Le norme nazionali di recepimento del Regolamento Ue 2020/741 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25 maggio 2020, recante prescrizioni minime per il riutilizzo dell’acqua depurata ai fini irrigui, così come presentate alla Camera dei Deputati nel Decreto Legge 31 dicembre 2024, n 208, recante “misure organizzative urgenti per fronteggiare situazioni di particolare emergenza, nonché per l’attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza”, potrebbero nuocere al regime dei costi delle aziende agricole e dei consorzi di bonifica oltre che alla qualità dei prodotti dell’agricoltura italiana. E pertanto è meglio prorogare il regime transitorio nella gestione delle acque reflue, in attesa di una migliore concertazione delle norme nazionali di recepimento definitive da parte del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, che dovrebbero per altro giungere entro fine giugno 2025.
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È stata questa la richiesta formulata ieri da Massimo Gargano, direttore generale dell’Anbi, l’Associazione Nazionale tra i Consorzi e gli Enti di Bonifica e Irrigazione, sentito dai membri della Commissione Ambiente della Camera dei Deputati, che sta esaminando il Decreto del Governo contenente anche questa norma.
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La nuova normativa europea – il Regolamento Ue 2020/741, già in vigore dal 2023 – demanda molti aspetti della gestione e della definizione di acque conformi al riuso in agricoltura agli Stati membri, limitandosi però a disciplinare il periodo transitorio con una griglia di valori minima, ma severa.
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Gargano, parlando ai parlamentari, ha innanzitutto chiarito che sarà un Decreto Ministeriale del Mase a dare corretta attuazione al Regolamento Ue 2020/741. Del resto, un regolamento Ue di suo è già legge dello Stato e non ha necessità di una norma di legge di recepimento, ma solo di un atto regolamentare. Il regolamento del Mase, pensato a questo scopo, dovrebbe essere pronto per il 30 giugno prossimo, pertanto l’arrivo di una norma sovraordinata di legge creerebbe solo problemi applicativi rilevanti.
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In particolare, l’articolo 2 comma 5 del Decreto del Governo, secondo Gargano, potrebbe mettere a rischio la salute dei consumatori e dei campi oltre che i conti delle aziende agricole e va espunto. Pur mettendo da parte ogni volontà di sollevare una polemica, Gargano ha chiarito: “i 4 miliardi di acque reflue da riutilizzare in agricoltura sono un obiettivo a cui tendiamo, ma il punto di conformità dell’acqua è stato deciso solo da soggetti del settore pubblico, la parte agricola non è stata sentita”.
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E il costo di eliminazione dei residui di azoto e fosforo, necessari per la conformità , con le norme del Decreto del Governo, sarebbe addossato dai gestori dei depuratori esclusivamente in capo ai consorzi di bonifica, che si troverebbero poi a riversare tale costo sugli agricoltori, con conseguenze sui conti delle aziende agricole e sulla qualità dei prodotti.
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Una norma senza senso per Gargano, non solo perché i composti azotati e fosforici non sono immessi nell’ambiente solo dagli agricoltori, ma tanto più ingiusta visto che “L’attuale livello di trattamento delle acque non prevede l’osmosi inversa e non contempla la cattura delle microplastiche, mentre mancano totalmente dal Decreto Legge le nuove molecole chimiche come i Pfas non prese in considerazione”.
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Altro appunto: manca la discriminazione tra diversi tipi di riuso della risorsa idrica affinata, mentre il Regolamento Ue fa un chiaro riferimento a ben quattro classi diverse di acque, suddivise per tipologie di coltivazione, ma non solo. Non viene neppure citata una conformità sufficiente per l’irrigazione di prati urbani o al lavaggio delle strade.
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Infine Gargano ha ricordato come la depurazione acque e l’affinamento finalizzati al riuso in agricoltura per ora è appannaggio solo di due esperienze: quella già sperimentata da Acquedotto Pugliese e dal Comune di Fiumicino, che con Acea Ato 2 e Consorzio di Bonifica Litorale Nord, hanno firmato un protocollo d’intesa con la partecipazione di Anbi, per il riutilizzo agricolo delle acque reflue del depuratore di Fregene. Tale accordo prevede un sistema di certificazione delle acque per il riuso irriguo curato dalle Università di Bologna e delle Marche per la valutazione qualitativa della risorsa prodotta dal ciclo depurativo.
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Gargano ha infine anche attaccato il comma 6 dell’articolo 2 del Decreto del Governo, orientato a recepire il deflusso ecologico delle acque dagli sbarramenti come definito dalla Direttiva Acque dell’Unione Europea: “chiediamo su tanto un rinvio al 21 giugno 2026, perché i fiumi Italiani sono profondamente diversi dal Reno, che è stato utilizzato come base di studio, i dati per definire il deflusso ecologico italiano devono dipendere dalle sperimentazioni delle autorità di distretto idrografico, ancora oggi in corso”.
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Poco dopo l’audizione in Commissione Ambiente alla Camera, così Gargano – in un nota stampa Anbi – è tornato sull’applicazione del nuovo Regolamento Ue in fatto di affinamento delle acque depurate da destinare ad uso irriguo, con toni più distesi, ma ugualmente fermi: “Se l’export agroalimentare, come ha dichiarato il ministro, Francesco Lollobrigida, punta a raggiungere i 100 miliardi di euro, abbisogna di risorse irrigue di qualità , così come l’agricoltura non può certo rinunciare alla certezza di approvvigionamento idrico, assicurato dai potenziali 4 miliardi di metri cubi di acque reflue annualmente trattate dai depuratori italiani. Rendere compatibili queste due esigenze in termini di garanzia sulla salubrità alimentare ed ambientale, senza penalizzare la competitività del settore primario con ulteriori costi e riconoscendo il ruolo attivo affidato dalla normativa europea ai consorzi irrigui, deve essere un obiettivo comune. Auspicando, quindi, una seria volontà di concertazione propedeutica all’emanazione del regolamento attuativo ministeriale, abbiamo chiesto di prorogare di un ulteriore anno il regime transitorio nella gestione delle acque reflue”.
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