La nuova inchiesta di Fanpage.it “La Cattiva Scuola”, trasmessa a PiazzaPulita, ha svelato il mercato nero dei titoli scolastici. Durante l’indagine, abbiamo sostenuto un esame che si è rivelato una farsa: risposte già pronte, date e sedi falsificate, nessuna verifica reale delle competenze. E i candidati svolgono gli esami per conto di altri.
Attorno alla scuola si muove un vero e proprio business. Gli aspiranti docenti per scalare le graduatorie e sperare di essere chiamati dietro una cattedra hanno bisogno di accumulare punti: più punti hai, più hai la possibilità di riuscire a insegnare. Ottenere questi punti significa partecipare a corsi di formazione o master e ottenere quindi una certificazione. Ma non è sempre così che gli insegnanti guadagnano punti: rivolgendosi alle persone giuste, è possibile risparmiare tempo e portarsi a casa il titolo.
Nell’inchiesta sotto copertura “La cattiva scuola”, trasmessa a PiazzaPulita su La7, una giornalista di Backstair, il team d’inchiesta di Fanpage.it, si è finta un’aspirante insegnante intenzionata a guadagnare i famosi punti in graduatoria e ha cercato di ottenere diversi titoli. Quando si parla di titoli si fa riferimento a una serie di certificazioni informatiche, di lingua e master. A ogni titolo corrisponde un determinato numero di punti. A valere più punti è la certificazione di lingua straniera, che la giornalista di Backstair ha cercato di ottenere.
Le scatole cinesi dei “titolifici” per aspiranti insegnanti
Online è possibile imbattersi in decine e decine di enti che promettono di far ottenere qualsiasi livello di lingua in poco tempo. Non solo l’inglese: il team Backstair ha provato a contattare un ente che, tra le altre cose, offre la possibilità di ottenere certificazioni di lingua tedesca. Dopo esserci presentati come degli aspiranti insegnanti intenzionati a prendere una scorciatoia pur di guadagnare sei punti in graduatoria, otteniamo un incontro con la responsabile dell’ente.
Ci fissa un appuntamento in un ufficio con sede in provincia di Napoli. Quando arriviamo scopriamo che l’ufficio nasce dentro una scuola paritaria e la responsabile ci riceve in una stanza tappezzata dal logo di un noto istituto privato. Quando ci accoglie, senza troppi giri di parole inizia a parlarci di tariffe e punti: “Per gli esami di lingua sono sei punti”. È quello che vale di più, ci dice, perciò per convincerci a investire in questo tipo di esame – che è anche il più costoso – ci racconta che ha appena consigliato al fratello di conseguire la certificazione di tedesco. Ci diciamo interessati e ci riferisce che ci informerà di quando ci saranno le prossime sessioni d’esame.
Quando la ricontattiamo, dopo qualche giorno, per avere novità, la responsabile dell’ente ci informa che è previsto un esame per la settimana successiva e ci spiega come procedere. In un messaggio vocale inviato su WhatsApp, ci invita a seguire le sue istruzioni: “Inviami carta d’identità e codice fiscale. Ora ti mando anche la fotografia della carta su cui devi fare il bonifico”. Il bonifico si rivela però subito essere nient’altro che una ricarica su una carta prepagata, dall’ammontare di 700 euro. In allegato ci inviano due immagini: una della carta del destinatario, l’altra dell’intestataria, che scopriamo essere non la responsabile dell’ente che abbiamo contattato, ma un’altra persona. Questa è la moglie del titolare di un’altra società che si occupa di certificazioni, fondata solo un anno prima, e che sul registro delle imprese risulta titolata solo ad erogare “corsi di formazione e corsi di aggiornamento professionale senza il rilascio di attestati legalmente riconosciuti”. Perciò questa società si serve di un terzo istituto, con sede a Roma, che invece ha tutte le carte in regola per rilasciare attestati riconosciuti dal ministero.
“Appena hai fatto, mi mandi la ricevuta”, ci dice la responsabile del primo ente. Seguiamo alla lettera le sue istruzioni e in cambio abbiamo l’indirizzo a cui presentarci per sostenere l’esame. Quando ci mostriamo preoccupati per l’esito dell’esame, ci rassicura: “Vai là e non ti preoccupare di nulla. Ti dicono tutto loro”.
