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Un volo di stato chiude il caso Al Masri

La vicenda dell’arresto e del successivo rilascio di Al Masri, comandante della polizia giudiziaria di Tripoli destinatario di un mandato di arresto internazionale eseguito in Italia lo scorso 19 gennaio, è in queste ore al centro del dibattito soprattutto in ragione della successiva, peculiare decisione del Ministero dell’Interno di disporre il rimpatrio del criminale libico, eseguito prontamente attraverso un volo di stato.

Nelle relazioni tra Italia e Libia da quasi vent’anni si intersecano esigenze di realpolitik ed espedienti tesi a salvare l’apparenza sul piano del diritto internazionale.

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Le implicazioni della vicenda sotto il profilo strettamente giuridico sono – e saranno – complesse. Nel tentativo di offrire al dibattito un contributo tecnico, come ci compete, proponiamo di seguito un’analisi della vicenda giudiziaria e del contesto normativo ed istituzionale in cui si colloca.

 

La Corte di Appello di Roma ordina la scarcerazione di Al Masri: alcune riflessioni sull’esecuzione da parte delle autorità italiane dei mandati d’arresto emessi dalla Corte Penale Internazionale

di Lavinia Parsi 

Lo scorso 19 gennaio, veniva tratto in arresto Njeem Osama, noto come Al Masri (“l’egiziano”), poi rilasciato per ordine della Corte di Appello di Roma il 21 gennaio. L’arresto avveniva sulla base di un mandato emesso dalla Corte Penale Internazionale (CPI) il giorno precedente per crimini di guerra e crimini contro l’umanità, commessi almeno dal 2015 nel centro di detenzione di Mitiga, il più grande della Libia occidentale.

Più precisamente, Al Masri è indagato da parte della CPI per i crimini di guerra di omicidio, tortura e trattamenti crudeli (ai sensi dell’art. 8(2)(c)(i) dello Statuto di Roma), oltraggio alla dignità personale (art. 8(2)(c)(ii)), stupro, violenza sessuale e schiavitù sessuale (art. 8(2)(e)(vi)) e per i crimini contro l’umanità di omicidio (art. 7(1)(a)), riduzione in schiavitù (art. 7(1)(c)), detenzione illegittima (art. 7(1)(e)), tortura (art. 7(1)(f)), stupro, violenza sessuale e schiavitù sessuale (art. 7(1)(g)), persecuzione (art. 7(1)(h)) ed altri atti disumani (art. 7(1)(k)) commessi nei confronti di migranti ed oppositori. Tali crimini, già ampiamente documentati da numerosi avvocati per i diritti umani e dalla Independent Fact Finding Mission on Libya delle Nazioni Unite, venivano sistematicamente commessi a Mitiga da parte delle Forze Speciali di Deterrenza (note come “Rada’a”), un’unità islamista radicale formatasi in seno alla polizia militare di Tripoli durante la guerra civile del 2011 e che rappresenta ad oggi una delle maggiori milizie in controllo del Paese. In qualità di direttore del centro di detenzione di Mitiga, e membro di Rada’a, Al Masri avrebbe commesso personalmente, ordinato o partecipato alla commissione delle condotte di cui sopra.

Per questi motivi, simultaneamente all’emissione del mandato d’arresto, il 18 gennaio 2025 la CPI inoltrava una richiesta di apposizione di red notice da parte di Interpol, così da allertare le forze dell’ordine competenti nelle giurisdizioni nazionali interessate e richiedere l’arresto dell’indagato. La stessa notte, quindi, la D.i.g.o.s. di Torino arrestava provvisoriamente Al Masri, trasmettendo la relativa nota alla Corte di Appello di Roma (competente in materia ex art. 11 della l. 237/2012, relativa all’adeguamento alle disposizioni dello Statuto della CPI) e al Ministero della Giustizia, in data 19 gennaio 2025. La Corte di Appello, sentito il Procuratore Generale, rilevava l’irritualità dell’arresto ed ordinava l’immediata scarcerazione di Al Masri. Come si legge nel provvedimento, la fonte per l’applicazione della misura cautelare ai fini della consegna alla CPI è correttamente identificata nell’art. 11 della l. 237/2012, il quale dispone che – nei casi in cui sia già stato emesso dalla CPI un mandato d’arresto o una sentenza di condanna a pena detentiva – il Procuratore Generale presso la corte di Appello di Roma, ricevuti gli atti, chiede alla medesima corte l’applicazione della misura della custodia cautelare nei confronti della persona della quale è richiesta la consegna. La trasmissione degli atti al Procuratore Generale, invece, è affidata al Ministro della Giustizia che, ex art. 2, comma 1 della l. 237/2012, cura in via esclusiva i rapporti con la CPI, ad egli competendo di ricevere le richieste dalla Corte e darvi seguito.

