“Al 98esimo posto a livello nazionale, siamo in ritardo sui Livelli essenziali delle prestazioni”. Ecco il report sul welfare territoriale della Cgil
MESSINA – “Tra le 107 province italiane Messina si colloca al novantottesimo posto per spesa sociale pro-capite. Sulla base dei dati Istat, la spesa pro-capite per interventi sociali nella provincia di Messina cresce ma meno della media e resta al di sotto della media nazionale. La nostra spesa sociale è di 62 euro pro-capite a fronte di una media nazionale di 142 euro. Noi siamo al 98esimo posto per spesa sociale tra le 107 province italiane e siamo ultimi in Sicilia dove si registra una spesa media di 90 euro”. Questo quadro emerge in uno studio della Cgil a cura di Stefania Radici, segretaria confederale (nella foto). Si mette in evidenza: “Esistono significative differenze di spesa tra i vari Distretti socio-sanitari: la cifra più alta allocata per la spesa sociale è del Distretto di Milazzo (85 euro), la cifra più bassa è del Distretto di Lipari (40 euro). Quello di Messina? Una cifra pari a 61 euro pro-capite. E la città di Messina registra un forte ritardo nel Livello essenziale delle prestazioni”.
Il report sul welfare territoriale è stato presentato oggi dalla Cgil Messina. “Un lavoro di analisi che contiene dati e confronti territoriali sulla spesa sociale dei comuni non per fare classifiche calcistiche ma per avviare una riflessione collettiva sulle criticità da affrontare e le potenzialità da esplorare per rafforzare la rete dei servizi territoriali”, aggiunge Stefania Radici. In collegamento da remoto Daniela Barbaresi, segretaria Cgil nazionale.
Si legge nel documento: “In Italia il tasso di crescita della spesa sociale dal 2019 al 2021 è pari al 12,7%, passando da 126 euro pro-capite e 142 euro. Nella provincia di Messina, la spesa è cresciuta dell’11% passando da 56 euro pro-capite a 62 euro. Il tutto in un contesto che ha visto la popolazione ridursi da 613.887 a 603.229 abitanti”.
“Una bassa spesa sociale a fronte di tanti bisogni”
All’interno della città metropolitana – emerge dal report – “esistono significative differenze di spesa tra i vari Distretti socio-sanitari, ossia quelle configurazioni organizzative che mettono insieme più Comuni per programmare gli interventi sociali, evitare duplicazioni e ottimizzare le risorse (sono 8 in tutto nella provincia): il Dss di Milazzo spende 85 euro e il Dss di Lipari ne spende 40. Il risultato? “Una bassa spesa sociale in un contesto che esprime bisogni sempre più complessi e multidisciplinari, bisogni legati all’invecchiamento della popolazione, alla scarsa natalità, alla disoccupazione, al lavoro povero e precario, noi abbiamo quasi la metà dei nuclei familiari che non arrivano a 7.000 euro di Isee, abbiamo tanto disagio giovanile, abbandono scolastico, tanti ragazzi che non studiano né lavorano, abbiamo tante solitudini”.
Il segretario generale della Cgil Messina, Pietro Patti, introducendo la presentazione del report, ha messo in evidenza “la forte necessità di costruire un percorso per migliorare le condizioni di vita della popolazione tutta, orientando e concretizzando le risorse su quei servizi che sono la condizione per la crescita economica di un territorio, partendo anche dal potenziale occupazionale che possono avere”.
“Abbiamo fatto un report sulla spesa sociale dei Comuni singoli e associati nella provincia di Messina anche in considerazione delle risorse a disposizione e ne è venuto fuori un quadro di criticità”, ha aggiunto Radici. E ancora: “Quando parliamo di spesa per interventi sociali, ci riferiamo a 3 categorie: 1) i Servizi sociali svolti in particolare dagli assistenti sociali, i servizi di sostegno educativo, di sostegno alla genitorialità, di mediazione culturale, inclusione sociale, integrazione lavorativa; 2) i Trasferimenti in denaro, per cure mediche, pagamento di asili, centri diurni, integrazione al reddito; 3) Strutture residenziali o semi-residenziali come case famiglia, asili, centri diurni, centri estivi, centri per la famiglia etc.”.