Un esame per interposta persona
L’appuntamento è fissato per il 16 aprile 2024 alle ore 11 in un hotel con un grande ingresso posizionato su una strada statale nella provincia di Napoli. Quando arriviamo, nel cortile troviamo decine e decine di persone che, come noi, sono in attesa di istruzioni più precise. Quando ci avviciniamo a una delle presenti, ci conferma di non sapere nulla: “Non abbiamo idea di come funzioni, sto aspettando un’amica che è entrata all’interno. Mi hanno detto solo ‘non ti preoccupare’. Dura un’oretta”. Anche gli altri intorno non hanno altri informazioni: “Mi hanno detto che ci spiegheranno tutto dentro”. Capiamo che qui a sostenere l’esame non ci sono solo persone arrivate tramite il nostro contatto: sono diversi gli enti e i sindacati che hanno indicato a queste persone di venire a svolgere l’esame in questa sede.
Quando ci fanno entrare nella hall, aspettiamo che ci chiamino per l’identificazione. Nel frattempo, chi viene chiamato viene invitato a scendere nella sala inferiore in cui si terrà l’esame: “Mi raccomando, spegnete il telefono – intimano gli organizzatori dell’esame – se vi vedono con il telefono, vi annullano l’esame”, continua. Tutti i presenti sono qui per il turno delle 11, ma vediamo passare davanti a noi le decine di partecipanti al turno delle 9.
Durante l’appello ci rendiamo conto che il nostro cognome non viene chiamato e ci avviciniamo ai tre seduti alla reception per capirne il motivo. Come noi altre tre persone. “Un attimo solo – ci dicono – perché può darsi che potete già andare”. In che senso?, chiediamo. Si avvicina quello che ci dicono essere il responsabile dell’ente e ci spiega la situazione: “Il vostro lo abbiamo fatto noi, perché non vi siete presentate”. “Voi eravate segnate alle 9 – ci dice una donna che fa parte dello staff – Mi fanno ancora male le mani”, aggiunge e ci confessa di aver svolto l’esame al posto nostro. “Ve lo risparmiate”, continua. “È già passato, a posto”, commenta il responsabile di prima, rivolto a noi e alla nostra collega di sventure, facendoci capire che ormai l’esame è fatto, siamo libere di andare. Quando chiediamo di capire meglio la situazione, ci dicono: “Noi vi tenevamo segnate alle 9, abbiamo chiamato il vostro referente che ha parlato col nostro referente principale e ha detto ‘no, non vengono’ e ve l’abbiamo fatto noi”. “Il problema – spiega ancora – è che eravamo in tre persone a fare quattro compiti diversi. È una questione di scrittura, non possiamo fare tutti i compiti con la stessa calligrafia”, e continua a spiegarci il sistema: “Se nella stessa sessione di esami vedono due calligrafie uguali, bocciano entrambi”.
È per questa motivazione che torniamo utili al sistema. Il responsabile torna da noi e ci chiede di fare quello che hanno fatto loro: sostenere l’esame al posto di altre due persone, che non si erano presentate all’appuntamento delle 11. “Venite qua. Non avete fatto il vostro, ma ne fate un altro. Scendete giù”. E così, dopo aver saputo che l’esame che avremmo dovuto fare era già stato fatto dai responsabili di questo ente, ci chiedono di fingerci un’altra persona per farlo al posto di qualcun altro.
La data e il luogo dell’esame non corrispondono
Prima di scendere al piano di sotto, però, devono dirci la data da inserire nella domanda delle Gps, le graduatorie provinciali di supplenza in cui questo titolo specifico ci garantirà di salire in graduatoria di ben sei punti. Ci dicono che nella data dobbiamo scrivere un giorno diverso da quello in cui l’esame si svolge effettivamente e specificare che il luogo in cui l’abbiamo fatto è Roma. Ma ci troviamo in una cittadina in provincia di Napoli: “Tu lo stai facendo a Roma, l’esame”. Quando ci mostriamo perplessi, ci risponde: “Ma voi siete a Roma, questa è un’ambasciata di Roma”.