Nel caso di specie, la Corte di Appello rileva che la D.i.g.o.s. di Torino, pur richiamando l’art. 11 della l. 237/2012, non ha atteso la richiesta del Procuratore Generale ai fini dell’applicazione della misura, ma ha agito di propria iniziativa, apparentemente ai sensi dell’art. 716 c.p.p.: tale norma, relativa alle procedure di estradizione, in casi di urgenza, prevede infatti la possibilità di effettuare un arresto su iniziativa della polizia giudiziaria, simultaneamente informando il Ministro della Giustizia e la Corte d’appello competente. A parere dei giudici, l’arresto di Al Masri sarebbe dunque irrituale perché sarebbe avvenuto in applicazione della procedura prevista per l’estradizione, e non invece di quella prevista per l’esecuzione dei mandati d’arresto emessi dalla CPI. A conferma di ciò, la Corte di Appello sottolinea che è prevista dalla stessa l. 237/2012 una norma rubricata “Applicazione provvisoria della misura cautelare” (art. 12), la quale rinvia però alla stessa procedura prevista dall’art. 11, e quindi alla richiesta da parte del Procuratore Generale in seguito a ricezione degli atti da parte del Ministro della Giustizia. Vale la pena notare che, come si apprende dall’informativa della D.i.g.o.s. relativa all’esecuzione dell’arresto, era una nota della Direzione Centrale della Polizia Criminale – Servizio di Cooperazione Internazionale, presso il Ministero dell’Interno, a pregare la Questura di Torino di “valutare la sussistenza delle condizioni e l’opportunità di procedere ai sensi degli art 716, in relazione al 715, del c.p.p.”.

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A parere di chi scrive, vi era spazio almeno per un’interpretazione alternativa da parte della Corte di Appello. Come giustamente rilevato nell’ordinanza, l’art. 3 della l. 237/2012 prevede che, laddove non sia disposto diversamente, in materia di consegna, cooperazione ed esecuzione di pene si osservino le norme contenute nel libro XI, titoli II, III e IV del codice di procedura penale. Nei casi di mandato d’arresto emesso dalla CPI, quindi, se non previsto altrimenti, sono effettivamente applicabili le norme relative all’estradizione. Ebbene, la Corte di Appello di Roma esclude l’applicabilità dell’art. 716 c.p.p. in quanto la procedura per l’applicazione (anche provvisoria) di misure cautelari è prevista dagli artt. 11 e 14 della l. 237/2012: in osservanza del brocardo ubi lex voluit dixit, se il legislatore avesse voluto prevedere una forma di arresto su iniziativa della polizia giudiziaria, avrebbe redatto una norma a ciò dedicata. Tale lettura, tuttavia, è apparentemente contraria alla lettera dell’art. 3, l. 237/2012, che prevede – all’opposto – che le lacune possano e debbano essere colmate alla luce delle disposizioni rilevanti del codice di procedura penale: ciò avviene anche per aspetti essenziali inerenti all’applicazione di misure cautelari, come i termini che, non previsti espressamente dalla l. 237/2012, sarebbero altrimenti da considerarsi assenti tout court.

Anche un’interpretazione teleologicamente orientata delle norme in oggetto sembrerebbe militare a favore dell’applicabilità della procedura prevista dall’art. 716 c.p.p. ai casi di mandati d’arresto emessi dalla CPI. Sarebbe infatti illogico che l’ordinamento italiano prevedesse la possibilità di intervento su iniziativa della polizia giudiziaria per reati comuni e non per i crimini internazionali puniti dallo Statuto di Roma, che sono per definizione connotati da una eccezionale gravità. Inoltre, alla luce degli interessi tendenzialmente collegati alla posizione degli indagati oggetto di mandato d’arresto da parte della CPI, non potere applicare una procedura che assicuri l’arresto in tempi estremamente rapidi significherebbe, nella maggior parte dei casi, frustrare ogni possibilità di azione da parte della Corte.

