i magistrati di Palermo contestano il governo e lasciano l’aula

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Il presidente della corte d’Appello Matteo Frasca: ”Inopportuno attribuire la riforma della giustizia a Falcone”

Costituzione sul maxi schermo, coccarde tricolori su molte delle toghe presenti – a rimarcare la fedeltà nei principi contenuti nella Carta -, e aula disertata da decine di magistrati un attimo prima che il rappresentante del ministero della Giustizia prendesse parola. Un’inaugurazione dell’anno giudiziario così, a Palermo, non si vedeva da tempo. A caratterizzarla, diversamente dagli altri anni, è sicuramente il clima di dissenso verso l’esecutivo per le misure sin qui adottate che indeboliscono l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Questa mattina, infatti, al palazzo di Giustizia i magistrati palermitani hanno aderito alla protesta nazionale indetta dall’ANM per contestare la riforma della giustizia del governo Meloni. A cominciare dalla separazione delle carriere voluta dal ministro Carlo Nordio (approvata alla Camera lo scorso 16 gennaio). Una protesta silenziosa ma durissima, le cui ragioni sono più che evidenti ascoltando la puntuale relazione annuale del presidente della Corte d’Appello Matteo Frasca che ha inaugurato i lavori alla presenza del procuratore Capo Maurizio de Lucia, del presidente del Tribunale Piergiorgio Morosini, del procuratore nazionale antimafia Giovanni Melillo, della procuratrice generale Lia Sava e di alcune delle più alte cariche politiche ed ecclesiastiche della regione. Frasca, dopo aver riassunto i risultati positivi raggiunti nel 2024 dal Tribunale di Palermo “nonostante le coperture di organico che affliggono sia gli Uffici di primo grado sia la corte d’Appello”, ha subito manifestato “preoccupazione per le riforme in corso di approvazione” criticando i “continui attacchi alla magistratura”.

Nel suo intervento il presidente della Corte d’Appello non ha risparmiato critiche all’operato dell’esecutivo sul fronte della giustizia. A partire, appunto, dalla “separazione delle carriere”, che ha descritto come “punta di un iceberg la cui parte sommersa e forse la più preoccupante sta emergendo, anche se il suo effetto dirompente non viene colto appieno forse perché di minore impatto mediatico“. “La riforma della giustizia mira infatti – ha aggiunto – a introdurre altre modifiche dell’ordinamento giudiziario che si saldano con la separazione delle carriere e vanno ben oltre, iscrivendosi a pieno in un progetto unitario che vuole ridisegnare l’equilibrio tra i poteri dello Stato“. “Si tratta di interventi che, al di là delle ripetute dichiarazioni di continuità con l’attuale assetto costituzionale contenute nella Relazione di accompagnamento, in realtà sono destinate a creare proprio quella frattura che gli ideatori della riforma negano“. “La prima conseguenza – ha dichiarato – è l’indebolimento del ruolo del presidente della Repubblica che, per quanto designato alla presidenza di entrambi i due nuovi Consigli superiori, non potrebbe più esercitare l’indispensabile funzione di coordinamento e di mediazione nella magistratura complessivamente considerata“. Frasca si è poi rivolto al ministro Nordio, il cui rappresentante era seduto in prima fila nell’affollatissima aula magna del Tribunale.

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Da sinistra: l’arcivescovo Corrado Lorefice, il prefetto e il sindaco di Palermo Massimo Mariani e Roberto Lagalla e il senatore Roberto Scarpinato

Io per rispetto istituzionale credo al Ministro della Giustizia quando afferma che non è sua intenzione sostenere la sottoposizione della magistratura requirente al Potere esecutivo – ha affermato – anche perché sarebbe palesemente contraddittorio con la sua prolungata esperienza di pubblico ministero nel corso della quale sono certo che avrà avuto ripetute occasioni per apprezzare il valore dell’indipendenza. Ma la forza di un’Istituzione – ha puntualizzato – non sta nelle promesse dei governanti del tempo; sta nella predisposizione delle garanzie e degli anticorpi che la preservano anche solo dalla tentazione presente e futura di incrinarne le fondamenta”. Secondo il presidente della corte d’Appello di Palermo “il rischio è realmente alto se è vero che numerosi autorevoli giuristi hanno manifestato la certezza che il coerente epilogo, non necessariamente immediato, di questa riforma sarà la sottoposizione del pubblico Ministero al controllo del Potere Esecutivo, che potrà imporre di perseguire certi fatti di reato e di lasciarne impuniti altri. E’ una preoccupazione fortemente avvertita anche tra i neomagistrati tra i quali esiste il timore che questa riforma sarà l’anticamera della perdita dell’indipendenza da parte del pubblico ministero”. Nel frattempo “si accusano i giudici – ha ricordato il presidente – di essere ‘politicizzati’ e ‘antimaggioritari’ solo per avere emesso provvedimenti non conformi alla politica governativa e al tempo stesso, contraddittoriamente, si chiede che la magistratura assecondi o no ostacoli le scelte del potere esecutivo, che sarebbe la forma peggiore di politicizzazione”.