Quando scendiamo, nella sala in cui si tiene l’esame, tutti i partecipanti sono in attesa delle istruzioni dei due docenti, che siedono di fronte a loro, in cattedra. Il responsabile ci presenta ai due: “I loro esami li abbiamo già fatti, li fanno al posto di [omissis, ndr] e [omissis, ndr]”. Ci fanno sedere e uno dei due insegnanti ci spiega come procedere: “Dovete inserire solo la data, ma la data d’esame è un’altra”. La data d’esame, infatti, cambia da persona a persona. Il perché è presto detto: “Questa è la tua data d’esame, la dovete mettere alla fine”. Ma perché la data è diversa? “Dato che l’esame è su più giorni…”, “Bisogna spalmarli”, “Esatto”, risponde il docente. A spiegare meglio la questione della data, però, è la sua collega: “Data d’esame, oggi? No. All’interno avete due fogli, uno con la lettera e uno con una tabellina. Prendete il foglio con la tabellina, c’è una data: quella è la vostra data d’esame. Ora, nessuno è andato mai a controllare”. Le date sono retroattive e insorgono delle incompatibilità. Dopo uno scambio di date tra esaminati, si può procedere alla compilazione dell’esame.
Il docente ci dice di inserire le altre informazioni, oltre alla data, ma poi si blocca: “Non so se è maschio o femmina, aspetta vado a vedere se sei maschio o femmina”. Quando una delle partecipanti chiede se l’esame è lo stesso per tutti, sempre lo stesso docente risponde: “Sono tutti diversi. Che diamo un compito per tutti? E mica siamo scemi”. E quando ci mostriamo preoccupati per l’esito dell’esame che stiamo facendo per un’altra persona, ci rassicura così: “Sta’ tranquilla, easy, respira e fa’ una scrittura maschile”. Poi passa a spiegarci come svolgere l’esame: “Voi dovete riscrivere tutto, paro paro”.
L’esame consiste nel copiare un foglio precompilato
Il test, ci spiegano, si compone di due parti: una a crocette e una lettera da tradurre in tedesco. Nel plico dell’esame troviamo due fogli slegati, su uno ci sono le risposte alle crocette, nell’altro c’è un breve testo in tedesco: è la traduzione di cui abbiamo bisogno, da copiare lettera per lettera. “Verso la fine trovate quella sorta di beta – riferendosi alla ß”, ci chiedono di stare attenti. “Come va scritto? In stampatello, corsivo?” Chiedono. “Non scrivete tutti in maiuscolo, perché quello è un problema. Non scrivete in stampatello minuscolo perché è palese che state copiando da una stampa. Alla fine della lettera, per buon senso, metteteci la firma”. I docenti passano tra i banchi e suggeriscono di modificare delle parole, di scrivere meglio le lettere, suggeriscono come compilare il tutto.
Una volta finito l’esame, ognuno va a consegnare il suo compito ai due docenti. Quello che ci ha assistito per tutto l’esame, vedendoci preoccupati per l’esito, ci rassicura: “Tanto va bene. Questi esami li ho fatti io. Penso che quello che l’ha copiato per te, te lo faccia prendere. Sennò, segnati il nome”. Ne approfittiamo per chiedere informazioni aggiuntive su altre certificazioni. Ci fingiamo residenti nel Lazio: “Ascolta a me, scrivi [omissis], in via [omissis]. Chiedi di [omissis], solo di lei. Scrivi: scuola internazionale di lingua”.
Torniamo nella hall dell’albergo. Qui gli organizzatori si accertano che abbiamo seguito pedissequamente tutte le istruzioni, soprattutto in relazione alla data. Ci salutano e ci informano che il certificato arriverà in tempo per essere inserito nella domanda delle Gps. Qualche settimana dopo in chat ci arriva una foto da parte della referente dell’ente che ci aveva mandato lì, è un documento con un’intestazione in tedesco: “Ciao, ecco il tuo B2 di tedesco”.
a cura di Cristiana Mastronicola
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