A prescindere dall’adesione o meno all’interpretazione proposta dalla Corte di Appello di Roma, merita attenzione il fatto che sembra esserci stato un inadempimento da parte del Ministro della Giustizia, il quale non avrebbe trasmesso gli atti relativi al mandato d’arresto nei confronti di Al Masri al Procuratore Generale. Il fatto appare ancor più rilevante, poiché oltre ad avere ricevuto la richiesta attraverso i canali previsti per queste comunicazioni con la CPI, il Ministro della Giustizia era stato opportunamente avvisato dalla D.i.g.o.s. di Torino il 19 gennaio e dal Procuratore Generale il 20 gennaio. Come rilevato nell’ordinanza, il 21 gennaio il Ministero non aveva ancora fatto pervenire alcuna richiesta relativamente all’arresto di Al Masri.

La ricostruzione rispecchia quanto rilevato dalla CPI in un comunicato stampa dedicato. Nel comunicato si riporta che, immediatamente dopo l’esecuzione dell’arresto, la Corte, su espressa richiesta delle autorità italiane, si era astenuta dal commentare pubblicamente la notizia; al tempo stesso, essa aveva continuato a impegnarsi con le autorità italiane per garantire l’effettiva esecuzione di tutti i passaggi procedurali richiesti dallo Statuto di Roma. In questo contesto, la Cancelleria della CPI aveva altresì ricordato alle autorità italiane che, nel caso in cui avessero riscontrato problemi capaci di ostacolare o impedire l’esecuzione della richiesta di cooperazione, avrebbero dovuto consultare la Corte senza indugio per risolvere la questione. Le autorità italiane, tuttavia, non rispondevano mai a tali solleciti: il 21 gennaio 2025, senza preavviso o consultazione alcuna, la Corte apprendeva che Al Masri era stato rilasciato e riportato in Libia.

Se, da un lato, l’esitazione si presta a facili interpretazioni, anche alla luce degli esposti presentati alla CPI nei confronti di alcuni Ministri ed ex-Ministri italiani proprio in relazione ai crimini commessi contro i migranti in Libia, vale la pena ricordare che, d’altro canto, l’Italia occupa un ruolo di cruciale importanza nell’indagine in oggetto, rappresentando uno dei quattro Paesi componenti la Squadra comune relativa ai crimini commessi contro i migranti in Libia, di cui è parte anche l’Ufficio della procura della stessa CPI. Tale grave inadempimento, oltre ad essere stato oggetto di richieste di spiegazioni da parte di alcuni parlamentari e di una denuncia per artt. 378 e 314 c.p., è attualmente oggetto di verifica da parte della CPI. In effetti, agli articoli della l. 237/2012 sin qui menzionati, pare opportuno (se non necessario) aggiungere un riferimento all’art. 1, che sancisce un “obbligo di cooperazione” dello Stato italiano con la CPI: nonostante nelle ultime settimane vari membri del Governo abbiano rilasciato dichiarazioni di segno opposto, eseguire i mandati d’arresto della Corte rappresenta a tutti gli effetti un obbligo per gli Stati Parte, che si sono in tal senso impegnati tramite la firma e la ratifica dello Statuto di Roma. Pertanto, come già rilevato da alcuni avvocati ed organizzazioni per i diritti umani, la condotta dell’Italia rappresenta altresì una violazione dell’art. 89 dello Statuto di Roma, il quale prevede che: “Gli Stati contraenti, in conformità alle disposizioni della presente Parte e alla procedura prevista dal loro diritto nazionale, ottemperano alle richieste di arresto e consegna.”

CPI, Camera Preliminare I, Situazione in Libia, “Warrant of Arrest for Mr Osama Elmasry / Almasri Njeem”, ICC-01/11-149-US-Exp (18 gennaio 2025).

ICC-01/11-149-US-Exp, para. 17-90.

Come emerge dal mandato d’arresto nonché, da anni, dalle testimonianze raccolte da organizzazioni della società civile e dai rapporti pubblicati dalle Nazioni Unite, le vittime comprendono tuttavia anche avvocati, attivisti per i diritti umani e soggetti discriminati a causa del loro orientamento religioso o sessuale.

UNGA, Human Rights Council, “Report of the Independent Fact Finding Mission on Libya”, A/HRC/52/83 (20 marzo 2023), para. 57-58, 61-66, 84, 97; UNGA, Human Rights Council, “Report of the Independent Fact Finding Mission on Libya”, A/HRC/50/63 (22 giugno 2022), para. 36-39, 65-66, 92-93.

