravera avrebbero potuto utilizzare come oggetto di possibili ricatti. In questo modo – secondo l’accusa – i dirigenti indagati della Kerakoll pensavano di aver il controllo sulle nomine più ambite e prestigiose dell’interno della società. Ma chi sono effettivamente i protagonisti della Kerakoll coinvolti?
Ecco uno degli episodi finiti nelle carte della Procura di Torino. Ravera e i suoi fedelissimi avrebbero installato registratori per lo spionaggio all’interno del Green Lab Kerakoll, in un locale utilizzato da Romano Sghedoni (non indagato), fondatore e presidente della Kerakoll spa, per riunioni e affari personali. A incaricare lo spionaggio sarebbe stato Andrea Remotti, che intanto era riuscito a diventare amministratore delegato, ed Emilia e Fabio Sghedoni, nonché componenti del Consiglio di amministrazione e figli di Romano Sghedoni.
I due fratelli Sghedoni, Fabio ed Emilia, sono finiti sotto indagine per questo unico singolo episodio: si tratterebbe di una riunione del 20 marzo 2021 a Sassuolo tra Maurizio Setti (non indagato), presidente dell’Hellas Verona non indagato per questa vicenda, Romano Sghedoni, all’epoca patron del Modena calcio, Roberto Cesati (non indagato), direttore generale del Modena in quel momento, e Stefano Bassi (non indagato). Calcio e affari che si intrecciano e chissà su cosa i due fratelli pensavo di mettere le mani. Ai fratelli Fabio ed Emilia Sghedoni è contestato quindi questo unico reato, commesso a Sassuolo, e che quindi gli atti sono finiti di competenza al Tribunale di Modena.
Dopo l’uscita dell’inchiesta Fabio ed Emilia Sghedoni hanno precisato, tramiti i loro legali, di essere “sereni rispetto all’attività dell’autorità giudiziaria e confidano che sarà accertata la loro estraneità ai fatti“.
Le richieste di Remotti a Ravera sui suoi dipendenti
Nel mirino dello spionaggio non c’era solo il fondatore della Kerakoll ma anche alcuni dei suoi dipendenti e collaboratori: Remotti avrebbe commissariato a Ravera e ai suoi collaboratori anche il compito di introdursi nei sistemi informatici e telematici, protetti da misure di sicurezza, nei dispositivi telefoni, pc, tablet, indirizzi di posta elettronica in uso a Gianluca Sghedoni (parte lesa) già socio e amministratore delegato della Kerakoll fino al 2019 ed è uscito dalla società dal 2020, e ad altri dipendenti e collaboratori del colosso modenese.
A svolgere il lavoro di “spionaggio” non erano solo le società di Ravera. Era anche Daniele Rovini (indagato), presidente della SKP Investigazioni & Servizi srl indicato a Remotti da Ravera. Tra i dipendenti della SKP c’era anche Lorenzo Di Iulio (indagato): lui sarebbe stato l’intermediario incaricato da Rovini di individuare l’esecutore materiale che era stato trovato nell’hacker Gabriele Edmondo Pegoraro (indagato). Quest’ultimo svolgeva l’attività illecita di hacker che inseriva nei rapporti: Rovini poi metteva tutto nella disponibilità di Ravera e Remotti.
In questo modo Ravera, Rovini e i loro hacker “acquisivano informazioni sui contatti dei titolari di tali sistemi, sui loro spostamenti e sul contenuto delle conversazioni intercorse tra loro e con terzi“, come viene specificato negli atti della Procura di Torino. Nei dossier illegali sarebbero stati inseriti messaggi di Whatsapp e di posta elettronica con il fine ultimo di creare un danno a Gianluca Sghedoni, fratello di Emilia e Fabio, e ai dipendenti e collaboratori della Kerakoll. L’ordine sarebbe stato ben chiaro: entrare sempre più nella sfera privata e intima delle loro vittime.
Ma quali erano le richieste punto per punto di Remotti fatte a Ravera? Primo: Ci risultano mappate altre attività che sembrerebbero meno inerenti all’indagine o definibili di carattere personale, è possibile averle? Secondo: Sarebbe possibile fare un approfondimento su indirizzo email ******* relativamente al messaggio ******? Terzo: è possibile mappare mail ******** con traffico da a *******? Quarto: è possibile mappare un report con un ordine cronologico di data delle conversazioni/chiamate e messaggi. Quinto: Messaggio del ***** dal cell **** al cell ****** è possibile recuperare l’immagine menzionata? Sesto: è possibile mantenere/estendere la copertura sugli stessi contatti per un periodo di altri 3/6 mesi e se si inoltrare preventivo di spesa? Settimo: Avremmo bisogno di inserire inoltre altri 2 o 3 numeri da verificare per tutto il periodo. Ottavo: Relativamente alle chiamate vocali linea *** del **** delle ore **** dal cell *** al cell **** sarebbe possibile avere un’idea della durata corrispondente al flusso dei **** e conforma dell’effettiva data e ora.
