“Ridurre il grado alcolico per dare una seconda vita al Nero d’Avola”. Le aziende siciliane raccontano la sperimentazione sui low alcol



Il mercato del vino chiama, la Sicilia risponde. Il progetto Innonda di Assovini Sicilia sperimenta per la prima volta la dealcolazione e l’uso delle anfore sul nero d’Avola, il vitigno principe siciliano, con l’obiettivo di svecchiare l’offerta e di rispondere ai nuovi trend del consumo. Per riassumere: “It’s economy, stupid!”.

Dare una seconda vita al Nero d’Avola

«Le aziende non si metterebbero in gioco se non ci fosse uno stimolo del mercato. Oggi esiste uno spazio di mercato e paesi già sensibili. I vini dealcolati e quelli in anfora ci permettono di entrare in questi mercati. È qualcosa di molto interessante. I produttori sono sensibili, rispondono a una grande richiesta. Cerchiamo di rimetterci in carreggiata». A parlare è Marco Parisi, enologo e manager di Feudi del Pisciotto (sede a Niscemi, in provincia di Caltanissetta), una delle aziende coinvolte nel progetto di ricerca di Assovini, insieme a Tenite Rapitalà, Tenute Lombardo e Dimore di Giurfo .

«Cerchiamo nuove sfaccettature del Nero d’Avola. Un vino che vanta una sua posizione e una sua storia, ma purtroppo in anni recenti è stato considerato di scarsa qualità nel mercato. Ora vogliamo giocare su una certa duttilità, vogliamo dare una seconda vita a questo vitigno», aggiunge Parisi.

Marco Parisi, enologo di Feudi del Pisciotto

Finora le istituzioni hanno aiutato poco. All’inizio, il Masaf ha fatto resistenza, temendo che ne potesse derivare un vulnus alla qualità e al prestigio del vino italiano. «Purtroppo il nostro paese è sempre in ritardo. La nostra politica dovrebbe seguire di più gli imprenditori. Per fortuna nell’ultimo periodo hanno corretto il tiro», spiega Parisi. La sfida è chiara. «Dobbiamo avvicinarci ai giovani, che sono sempre più lontano dal mondo del vino. Il quantitativo di alcol non è più considerato un indice di qualità. In questo modo potrebbero interessarsi al mondo del vino. È una strada possibile da percorrere», assicura.

Ma c’è un altro incubo che incombe sui produttori: il cambiamento climatico. «Così non sappiamo cosa ci riserveranno le stagioni. Dipende molto dalle zone. Per esempio, il sud est della Sicilia, senza piogge, è l’area che soffre di più. Con questi climi siccitosi c’è un aumento delle gradazioni – anche 14 o 15 gradi – che sono naturalmente più alte rispetto alle tendenze del mercato», avverte Parisi. Da qui l’urgenza di porre rimedio.

Feudi del Pisciotto

Primo obiettivo: ridurre l’alcol

Il primo obiettivo della ricerca avviata da Assovini Sicilia in collaborazione con l’Università di Milano è la riduzione dell’alcol. Come racconta Parisi, il risultato della sperimentazione saranno prodotti con 12, 10 e 8 gradi: «La sperimentazione non elimina completamente l’alcol, ma lo riduce di due e di quattro gradi. Quindi non parliamo di dealcolazione totale ma di basso contenuto alcolico.

La sperimentazione del progetto Innonda si basa su tre processi distinti, due tecnologici e uno microbiologico. I primi due sono l’osmosi inversa e l’evaporazione sottovuoto. Con la prima tecnica, spiega Parisi, «il vino viene fatto passare attraverso una membrana semipermeabile che trattiene l’alcol mentre permette all’acqua di passare». Con la seconda, «il vino viene sottoposto a pressione a una temperatura inferiore al punto di ebollizione dell’alcol sotto vuoto: così l’etanolo evapora mentre l’acqua rimane». La terza soluzione è microbiologica e si basa su «fermentazioni controllate con lieviti che garantiscono una ridotta produzione di alcol etilico. In tal caso si lavora con l’efficienza del lievito».

Dealcolazione: allarme costi

Quale delle diverse soluzioni è quella preferibile? Sul tema abbiamo raccolto il punto di vista di Silvio Centonze, l’enologo di Tenute Rapitalà, un’altra delle quattro aziende coinvolte nel progetto. «Dobbiamo capire se esistono dei lieviti che riescano a produrre meno alcol possibile. L’obiettivo è realistico: non cerchiamo di arrivare alla soluzione zero alcol, ma scendere senz’altro sotto i 14 gradi, fino al massimo ai 9. Così resta un vino – spiega – Se i lieviti ci aiutano in questa direzione ci permetterebbero di evitare i costi di dealcolazione». Costi che sono economici ma anche ambientali, perché «queste tecniche richiedono un uso importante di acqua e di energia, decisamente in controtendenza rispetto alle condizioni in cui versa la Sicilia».

Silvio Centonze, enologo Tenute Rapitalà

Il senso delle anfore per il nero d’Avola

L’altro ambito di sperimentazione della ricerca riguarda l’uso delle anfore. Nello specifico, tre anfore per cantina con tre diversi gradi di porosità. «Per le aziende più piccole, l’anfora è anche un modo diverso per comunicarsi. La nostra azienda è la più grande tra quelle partecipanti, ma anche noi dobbiamo fare dei progetti di nicchia per offrire dei prodotti che si allontanino dagli standard dei nostri competitor», spiega Centonze. Che aggiunge: «Alcune tostature del legno non sono consone e possono modificare il vino in negativo. Con le anfore possiamo ottenere l’integrità varietale e la stabilizzazione del colore». Per Centonze è ancora un campo inesplorato: «Io credo soprattutto al cemento senza vetrificazione, sull’anfora lavoro da poco e attendo di esprimermi, ci credo ma voglio capire».

Tenute Rapitalà

Se il mondo del vino se la tira troppo

Viceversa, ha idee molto chiare sulle politiche che hanno governato il mondo del vino, in particolare quello siciliano. Sulla crisi del Nero d’Avola dice: «Creare prodotti di successo e poi squalificarli è tipico delle nostre abitudini. Adesso anche il cambiamento climatico, con gradazioni alcoliche più alte, ci sfida. Certo, un nero d’Avola a 8 gradi può lasciare perplessi, ma tant’è: è tutto da scoprire. Ad ogni modo, viste le quantità, la Sicilia non potrà mai essere il luogo ideale per fare business sul dealcolato».

Anche lui denuncia il ritardo del nostro paese nella ricerca di nuovi mercati. «Che mercati vogliamo? L’Italia ha già perso il treno. Guardiamo i fatti. Dai 40 anni in giù non si beve più vino, i nuovi mercati amano concentrazioni più basse». Poi polemizza: «Intorno al vino c’è un eccesso di sacralizzazione. Ce la siamo tirata troppo. Il ventenne che va a mangiare l’hamburger non può acquistare un vino che dalla cantina parte a 6 euro e che il ristoratore rivende a 30 euro». E conclude: «Nel nostro territorio le cooperative generano povertà: il prezzo delle uve è lo stesso di 50 anni fa. I nostri territori sono in crisi con i contadini che estirpano. Siamo riusciti perfino a squalificare il bio». Osservazioni dure che fanno riflettere. Il trend dei vini dealcolati e dei vini in anfora riuscirà a invertire la rotta?



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