La Corte d’Appello di Cagliari rimette alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea la questione della manipolazione EURIBOR.

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Nel caso di specie, parte appellante ha sollecitato l’iniziativa, ex art. 267 TFUE, affinché la CGUE si pronunci sull’interpretazione dell’art. 101 TFUE, chiarendo la portata di tale disposizione laddove stabilisce che «Sono incompatibili con il mercato interno e vietati tutti gli accordi tra imprese, tutte le associazioni di imprese e tutte le pratiche concordate che possano pregiudicare il commerci tra stati membri e che abbiano per oggetto o per l’effetto di impedire, restringere o falsare il gioco della concorrenza ed in particolare quelli consistenti nel: a) fissare direttamente o indirettamente i prezzi d’acquisto o di vendita ovvero altre condizioni della transazione…Gli accordi o decisioni, vietati in virtù del presente articolo, sono nulli di pieno diritto.».

Come noto, con le decisioni del 04.12.2013 e del 07.12.2016, la Commissione Antitrust Europea ha accertato un’infrazione unica e continuata nella condotta di alcune banche appartenenti al panel per aver partecipato a un cartello finalizzato ad alterare il procedimento di fissazione del prezzo di alcuni componenti dei derivati e, quindi, il rendimento medio EURIOBR, pubblicato nel periodo intercorrente tra il 29 settembre 2005 e il 30 maggio 2008. Siffatta manipolazione aveva inciso sul normale andamento del mercato degli EIRD, attraverso un innalzamento dell’EURIBOR, allo scopo di favorire la circolazione dei prodotti derivati a un prezzo falsato e ridurre anticipatamente il fattore di incertezza, che, altrimenti, sarebbe stato immanente nel mercato.

Con sentenza del 12 gennaio 2023, C-883/19, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha definitivamente statuito sulla querelle, confermando la qualificazione delle condotte attenzionate alla stregua di una restrizione della concorrenza per oggetto.

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Tutto ciò premesso, nel giudizio innanzi alla Corte cagliaritana si controverteva della validità della clausola di un contratto di mutuo fondiario, avente a oggetto il tasso variabile di interesse corrispettivo, determinato in misura pari alla somma di una quota fissa (pari all’1,50%) e di una quota variabile, costituita dal tasso mensile di 1/12 del tasso EURIBOR a sei mesi, moltiplicato per i giorni effettivi del semestre di applicazione, diviso per 360. Il contratto de quo era stato stipulato nel 2005 e rinegoziato nel 2015.

Ebbene, secondo la ricostruzione dell’appellante, la manipolazione del parametro EURIBOR, pubblicato nel periodo oggetto dell’infrazione, comportava la nullità, in parte qua, rilevabile anche d’ufficio, in ogni stato e grado, della clausola che la recepisce, conseguendone che il relativo credito da indebito comporterebbe la necessità di una diversa imputazione dei pagamenti eseguiti a capitale e interessi e, al tempo stesso, una correlata rimodulazione del piano di ammortamento, anche nel mutuo rinegoziato.

Richiamando i due pronunciamenti a Sezioni Unite, n. 2207/2005 e n. 41994/2021, viene in rilievo una ottica di “vasi comunicanti” tra la pratica anticoncorrenziale e i singoli negozia “a valle”, che ne concretino gli obiettivi.

La Cassazione, pronunciandosi sugli effetti che la manipolazione dell’EURIBOR avrebbe avuto sui contratti di mutuo stipulati dai consumatori, ha ricordato[1] che la stessa giurisprudenza di legittimità aveva già affermato che le intese vietate dalla legge antitrust non consistevano soltanto in accordi in senso tecnico, ma anche, del pari, in comportamenti non contrattuali o non negoziali. Di talché, la decisione della Commissione Antitrust Europea del dicembre 2013 doveva considerarsi prova privilegiata, a supporto della domanda finalizzata alla declaratoria di nullità dei tassi manipolati e alla conseguente rideterminazione degli interessi, nel periodo coinvolto dalla manipolazione, a prescindere dalla partecipazione (o meno) della banca all’intesa illecita.