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Nella sua relazione Frasca ha affrontato con grande attenzione gli interventi della politica che stanno ostacolando o ostacoleranno il lavoro di pm e anche di avvocati. Nel farlo ha citato, a più riprese, Pietro Calamandrei, Papa Francesco ma anche Giovanni Falcone. E a proposito del giudice ucciso da Cosa nostra, il messaggio della corte è chiaro: “E’ quantomeno inopportuno il tentativo di attribuire la riforma della separazione delle carriere a Giovanni Falcone fino al punto di volerla intitolare a lui”, ha affermato il presidente. “E’ una idea davvero singolare sponsorizzata da chi, anche per ragioni anagrafiche, probabilmente non ha mai conosciuto Giovanni Falcone, ma che con sorprendente disinvoltura pretende di attribuirgli paternità di una legge facendosi interprete del suo pensiero mediante l’estrapolazione e la decontestualizzazione di alcune frasi di una lezione da lui tenuta a Catania il 12 marzo 1990“.

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Per Frasca, che nel suo intervento ha ricordato anche il magistrato Ciaccio Montalto (di cui oggi ricorre l’anniversario dell’assassino), “la memoria di Falcone merita rispetto non solo in occasione delle commemorazioni”. “E se davvero si vuole rendergli omaggi senza strumentalizzarne post mortem il suo ineguagliabile valore, basta praticare come regola di condotta il suo incrollabile senso dello Stato per il quale ha rispettato sempre le istituzioni e coloro che lo rappresentavano, anche nei momenti di maggiore amarezza: una lezione di etica di stile di cui oggi si avverte la necessità“.
La relazione del presidente della corte d’Appello si è poi conclusa con una citazione di Calamandrei nella quale il giurista invitava i giudici alla difesa della Costituzione. A seguire l’applauso, lunghissimo, di tutta la sala, specialmente dei magistrati palermitani che poco dopo, Costituzione alla mano, hanno abbandonato temporaneamente l’aula prima dell’intervento di Alessandro Buccino Grimaldi, rappresentante del ministro Nordio.

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Separazione delle carriere: le critiche dei procuratori e del tribunale

A parlare della riforma della separazione delle carriere è stata anche la procuratrice generale Lia Sava. “La separazione delle carriere è inutile, perché già sono davvero esigui i passaggi fra le due funzioni e non è idonea a garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura, mentre, come già sopra evidenziato, proprio le statistiche sulle sentenze di condanna di questo distretto dimostrano inequivocabilmente che non vi è appiattimento del giudice sulle richieste dell’organo dell’accusa. E’ fondamentale, invece, che il Pm resti inserito nella giurisdizione, mai svincolato egli stesso dal controllo del giudice, e non certo per un ”privilegio” della nostra categoria ma a garanzia dei diritti dei cittadini“. Le stesse preoccupazioni sono state espresse dal procuratore capo di Palermo Maurizio de Lucia, anche lui intervenuto durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario. “L’autonomia del pubblico ministero separata dalla giurisdizione non può essere, semplicemente non può essere in natura. Perché un organo di circa 2000 magistrati, indipendente da altri che non da sé stessi, è una cosa che in nessuna democrazia esiste e che nessuno di noi vorrebbe. E quindi è ineludibile il passaggio successivo: il pm sottoposto al controllo dell’esecutivo”, ha detto il procuratore.