I dati sulle spese sociali nei Comuni messinesi
“Per quanto riguarda le aree di utenza, possiamo distinguere tra famiglie e minori; disabili; anziani; poveri; immigrati; dipendenze; multiutenza (cioè l’utenza di servizi generici). La provincia di Messina, destina il 38,4% della sua spesa a Famiglie e minori; il 29,6% ai Disabili; il 15% agli anziani; l’11,4% alla povertà, disagio adulti; il 2,7% a Immigrati, lo 0,1% alle dipendenze e il 2,8% alla multiutenza.
Nell’ area Famiglia e minori, la spesa è pari a 158 euro pro-capite, in rapporto alla popolazione da 0 a 17 anni. La media nazionale è di 340 euro (94 su 107 province). Tra i DSS, Messina registra la spesa più bassa (116 euro) e Milazzo la spesa più alta (232 euro).
Rileva Pietro Patti: “Non è un caso che Messina sia in forte ritardo rispetto a un Lep (Livello essenziale di prestazione) che prevede che il 33% della popolazione sotto 36 mesi abbia un posto negli asili nido. Nella provincia di Messina siamo fermi all’8%, a Messina città al 3,6%, molto distanti dall’obiettivo di servizio, nonostante per il raggiungimento di questo Lep siano stati messi a disposizione due fondi: il Fondo di solidarietà comunale e il Pnrr”.
“Nell’area Disabili la spesa è pari a 819 euro pro-capite, in rapporto alla popolazione con età inferiore a 65 anni con gravi limitazioni nelle attività quotidiane. La media nazionale è di 1.988 euro (91 posto su 107 province). Tra i DSS Lipari registra il valore più basso (174 euro) e Messina quello più alto (1.181 euro)”.
“Nell’area Anziani, la spesa è pari a 38 euro pro-capite, in rapporto alla popolazione con età maggiore o uguale a 65 anni. La media nazionale è di 90 euro (80 su 107 province). Tra i DSS è alto il coefficiente di variazione tra Messina che spende 62 euro e Barcellona solo 5 euro. Questo nonostante la popolazione anziana sia in forte aumento soprattutto fuori dalla città capoluogo, e nonostante si tratti di una popolazione con una scarsa solidità economica (quasi il 30% non prende pensione e chi la prende supera a stento gli 800 euro in media)”.
“Nell’area Povertà, la spesa è pari a 12 euro. La media nazionale è 25 euro. Tra i DSS Milazzo spende 33 euro e Messina solo 2 euro. Noi spendiamo meno della metà della media nazionale per sostenere la popolazione della nostra provincia nonostante l’incidenza della povertà relativa e assoluta sia di gran lunga maggiore alla media nazionale”.
Il disastro nel passaggi dal reddito di cittadinanza all’assegno d’inclusione, “il 39% privo di sostegno economico”
Ancora il report Cgil: “Con il passaggio dal Rdc (Reddito di cittadinanza) all’Adi (Assegno d’inclusione), il 39% di chi percepiva un sostegno al reddito adesso ne è rimasto privo (erano 54.641, sono 33.275). L’Adi, essendo una misura categoriale, penalizza chi non ha nel nucleo familiare un minore, un disabile o un anziano. Automaticamente è considerato occupabile. I cosiddetti occupabili poveri possono fare richiesta di Sfl (Supporto per la formazione e il lavoro), che è una misura di attivazione al lavoro che prevede un’indennità di 350 euro per la frequenza di un corso di formazione, un Puc (Progetto utile alla collettività) o Sc. Peccato che la Regione sia in forte ritardo sui corsi. Il risultato è che da settembre 2023 a giugno 2024 sono state pagate in media 2,3 mensilità”.
“Un assistente sociali a tempo indeterminato ogni 10 mila abitanti”
Ancora la Cgil: “Un’altra voce della spesa sociale a cui abbiamo prestato attenzione è quella per il servizio sociale professionale. La spesa è pari a 4 euro pro-capite, meno della metà della media nazionale. Non a caso nella provincia di Messina abbiamo 1 assistente sociale a tempo indeterminato per più di 10 mila abitanti, nonostante ci sia un Lep che prevede 1 assistente sociale ogni 5.000 abitanti. Per finanziare questo LEP ci sono due meccanismi di finanziamento: il FSC (direttamente ai comuni sottosoglia per raggiungere la soglia minima di 1/6.500) e il Fondo Povertà che va ai DSS che raggiungono una dotazione di 1 assistente ogni 6.500 abitanti. A Messina ne dovremmo avere almeno il doppio di quelli che ci sono”.
