Una legge elettorale applicabile con il premierato ma, soprattutto, anche senza premierato. E da subito. Perché un simile sistema metterebbe nelle mani della premier Meloni le chiavi della legislatura, compresa l’arma delle elezioni anticipate. È a questo che da oltre due settimane si ragiona a Palazzo Chigi e di cui si è parlato nel vertice di maggioranza di mercoledì scorso, dopo alcuni scambi informali tra gli sherpa dei partiti.
PER GLI ASPETTI TECNICI della formula elettorale, più che al cosiddetto Tatarellum (il sistema delle elezioni regionali a turno unico) si dovrebbe pensare al buon vecchio Porcellum ma «costituzionalizzato», vale a dire corretto secondo le indicazioni della Corte costituzionale che con la sentenza 1 del 2014 lo mandò in soffitta. Una correzione di quella formula che riprende una vecchia idea di Ignazio La Russa. L’aspetto politico è comprensibile facendo due passi indietro. Il primo ci riporta alla conferenza stampa di inizio anno della premier Meloni del 9 gennaio. A una domanda sulle riforme rispose che l’approvazione del premierato potrebbe slittare a fine legislatura, con il referendum confermativo che si terrebbe quindi dopo le elezioni politiche. In tal caso, disse Meloni, «a fine legislatura ragioneremo sulla legge elettorale». Un altro passo indietro ci permette di intuire il colpo di genio che ha spinto Palazzo Chigi a pensare a una legge elettorale compatibile con l’attuale sistema e il premierato.
AL MINISTERO delle Riforme hanno fatto osservare a Meloni che vanno cambiati i collegi dell’attuale legge, il Rosatellum. Infatti esso prevede che siano assegnati i seggi alle diverse regioni e circoscrizioni elettorali in base alla popolazione, così come certificata dall’ultimo censimento generale. Ebbene, i dati del censimento del 2021 sono disponibili da diversi mesi ed è quindi un atto dovuto del governo ridisegnare i collegi per consentire in qualsiasi momento al Quirinale di sciogliere le Camere e votare. Nella nuova mappa – come già calcolato dall’ufficio studi della Camera – le circoscrizioni della Camera di Calabria, Puglia, Sardegna, Abruzzo e Campania 2 perdono un deputato ciascuno, mentre ne guadagna due Milano (Lombardia 1), e uno ciascuno Lombardia 3, Roma (Lazio 1), Lazio 2. E analogamente accade per il Senato. Orbene, perché anziché limitarsi a un ritocco dei collegi, non pensare a una legge elettorale che vada bene sia con il premierato che senza?
IL VANTAGGIO POLITICO sarebbe evidente per la premier Meloni: la possibilità di minacciare le dimissioni, con conseguenti urne anticipate. Il che le consegnerebbe le chiavi della legislatura. E veniamo alla formula a cui si è ragionato. Durante la discussione in Senato sul premierato, il relatore Alberto Balboni ha detto che si punta a un sistema a turno unico con premio di maggioranza. Il sistema delle regioni, fu detto, appunto il Tatarellum. Non esattamente. Si pensi piuttosto vecchio Porcellum, la legge Calderoli: era una sistema proporzionale, ma con premio di maggioranza alla coalizione vincente e liste bloccate.
LA CONSULTA, nella sentenza 1 del 2014, ne bocciò due elementi: mancava una soglia minima per l’attribuzione del premio di maggioranza; non andavano bene le liste bloccate perché non consentivano all’elettore di conoscere i candidati e quelli che avrebbe mandato in Parlamento con il voto. Ebbene, con una soglia del 40% il primo problema è risolto. Per quanto riguarda il secondo ecco rispuntare una vecchia idea di Ignazio La Russa: capolista bloccato in ciascuna delle 28 circoscrizioni della Camera e in ciascuna regione per il Senato, preferenze per gli altri.
LE SEGRETARIE o i segretari dei partiti maggiori avrebbero la sicurezza di un nucleo di fedelissimi eletti come capilista bloccati, mentre con le preferenze si lascerebbe sfogo alle correnti interne (Schlein ne ha tratto vantaggio alle europee, visto che il pieno dei voti dei candidati della minoranza ha alzato lo score del suo Pd); i leader dei partiti medi (Fi, Lega, M5s e Avs) avrebbero tutti i propri «corazzieri» eletti. Ad arrancare sarebbero i partiti molto piccoli, che rischiano di non superare una soglia attorno al 3%, oggi garantiti dai collegi uninominali (es Noi Moderati, +Europa). Partiti tuttavia necessari alle coalizioni che grazie a un 2% ottengono il premio di maggioranza. Quando venerdì Dario Franceschini ha detto che non serve una coalizione formale di centrosinistra, e che occorre «valorizzare la parte proporzionale», forse aveva mangiato la foglia.
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