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Ma attenzione: la scelta del pubblico ministero indipendente da ogni altro potere, politico in particolare – fatta dal nostro costituente nel ’48 -, non vuol dire soltanto una modifica sul tema dell’indipendenza che porterebbe un pm che protegge gli amici e che si dimentica dei nemici; ma l’esatto contrario: un pubblico ministro la cui scelta può essere orientata dal potere politico verso il nemico“. “Questa è la ragione per cui – ha proseguito – il pubblico ministero deve essere quanto più possibile lontano dagli indirizzi di maggioranza del corpo elettorale. L’autonomia che si conserva soltanto all’interno di un ordine giudiziario complesso nel quale la magistratura giudicante e quella requirente rimangono unite dal punto di vista ordinamentale. Mentre è già nei fatti e nella legge la separazione funzionale che – ha concluso – noi oggi già abbiamo. Andare oltre su questo piano non sarebbe un buon servizio per i cittadini e per la Repubblica”. Sul tema, infine, si è espresso il presidente del Tribunale di Palermo Morosini. “Se penso agli effetti della riforma costituzionale in gestazione, confesso la mia grande preoccupazione. Non solo per questi giovani magistrati che si stanno accingendo a svolgere funzioni così importanti e delicate, ma soprattutto per i cittadini destinatari del loro lavoro. Perché quella riforma che ha sulle labbra la separazione delle carriere, ha nel cuore la sensibile modifica degli equilibri tra magistratura e politica”, ha affermato Piergiorgio Morosini. “La combinazione tra doppio Csm, sorteggio secco dei togati e alta Corte disciplinare – ha aggiunto – è una combinazione che crea le condizioni per avere in futuro dei giudici allineati, apatici, ubbidienti e invisibili. E’ questo quello che vogliamo?“.

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Il punto sulla lotta alla mafia

Centrale, nei vari interventi dei rappresentanti del distretto di Palermo, il tema della lotta alla mafia. “Nel nostro Paese la questione criminale si intreccia spesso con la questione democratica”, ha esordito il presidente della corte d’Appello fornendo uno spunto generale sul tema inserendolo nel contesto dell’indipendenza della magistratura sul quale, come detto, ha concentrato il proprio intervento. “Stragi e omicidi di tipo politico, corruzione sistemica e una radicata e risalente presenza delle organizzazioni mafiose e la loro correlazione con apparati statali rafforzano il convincimento dell’importanza strategica dello statuto del pubblico ministero, soprattutto alla luce della sua storia che rappresenta plasticamente come il progressivo affrancamento dai condizionamenti esterni e interni abbia rappresentato un’autentica conquista democratica, corroborata dall’obbligatorietà dell’azione penale che concorre ad assicurare sia l’indipendenza del pubblico ministero sia l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge”. Venendo allo stato dell’arte sulla lotta alla mafia il procuratore de Lucia ha detto che “Cosa nostra è in fase di continua ristrutturazione”. “Il lavoro imponente che stiamo facendo tende a ridurre un meccanismo criminale che sta in questa terra da 170 anni e che, purtroppo, per un non breve periodo ci sarà per quanto grande sia lo sforzo della magistratura e delle forze di polizia del territorio, gli strumenti per sconfiggere cosa nostra stanno fuori da questo Palazzo di giustizia“.

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Per l’ala militare di Cosa nostra non è un momento facile, anziani capi detenuti hanno l’ansia di riprendere un ruolo attivo sul territorio e giovani rampanti cercano proiezioni future, contrastati dalla Dda che impedisce la ricostruzione di quella ‘cupola palermitana’ indispensabile alla mafia per essere sempre più potente. Ma dobbiamo intenderci: Cosa nostra non è sconfitta“. Dello stesso parere è anche la procura generale di Palermo. “Permane vigorosa una ‘mentalità mafiosa di cui sono cartina di tornasole una serie di condotte criminose che Cosa nostra realizza agevolmente grazie a un degrado etico che fa da sfondo al tempo che viviamo”, ha denunciato Lia Sava. “Una voglia di mafia e di ‘mafiare’ che è ben lungi da scomparire – ha aggiunto Sava – Le famiglie insediate sul territorio mirano a controllare non solo l’economia illegale, droga ed estorsioni, ma anche quella legale giovandosi dell’apporto malsano di imprenditori senza scrupoli. L’interesse di Cosa nostra alle più grandi e rilevanti opere pubbliche permane inalterato“.

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Foto © Paolo Bassani

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