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Nel fondo di mercoledì scorso avevo sottolineato l’elevato grado di frammentazione che caratterizza le aziende agricole italiane, decisamente più elevato rispetto agli altri paesi europei. L’elevata frammentazione delle unità produttive è un aspetto caratterizzante il nostro paese e riguarda non solo l’agricoltura ma interessa quasi tutti i settori dell’industria e dei servizi. Vi è però una differenza fondamentale. Nel caso dell’agricoltura la superficie agricola è data per cui si può affermare che l’elevato numero di piccole imprese limita la possibilità di avere imprese di maggiore dimensione.
Non così per l’industria e i servizi dove il limite al numero delle imprese e alla loro capacità produttiva è determinato dall’ampiezza del mercato interno e internazionale che sono in grado di conquistare. In questi settori la ridotta dimensione media delle imprese che caratterizza il nostro paese non è determinata dall’eccessivo numero di piccole imprese ma dallo scarso numero di imprese di grande dimensione. Indipendentemente dalla presenza o meno di grandi imprese, in tutti i paesi i settori manifatturieri e dei servizi sono caratterizzati dalla presenza di un elevato numero di piccole imprese. Che svolgono un ruolo fondamentale nel proporre innovazione, occupare specifiche nicchie di mercato o inserirsi nelle complesse catene di fornitura di beni e servizi. In molti settori del manifatturiero e dei servizi, l’anomalia italiana non è nell’eccessivo numero di piccole imprese ma nella debolezza e in qualche caso nell’assenza di grandi imprese.
La presenza di grandi imprese in un settore non solo non è alternativa a quella delle piccole ma ne è in qualche caso un traino indispensabile. Basta considerare i settori della moda nei quali la dimensione è fondamentale per poter affermare e gestire marchi a livello internazionale. O i settori dell’alta tecnologia nei quali solo le grandi imprese possono sostenere gli ingenti investimenti richiesti dalle attività di ricerca e sviluppo. In entrambi i casi la presenza di grandi imprese non solo non penalizza le piccole ma crea le condizioni affinché possano prosperare.
La presenza negli USA di alcune delle maggiori imprese dell’informatica (le cosiddette big tech) determina il fatto che gli USA sono fra i paesi con il maggior rigoglio di start-up e piccole imprese nell’ambito dell’informatica. E il dinamismo imprenditoriale non riguarda solo l’informatica. Indagini condotte annualmente per comparare la dinamica imprenditoriale evidenziano che negli USA la percentuale di popolazione adulta coinvolta nell’avvio di nuove imprese (tipicamente molto piccole) è sistematicamente oltre il 10%, mentre in Italia si mantiene stabilmente sotto il 5%.
Il numero di piccole imprese, se rapportato alla popolazione, non è inferiore negli USA a quello italiano salvo che negli USA sono anche presenti, in tutti i settori, imprese di grandi dimensioni. L’anomalia italiana non è quindi l’eccessiva presenza di piccole imprese (ben venga un incremento della propensione imprenditoriale e del loro numero) ma l’assenza in molti settori di grandi imprese capaci di trainare ricerca e sviluppo e internazionalizzazione. Il confronto con gli USA è interessante anche per un altro aspetto. Il tasso di natalità più alto del nostro implica anche un altrettanto elevato tasso di uscita. Vi è in sostanza un maggiore dinamismo di entrata e uscita dai settori mentre in Italia molti settori continuano ad essere caratterizzati da incomprensibili barriere all’entrata.
Il dinamismo è anche nell’orientamento alla crescita, favorito da un più vivace mercato dei capitali, mentre in Italia le start-up faticano a trovare i finanziamenti necessari ad alimentare la crescita. Il PNRR ha previsto riforme e misure su entrambi questi fronti ma anche in questo caso, come per le infrastrutture, procediamo con la solita lentezza. E’ improbabile che si riesca a recuperare in tempi rapidi lo storico gap sulle grandi imprese. Possiamo però accelerare sul dinamismo delle piccole, abbattendo anacronistiche difese corporative in molti settori e, soprattutto, rendendo più selettive e orientate alla crescita la pletora di misure agevolative per le imprese.
* Docente di Economia Applicata all’Università Politecnica delle Marche
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