ma dove vuole andare l’America di Trump?

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«Promesse fatte, promesse mantenute» è lo slogan con cui la Casa Bianca ieri ha postato la foto choc delle prime deportazioni di migranti dagli Usa – Ansa

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Nel giorno della Marcia per la vita di Washington – alla quale Donald Trump ha partecipato nella tarda serata italiana in video dalla California – la Casa Bianca posta sui social l’immagine di una fila di immigrati in catene che vengono imbarcati su un cargo militare e la scritta «i voli di deportazione sono iniziati», mentre il presidente ordina raid nelle chiese e nelle scuole. Allo stesso tempo, il tycoon grazia 23 attivisti pro-life, condannati per aver bloccato l’accesso alle cliniche abortive.

Sono due aspetti coesistenti e contraddittori della nuova Amministrazione repubblicana, che, non appena insediata, non ha perso tempo a «inviare un messaggio forte al mondo», come recitava ieri su X l’account della presidenza: che le porte del sogno americano si sono chiuse per chi non ha documenti in regola, per chi avrebbe diritto di presentare domanda d’asilo e persino per il milione e mezzo di rifugiati entrati legalmente negli Usa da Paesi a rischio grazie a un programma umanitario voluto dai dem. Tutti, ora, sono a rischio di espulsione. Una dicotomia nella protezione dei vulnerabili sottolineata dal presidente della Conferenza episcopale Usa Timothy Broglio, che ha evidenziato come «alcune disposizioni incentrate sul trattamento degli immigrati e dei rifugiati, sugli aiuti esteri, sull’espansione della pena di morte e sull’ambiente, sono profondamente preoccupanti e avranno conseguenze negative, danneggiando i più vulnerabili tra di noi».

Mentre migliaia di manifestanti sfilavano per le vie della capitale Usa, incoraggiati dall’ingresso nello Studio ovale di un Commander in chief contrario all’aborto e di un vicepresidente cattolico e pro-life come J.D. Vance (intervenuto in persona alla marcia), la portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt annunciava l’avvio della «più grande operazione di deportazione di massa della storia», lanciata con l’arresto di «538 criminali immigrati clandestini» e l’espulsione di centinaia di loro con aerei militari statunitensi, due dei quali sono già atterrati in Guatemala. Trump intanto ordinava la chiusura degli uffici immigrazione aperti da Joe Biden in Colombia, Costa Rica, Ecuador e Guatemala per esaminare le domande d’ingresso e dissuadere i cittadini di quei Paesi dall’attraversare il confine americano in modo illegale e sospendeva il programma di ammissione per i profughi provenienti da guerra e violenza, annullando i permessi ottenuti da 1,4 milioni di persone negli ultimi quattro anni dopo aver superato interviste e screening di sicurezza. La nuova era anti-immigrazione prendeva forma anche a Capitol Hill, dove il Senato prima e la Camera poi hanno approvato la prima legge del secondo mandato Trump: il Laken Riley Act, che prende il nome da una studentessa assassinata l’anno scorso da un venezuelano ricercato per furto.

Il provvedimento prevede la detenzione fino alla deportazione di un’ampia fascia di stranieri senza documenti che hanno commesso reati minori come il furto o il taccheggio, e costringerà tutte le forze dell’ordine americane a occuparsi di anche di immigrazione. Secondo un documento dell’ufficio delle dogane, inoltre, Trump si sta preparando ad imporre agli agenti di frontiera di negare l’ingresso ai richiedenti asilo se «hanno viaggiato attraverso un Paese con malattie trasmissibili». La nota sottolinea che anche un raffreddore può essere contagioso, chiudendo di fatto il confine a chiunque tenti di chiedere asilo. Per portare avanti la stretta, il dipartimento degli Interni ha ampliato i poteri degli agenti dell’Ice — Immigration and Customs Enforcement — e li ha autorizzati ad arrestare i migranti anche nelle chiese e nelle scuole. «Non avranno luoghi sicuri in cui nascondersi», avverte la nota, che revoca una direttiva dell’amministrazione Biden che indicava di evitare raid in questi luoghi o nelle loro vicinanze.

Un interventismo che il movimento per la vita accorso ieri sul Mall innevato di Washington sperava Trump estendesse anche alla difesa nei non nati «smantellando l’agenda aggressiva e impopolare dell’amministrazione Biden», come ha detto la presidente della Marcia, Jeanne Mancini, e abbandonando le posizioni timide contro l’interruzione della gravidanza adottate in campagna elettorale, quando Trump si è scagliato contro il divieto di aborto dopo sei settimane della Florida come troppo radicale e ha assicurato che non avrebbe ratificato un divieto federale all’aborto.

Dopo che la Corte Suprema degli Stati Uniti, nel 2022, ha annullato la sentenza Roe contro Wade che tutelava a livello federale dell’aborto, le leggi in materia sono diventate competenza degli Stati, ma gli attivisti pro-life non hanno smesso di sperare in una messa al bando a livello nazionale, he sono convinti resisterebbe ai ricorsi legali dei gruppi abortisti. Molto meno scontato è l’esito dell’ordine esecutivo con cui Trump ha negato ai figli di immigrati senza documenti la cittadinanza per diritto di nascita. Giovedì il giudice federale John C. Coughenour si è schierato dalla parte degli Stati democratici che avevano fatto ricorso, sospendendo l’ordine sullo ius soli come «palesemente incostituzionale».

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