Il ruolo dell’ex carabiniere che arrestò Totò Riina e quanto ha guadagnato dallo spionaggio alla Kerakoll
Riccardo Ravera è stato accusato dalla Procura piemontese di corruzione e associazione a delinquere finalizzata alle interferenze nella vita privata di dirigenti di multinazionali con intercettazioni, pedinamenti, registrazioni abusive di incontri. Gli atti nei suoi confronti però sono stati trasferiti a Roma, il cui Tribunale ne avrebbe la competenza territoriale in base ai fatti contestati. Non sarà quindi tra gli imputati dell’udienza del 23 gennaio.
Ravera è in pensione dall’Arma dal 2012. Poco tempo dopo è diventato consulente di società di investigazioni private ed è riconosciuto come amministratore di fatto delle società Crew Service e Crew Investigazioni, con sede a Torino. Tra le multinazionali finite nelle sue mani da investigatore illegale c’era anche appunto la Kerakoll.
Stando a quanto scoperto dalla polizia giudiziaria la Kerakoll spa avrebbe eseguito un pagamento nei confronti delle società appartenenti al marchio Crew di Ravera, M.R. Security srl e della ditta di Daniele Rovini, SKP Investigaìzioni & Servizi srl, pari a 189.717,50 euro. Quest’ultima società avrebbe percepito 44mila euro per le attività di “spionaggio”.
Gli ex militari corrotti in cambio di biglietti dei concerti
Tra i carabinieri che sono finiti illegalmente tra i fedelissimi di Riccardo Ravera, ci sarebbe anche Pinuccio Calvi, all’epoca dei fatti luogotenente dei carabinieri in servizio nel Comando provinciale di Alessandria. Stando all’accusa, si sarebbe introdotto nelle banche dati in uso alle forze dell’ordine per soddisfare alcune richieste di Andrea Remotti: questo avrebbe chiesto al militare alcuni controlli sul presidente del Modena FC 2018 Carmelo Salerno. Perché? Non è un caso che nel consiglio di amministrazione della società sportiva calcistica c’era anche Romano Sghedoni, ovvero il fondatore e socio della Kerakoll.
Non è l’unico carabiniere coinvolto: anche Maurizio Trentadue (indagato), ovvero il maresciallo maggiore comandante del Nucleo Carabinieri Ispettorato del Lavoro (N.I.L.) di Torino. Il militare avrebbe messo a disposizione di Riccardo Ravera “la propria funzione e i propri poteri con l’obiettivo di realizzare l’interesse privato di Ravera“, come riportano gli atti della Procura. In cambio di un grande favore: Ravera si sarebbe attivato per far inserire Trentadue nei servizi segreti procurandogli un incontro a Roma con un generale che si sarebbe risolto con un nulla di fatto perché Trentadue non avrebbe avuto il requisito dell’età necessario per entrare nei servizi segreti.
E ancora: tra la rete di collaboratori di Ravera c’era anche Davide Barbato (indagato), sovrintendente capo della Polizia di Stato addetto al servizio scorte della Questura di Torino, che avrebbe compiuto “atti contrari al proprio dovere d’ufficio” in cambio di denaro e altre “utilità e in particolare un numero indeterminato di biglietti per sé e per altri e per altri per eventi organizzati dalla Set up live Srl presso il Palalpitour nonché somme di denaro versate per la sponsorizzazione della squadra di calcio della Polizia di Stato e attività lavorative per i figli in occasione di eventi o spettacoli presso il Palalpitour“.
Il rapporto tra la società investigativa di Ravera e quella di Pazzali
A legale il filone torinese con quello milanese sarebbero gli hacker. Samuele Calamucci (indagato nel filone milanese), tra gli indagati delle indagini di spionaggio di Milano, in una chiamata intercettata nel dicembre 2023 lo si sentirebbe discutere con un altro indagato di “finte intercettazioni fatte da quelli di Torino”. E in questa chiamata citerebbe Ravera. In entrambi le inchieste sarebbe finito anche l’ingegnere Gabriele Edmondo Pegoraro: sarebbe stato uno delle persone incaricato da Rovini e quindi esecutore materiale dei lavori richiesti alla Skp.
La coincidenza vuole che lo stesso Pegoraro è tra i nominati della procura generale come consulente: era stato incaricato di svolgere della attività propedeutiche all’installazione di un così detto trojan da iniettare nel telefono di Riccardo Ravera. Un’operazione che però non era andata a buon fine. Parallelamente collaborava per la Skp.
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