“Scarse risorse nella spesa sociale e poco coordinamento tra i distretti”
“L’analisi della spesa sociale – ha osservato Stefania Radici – ci consegna un quadro di criticità che si snoda tra scarse risorse proprie da investire negli interventi sociali, difficoltà ad utilizzare a pieno gli stanziamenti nazionali, difficoltà a reperire risorse altre, dal Pnrr o da altri fondi di derivazione europea, difficoltà a progettare gli interventi, a metterli a terra e a rendicontarli. Ovviamente queste criticità hanno a che fare con la carenza di personale nelle amministrazioni pubbliche, sia personale con professionalità sociale e socio-sanitaria, che personale negli uffici tecnici e amministrativi. Scarsa è la collaborazione tra Comuni dello stesso Distretto, scarso è il coordinamento tra i vari livelli di governo e tra i vari enti pubblici che operano allo stesso livello, scarsa è in molti Distretti la collaborazione tra i soggetti che a vario titolo sono impegnati nel sociale, pubblici e non”.
“Tante persone vulnerabili prive di aiuto”
Ha aggiunto Radici: “Abbiamo inserito nel Report informazioni e dati sui Fondi dedicati alle Politiche sociali, gli stanziamenti ordinari, come il Fnps (Fondo nazionale politiche sociali), il Fondo povertà, il Fna (Fondo nazionale per la non autosufficienza), il Fondo famiglia, il Fondo Dopo di noi. E abbiamo fatto riferimento a un fondo straordinario come il Pnrr per le varie misure di inclusione sociale, a favore di famiglie, anziani, disabili, poveri, senza fissa dimora etc. Abbiamo anche fatto un approfondimento sulle strutture sanitarie di prossimità (CdC, Cot e Odc) che dovrebbero sorgere entro la metà del 2026. Abbiamo verificato localizzazione e stato di lavori. Lo abbiamo fatto perché riteniamo queste strutture di estrema rilevanza, soprattutto nelle aree interne. Sia dentro che fuori le Istituzioni ci sono persone valide, capaci e motivate. Ma ci sono anche troppe persone in condizione di vulnerabilità che avrebbero bisogno di aiuto ma non vengono intercettate dai servizi territoriali”.
“Guardiamo alle potenzialità dei territori”
“E allora – hanno evidenziato il segretario generale della Cgil Patti e la segretaria confederale Radici – guardiamo anche alle potenzialità che esprimono i territori, perché per aumentare la spesa sociale e rispondere ai bisogni che albergano nel territorio dobbiamo mettere a valore ed in rete le azioni di chi nel territorio opera a vario titolo nel sociale. Dobbiamo provare a socializzare il paradigma della cura, dobbiamo uscire dalla logica dei compartimenti stagni e delle competenze esclusive. In rete, possiamo far emergere bisogni, intercettare e agganciare persone fuori dai radar tradizionali, promuovere progettazioni partecipate alla ricerca di soluzioni innovative e non preconfezionate, creare sinergie, lavorare insieme al benessere della comunità. Bisogna innovare la governance del welfare locale, includendo sia nell’analisi della domanda che nella pianificazione dell’offerta i potenziali destinatari dei servizi e delle prestazioni. Ed oggi che i servizi territoriali devono fare i conti con i tagli del governo e con un’Autonomia differenziata che rischia di cristallizzare i divari territoriali, occorre più che mai unirsi a difesa del welfare”.
“I servizi sociali territoriali l’architrave della democrazia”
E concludono: “La Cgil è in campo perché sa che i servizi sociali territoriali sono l’architrave della democrazia, di una società che non lascia indietro nessuno e dà a tutti e tutte diritti e opportunità, e sono anche la precondizione per la crescita economica e l’occupazione nel territorio per tanti motivi: 1) gli stessi servizi sociali, socio-sanitari e sanitari hanno un potenziale occupazionale ancora poco esplorato; 2) le famiglie e le donne in particolare sgravate dall’onere e delle responsabilità di cura dei familiari possono intraprendere e mantenere l’attività lavorativa con più facilità; 3) l’accompagnamento verso percorsi di attivazione lavorativa porta dentro il sistema tante persone che sono ai margini (inattivi, neet, early leavers, disabili e tanti altri). Non esiste sviluppo che non sia inclusivo ed è per questo che la Cgil è impegnata dentro e fuori i luoghi di lavoro”.
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