Rocco Maruotti, sostituto procuratore a Rieti e candidato con Area dg al parlamentino dell’Anm, il momento, come sappiamo, è complesso e si sta aprendo una partita decisiva sulle sorti dell’indipendenza della magistratura. Come dovrà e cosa dovrà fare la prossima giunta?
Quello che stiamo attraversando è uno snodo cruciale per il futuro assetto della democrazia, così come ci è stata consegnata dai padri costituenti. Il tentativo di riformare la magistratura mettendo mano al testo costituzionale, senza alcuna disponibilità al confronto e al dialogo, non solo all’esterno ma anche all’interno del Parlamento, è un fatto che dovrebbe preoccupare tutti. La prossima giunta avrà quindi il compito decisivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sui pericoli che questa riforma porta con sé e dovrà farlo perseguendo l’unità interna e cercando convergenze con tutti quei settori della società civile che hanno già compreso che la posta in gioco non riguarda solo i magistrati, ma tutti i cittadini.
L’ipotesi del referendum sulla riforma è sempre più concreta. Vede il rischio che questo appuntamento si trasformi in un sondaggio pro o contro la magistratura perdendo di vista il fatto che si tratterà di decidere su un’importante questione che tocca la Costituzione?
A voler impostare il referendum come un sondaggio pro o contro la magistratura è Nordio che ha preannunciato che si rivolgerà ai cittadini con un semplice quesito: “Vi piace questa giustizia? Se la risposta è no votate sì al referendum”. È evidente che l’obiettivo è banalizzare questioni molto più complesse. In realtà è bene che si sappia che, in questi termini, il referendum si risolverebbe in un giudizio sull’operato di Nordio, visto che l’articolo 110 della Costituzione affida a lui il compito di assicurare il buon funzionamento della giustizia. L’obiettivo dell’Anm, perciò, dovrà essere quello di continuare a spiegare che gli unici che potranno beneficiare di una eventuale vittoria del sì al referendum sono i politici, che vedranno ridursi il controllo di legalità sul loro operato, a scapito dei cittadini e del principio di uguaglianza.
L’Anm ha già fatto sapere di voler partecipare in maniera, diciamo, incisiva alla futura campagna referendaria. Non teme le accuse di politicizzazione?
La magistratura non fa politica e il magistrato ha, al pari di qualsiasi altro cittadino, il diritto di manifestare il suo pensiero. Inoltre, tra gli scopi statutari dell’Anm vi è quello di “dare il contributo della magistratura nella elaborazione delle riforme legislative, con particolare riguardo all’ordinamento giudiziario”. Piuttosto è la politica che ha smesso di svolgere il suo ruolo di guida autorevole del paese. L’Anm non è mai intervenuta su riforme che non riguardassero la giustizia, e ogni volta che è intervenuta nel dibattito pubblico lo ha fatto al solo scopo di fornire un contributo tecnico altamente qualificato. In questo caso, poi, non sono in discussione le prerogative dei magistrati, poiché la riforma non incide sul nostro status di lavoratori, ma tocca, in definitiva, l’autonomia e l’indipendenza della magistratura che sono i capisaldi della separazione dei poteri, che se questa riforma dovesse passare verranno inevitabilmente messe in discussione, come avviene in tutti quei paesi nei quali le carriere dei magistrati sono già separate.
Se dovesse dirne solo uno, qual è il lato della riforma della giustizia che considera peggiore?
La parte peggiore della riforma è quella che interviene sulla struttura, sulle funzioni e sulla modalità di individuazione mediante sorteggio dei componenti del Csm, perché con il suo sdoppiamento si finirà per allontanare i pm dalla “comune cultura della prova” che oggi li accomuna ai magistrati giudicanti. Con la creazione dell’Alta corte disciplinare si sottrae all’organo di autogoverno il potere disciplinare per affidarlo ad un tribunale speciale altamente gerarchizzato e questo da solo basterà a controllare i magistrati, a condizionarne in modo improprio l’operato e a sanzione quelli sgraditi; ma, soprattutto, l’introduzione del sorteggio priverà di autorevolezza e rappresentatività un organo di rango costituzionale, che diventerà anche l’unico per il quale varrà il motto “uno vale l’altro”, in spregio alla necessità che ad occuparsi di questioni complesse siano persone selezionate per le loro attitudini e per la loro rappresentatività dell’intera categoria dei magistrati.
Mettendo da parte la riforma, che giudizio dà dell’operato di questo governo in materia di giustizia?
Questo giudizio lo affido agli italiani, i quali, peraltro, disertarono il referendum sulla separazione delle funzioni dei magistrati del 2022, anno delle ultime politiche, a dimostrazione del fatto che chi ha votato per questa maggioranza non lo ha certo fatto perché considera la separazione delle carriere una priorità. Quello che rilevo tuttavia è che un governo che si professa liberale e garantista ha prodotto finora leggi che mirano a ridurre gli spazi di libertà dei cittadini e a propugnare un modello di contrasto al crimine che incide solo sulle fasce più fragili della popolazione, riducendo invece il controllo di legalità sui “colletti bianchi”. Scelte legittime ovviamente, ma che rischiano di determinare una involuzione verso una società meno eguale, meno coesa e meno solidale. Credo che questi temi interessino agli italiani più che la separazione delle carriere, che non servirà ad accorciare di un solo giorno la durata dei processi né a rendere la giustizia più giusta.
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