Al tempo stesso, la Cassazione, con successivo pronunciamento[2], ha osservato che «Non può, peraltro, trascurarsi che, anche se le parti del singolo contratto non siano consapevoli delle intese o pratiche illecite di terzi volte ad alterare il parametro esterno costituito dall Euribor, qualora tali intese o pratiche abbiano effettivamente raggiunto, in concreto, il risultato dell effetto manipolativo perseguito, applicando ugualmente quel parametro, nel suo valore falsato, il concreto regolamento di interessi resterebbe alterato, a danno di uno dei contraenti Laddove, però, si accerti che il parametro richiamato sia stato alterato da una attività illecita posta in essere da terzi, viene meno il risultato, almeno parzialmente prevedibile, del meccanismo costituente il presupposto del riferimento al parametro esterno voluto dalle parti: è inevitabile, allora, concludere che esso non potrebbe ritenersi più in grado di esprimere la effettiva volontà negoziale delle parti stesse, almeno con riguardo alla specifica clausola che prevede il richiamo in questione, per tutto il tempo in cui l alterazione del meccanismo esterno di determinazione del corrispettivo dell operazione ha prodotto i suoi effetti». Ha, quindi, affermato che si pone il problema della sostituzione «laddove il parametro esterno richiamato nel contratto, invece di venire oggettivamente meno, perché in radice non più esistente, divenga sostanzialmente inidoneo a costituire l’espressione della volontà negoziale delle parti (eventualmente anche solo per un determinato periodo), perché alterato nella sua sostanza, a causa di fatti illeciti posti in essere da terzi, che siano tali da privarlo in radice delle caratteristiche per le quali le parti lo avevano richiamato nel contratto, quale presupposto del loro regolamento di interessi: in siffatta situazione, l’oggetto della clausola contrattuale, se il valore genuino e non alterato del dato di riferimento esterno non sia ricostruibile, sarà di impossibile determinazione e la clausola stessa dovrà ritenersi viziata da parziale nullità (originaria o sopravvenuta, a seconda dei casi), limitatamente al periodo in cui manchi il predetto dato. D’altra parte, applicare il parametro illecitamente alterato sarebbe palesemente contrario all’effettivo regolamento degli interessi voluto dalle parti, che hanno fatto riferimento a quel parametro proprio in virtù del suo ordinario – e non alterato – meccanismo di determinazione».

Ulteriormente, è stato affermato[3] che la restrizione della concorrenza valutata dalla Commissione avesse riguardato soltanto il mercato dei derivati e non avrebbe potuto produrre effetti nel mercato dei mutui a tasso variabile.

Per la Corte territoriale sarda si rende necessario chiarire se, alla luce del disposto dell’art. 16, comma 1, Reg. CE n. 1/2003, la prova delle manipolazioni dell’EURIBOR, sì come accertate nelle decisioni della Commissione Antitrust Europea e nella sentenza della CGUE C-883/19, debba ritenersi definitivamente raggiunta anche per le giurisdizioni nazionali e se la restrizione della concorrenza costituisca intesa vietata dall’art. 101 TFUE soltanto nel mercato dei derivati o, per converso, in qualunque altro segmento sia stata impegnato il parametro EURIBOR manipolato.

Invero, secondo il Collegio cagliaritano, sarebbe quantomeno “contraddittorio” ipotizzare che i dati forniti per la determinazione dell’EURIBOR, nel periodo dell’accertata manipolazione, possano essere utilmente richiamati in qualsiasi mercato, tra cui quello dei mutui a tasso variabile. Ritenere, difatti, che il secondo comma dell’art. 101 TFUE abbia a oggetto soltanto la censura della pratica anticoncorrenziale e non produca, al contempo, effetti “a cascata” sui rapporti negoziali che li recepiscono, svilirebbe la portata deterrente e ridurrebbe il divieto a mero precetto astratto.

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In conclusione, la Corte d’Appello rimette gli atti alla CGUE, ai sensi dell’art. 267 TFUE, sospendendo il procedimento.

 

 

 

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[1] Il riferimento è a Cass. n. 34889/2021; Cass. n. 4001/2024.

[2] Il riferimento è a Cass. n. 12007/2024.

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[3] Il riferimento è a Cass. n. 19900/2024.



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