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Almeno nelle scelte dei contribuenti, l’opposizione è maggioranza nel Paese. Se i soldi fossero voti, il Campo Largo sarebbe al governo, con numeri schiaccianti. Oltre il 50% delle scelte del 2 per mille, l’ultima forma pubblica di finanziamento della politica, che gira ai partiti una quota dell’Irpef dei contribuenti, va infatti a Partito democratico, Movimento Cinque Stelle e all’Alleanza Verdi sinistra. Il centro-destra oggi al governo si regge soltanto sulle gambe di Fratelli d’Italia cui sono andate il 18% delle preferenze dei contribuenti. La Lega per Salvini premier, Forza Italia e la componente centrista di Noi Moderati, tutte assieme si fermano invece poco sopra il 7%, percentuale di scelte che sale verso il 9% se al conteggio si somma anche la quota del vecchio Carroccio, la Lega Nord che fu di Umberto Bossi ancora viva e vegeta, anche se non politicamente attiva, e che ancora raccoglie consensi tra i militanti padani, tanto da mettere in cassa 463mila euro e raccogliere l’1,88% delle scelte. Più di Noi Moderati che siede in Parlamento
I numeri sono quelli dei redditi 2023 sulle dichiarazioni fatte nel 2024. Un anno di “cuccagna” per la politica. Per la prima volta da quando il sistema è rimasto l’unica forma di finanziamento pubblico per i partiti, dopo la decisione del governo presieduto da Enrico Letta di tagliare in modo graduale i rimborsi elettorali, è stato superato il tetto massimo di risorse da poter distribuire, fissato per legge a 25 milioni di euro Complessivamente però i partiti hanno ricevuto dai contribuenti oltre 29 milioni. Ecco perché a novembre, nel mezzo delle discussioni sul decreto Fisco collegato alla manovra, le forze politiche avevano tentato il blitz. Il Pd aveva presentato un emendamento per rivedere la legge e permettere di distribuire anche quei 4 milioni in più. Il testo era stato però riformulato, prevedendo un meccanismo simile a quello che oggi regola l’otto per mille, il sostegno alle confessioni religiose. In pratica anche le risorse di chi non esprime la sua scelta a favore di una forza politica sarebbero state ripartite in proporzione alle scelte fatte dai contribuenti, con un tetto portato a 40 milioni. Il Quirinale aveva ritenuto di dover intervenire per bloccare la modifica, che alla fine si è limitata a quanto richiesto dai Dem. Anche i 4 milioni extra sono stati distribuiti.
Il maggior gettito è in parte dovuto agli incassi Irpef più alti. In parte anche perché è cresciuto, anche se di poco, il numero di contribuenti che hanno scelto di girare una parte delle proprie imposte a una forza politica. Aumento relativo. Si tratta pur sempre di una fetta molto piccola. Dal 4,15% è passata al 4,89% degli italiani. Questo perché lo strumento è uno strumento militante. Non a caso i partiti che incassano più preferenze sono anche quelli più strutturati o con una base solida. Domani ancora una volta il Pd che mantiene un numero di scelte attorno al 30% e vede i soldi in tesoreria salire da 8,1 milioni a 10,2 milioni. Segue FdI che passa da 4,8 milioni a 5,6 milioni. Il Movimento Cinque Stelle, che ormai da due anni ha scelto di ricorrere al finanziamento pubblico, è passato con le preferenze dal 10% all’11,6% e in soldoni da 1,8 milioni a 2,7 milioni. Chi perde qualcosa in termini di scelte è la Lega di Salvini, che da oltre il 5% scendo al 4,4% ma riesce comunque a portare a casa 1,1 milioni. Di contro volano i Verdi e Sinistra Italiana,divisi nel 2 per mille -rispettivamente al 6,5% e al 5,4% e oltre 1,4 milioni a testa- ma uniti in Parlamento sotto le insegne di Avs.
Le tabelle diffuse dal ministero dell’Economia sono anche un piccolo trattato di sociologia sulla composizione sociale dei sostenitori di questa o quella forza politica. Con appena il 2,7% delle scelte a suo favore, Azione di Carlo Calenda prende più soldi della Lega e appena 200 mila euro in meno di Verdi e Sinistra. Stesso discorso per Italia Viva. I sostenitori delle forze centriste hanno quindi una dichiarazione dei redditi più pesante.
In attesa che prima o poi deputati e senatori decidano di mettere mano alla norma. Sulla politica incombe infatti un nuovo ostacolo finanziario. La manovra ha messo un tetto alla detrazioni che vale anche per le erogazioni liberali, la principale fonte di entrata per le forze politiche. A donare sono gli stessi parlamentari. Che ora potranno contare su meno sconti sulle tasse quando daranno soldi alle loro forze politiche.
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