Come riportato nel mandato d’arresto, Al Masri dirigeva il carcere di Mitiga ed in particolare “era responsabile della gestione delle guardie, come dimostra il fatto che organizzava i loro turni e dava loro istruzioni e ordini. Assistendo il trattamento dei detenuti, decidendo l’assegnazione e la riassegnazione dei detenuti a fini organizzativi, al fine di punire i detenuti o per impedire qualsiasi forma di comportamento contrario, sembra che [Al Masri] abbia anche esercitato un controllo amministrativo sulle persone detenute nel carcere di Mitiga. Picchiare i detenuti era una pratica comune tra le guardie carcerarie e i comandanti, i quali riferivano al signor [Al Masri]. In alcune occasioni il signor [Al Masri] era presente mentre le guardie percuotevano i detenuti o sparavano contro di loro. [Al Masri] avrebbe ordinato alle guardie di picchiare i detenuti in modo che le ferite non fossero visibili. Inoltre, avrebbe punito le guardie che aiutavano i detenuti ad avere contatti con le loro famiglie o a procurarsi cibo migliore.”

Come è noto, sebbene le red notice non rappresentino per se un mandato d’arresto, esse rappresentano una richiesta su scala globale di arrestare provvisoriamente i soggetti indicati, in quanto ricercati da Stati terzi o da tribunali internazionali.

Corte di Appello di Roma, Sez. IV Penale, R.G. 11/2025, Ordinanza in materia di consegna ex lege 237/2012 Corte Penale Internazionale (21 gennaio 2025).

Ministero dell’Interno, Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale della Polizia Criminale – Servizio di Cooperazione Internazionale, Prot. MI-123-U-B-1-2-FD-2025-51, 19 gennaio 2025.

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Come noto, la CPI non prevede la possibilità di procedere nei confronti di imputati in absentia. Solo in casi assolutamente eccezionali, la Corte ha recentemente determinato che è possibile svolgere l’udienza di conferma delle accuse (equiparabile all’udienza preliminare prevista dal nostro ordinamento) in assenza dell’indagato. Si veda: CPI, Camera Preliminare III, Situazione in Uganda, Procuratore c. Joseph Kony, “Decision on the criteria for holding confirmation of charges proceedings in absentia”, ICC-02/04-01/05-532 (29 ottobre 2024).

CPI, Comunicato stampa: “Situation in Libya: ICC arrest warrant against Osama Elmasry Njeem for alleged crimes against humanity and war crimes” (22 gennaio 2025).

Per una ricostruzione compiuta degli esposti presentati alla Corte Penale Internazionale sia consentito il rinvio a: Lavinia Parsi, Francesca Vitarelli, “Attuazione delle politiche anti-migratorie e crimini contro l’umanità: emergenti parallelismi ed esigenze di coordinamento tra giustizia penale nazionale e internazionale”, Sistema Penale 9/2023.

CPI, Comunicato stampa: “Statement of ICC Prosecutor, Karim A.A. Khan QC: Office of the Prosecutor joins national authorities in Joint Team on crimes against migrants in Libya” (7 settembre 2022).

Ansa, Le opposizioni all’attacco contro la scarcerazione del comandante libico Almasri” (22 gennaio 2025).

Come riportato da fonti giornalistiche, la denuncia è stata presentata presso la Procura di Roma nei confronti della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, il Ministro della Giustizia Carlo Nordio ed il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, titolare della delega ai servizi segreti, su iniziativa dell’ex-sottosegretario alla Giustizia Luigi Li Gotti. Si veda: Ansa, “Avvocato denuncia Meloni e Piantedosi su caso Almasri” (23 gennaio 2025).

Da ultimo, il Ministro degli Esteri Tajani avrebbe commentato il caso affermando che “L’Aia non è la bocca della verità, si possono anche avere visioni diverse. Noi siamo un Paese sovrano e facciamo la nostra politica”, Euronews, “Il ministro dell’Interno Piantedosi: ‘Al Masri pericoloso, espulso per la sicurezza dello Stato’” (23 gennaio 2025).

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Si veda da ultimo: CPI, Camera Preliminare II, Situazione in Ucraina, “Finding under article 87(7) of the Rome Statute on the non-compliance by Mongolia with the request by the Court to cooperate in the arrest and surrender of Vladimir Vladimirovich Putin and referral to the Assembly of States Parties”, ICC-01/22-90 (24 ottobre 2024).

Fédération Internationale pour le Droits Humains, “Italy’s failure to surrender Libyan suspect to the International Criminal Court is a breach of its Rome Statute obligation” (23 gennaio 2025).



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