Il 27 gennaio di quest’anno ricorre l’ottantesimo anniversario della liberazione del campo di concentramento di Auschwitz, luogo simbolo dello sterminio di milioni di persone, in primo luogo di ebrei, che lì e negli altri centri della spietata macchina della morte nazifascista furono deportati e uccisi. La data viene celebrata ogni anno come Giorno della Memoria, al fine di non dimenticare mai in quale misura l’odio e il razzismo possano portare ad atrocità inimmaginabili. In questo contesto, non può che destare preoccupazione l’infame gesto nazista (il cosiddetto saluto romano) con il quale il multimiliardario Elon Musk ha salutato i sostenitori del nuovo-vecchio presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, durante la recente cerimonia di inaugurazione, nonostante gli apologisti siano subito saltati alla sua difesa. Pare che la storia non abbia insegnato nulla a coloro che dovrebbero dare un esempio edificante, ma ciò rende ancora più importante fare tutto il possibile affinché gli orrori del passato non vengano mai dimenticati.
Uno Stato fantoccio
Rientra in questo filone la mostra allestita al pianterreno del Museo d’Arte moderna e contemporanea (MMSU) di Fiume e intitolata “Objektiv NDH: opasni i nepoćudni po javni red i sigurnost” (Obiettivo NDH: pericolosi e temibili per l’ordine e la sicurezza pubblica) di Đorđe Mihovilović e Aneta Vladimirov, organizzata dall’Ente pubblico Area memoriale di Jasenovac e dal Consiglio popolare serbo. Come noto, lo Stato indipendente croato (NDH) fu uno Stato fantoccio d’Italia e Germania che dal 1941 al 1945 mise in atto le leggi razziali che riflettevano l’accettazione dell’ideologia della Germania nazista. Al fine di eliminare la popolazione ebraica, serba, rom, ma anche oppositori politici di ogni tipo, venne istituito il campo di concentramento di Jasenovac, su modello di quelli fondati dalla Germania nazista.
Il percorso espositivo si compone di schede personali degli arrestati, che venivano fotografati e sottoposti a un interrogatorio, per finire infine a Jasenovac. In gran parte si trattava di persone di nazionalità croata, in quanto le vittime delle leggi razziali, gli ebrei e rom, venivano internati dallo Stato indipendente croato mediante deportazioni. La mostra utilizza le schede personali come mezzo d’archivio di apprendimento e memoria. I dati riportati nelle schede, utilizzate all’epoca come mezzo di disumanizzazione, permettono ora di incontrare volti umani, di ricostruire parti della loro vita e la perpetua agonia e paura che soffrivano. Alcuni volti, grazie al loro impegno politico e il ruolo attivo nella lotta antifascista, sono già noti alla storiografia. La mostra, però, commemora coloro che finora sono sempre rimasti esclusivamente nei ricordi dei loro cari e delle loro piccole comunità.
Il sadismo organizzato
La première fiumana della mostra “Obiettivo NDH” propone le schede personali degli arrestati a Zagabria, ma anche di persone nate nell’odierno territorio della Regione litoraneo-montana. Nel percorso espositivo un’attenzione particolare è posta sulle schede personali dei detenuti il cui calvario iniziava nel momento in cui venivano fotografati. Lo scatto era seguito da brutali interrogatori che includevano senza eccezione umiliazioni e torture, dopodiché proseguiva con la deportazione a Jasenovac, nel quale il sadismo organizzato superava ogni esperienza precedente di sofferenza umana durante i conflitti bellici. I volti che si susseguono nel percorso espositivo sono quelli di uomini e donne che nella vita quotidiana erano contadini, massaie, artigiani, operai, politici, sindacalisti, comunisti, medici, insegnanti, artisti, preti. Erano giovani, studenti e alunni, ma anche anziani.
Una sezione della mostra si concentra sui comunisti coinvolti nella lotta antifascista e che nel campo di concentramento avevano cercato di organizzare rivolte, ma queste venivano soffocate rinchiudendo i “colpevoli” nelle “celle della morte”, come venivano chiamate, senza cibo né acqua. Molti di loro riuscirono a sopravvivere anche più di quaranta giorni in queste condizioni disumane prima di morire in agonia.
Volti noti alla storiografia
Come detto più sopra, alcune di queste persone hanno lasciato un’impronta nella storiografia attraverso la loro attività politica e come membri attivi della lotta antifascista, tanto che fino agli anni Novanta numerose strade, scuole e altre istituzioni nelle città e paesi croati portavano i loro nomi, oppure erano ricordati nei numerosi monumenti disseminati in tutto il Paese. Con l’indipendenza, in Croazia trovò forte espressione un’onda di revisionismo storico che negava i valori dell’antifascismo e si impegnava a riabilitare il regime ustascia portando alla distruzione di numerosi monumenti alla Lotta Popolare di Liberazione (paradossalmente, veniva così negato il sacrificio di tantissimi antifascisti nella lotta contro il fascismo, molti dei quali erano nonni e vicini di coloro che ora si rivoltavano contro la loro memoria). In contemporanea, numerose strade, piazze e istituzioni scolastiche cambiarono nome.
Le schede personali presentate nell’ambito dell’esposizione sono state tratte dal fondo della Questura di Zagabria (HR-HDA-259), che ne comprende complessivamente 7.824 e che riportano i dati di persone sospettate di attività politiche e altri tipi di “colpe”.
Il percorso espositivo rimarrà in visione fino al 27 gennaio, quando ricorre la Giornata della Memoria. L’ingresso è libero.
La mostra è stata allestita con il sostegno dell’Ufficio per i diritti umani e i diritti delle minoranze nazionali e del Ministero della Cultura e dei Media.
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