Dispiace che la Corte Costituzionale non abbia dato il suo disco verde al referendum sull’autonomia differenziata per cui erano state raccolte 1 milione e 300 mila firme. Restano gli appuntamenti altrettanto importanti su Jobs Act e cittadinanza. E le battaglie, parlamentari e non, su ddl Sicurezza e premierato.
La decisione della Corte Costituzionale di rendere inammissibile il referendum sull’autonomia differenziata lascia l’amaro in bocca. Dopo aver raccolto 1 milione e 300 mila firme e dopo la sentenza della Cassazione del dicembre scorso, che ha dichiarato legittimo il referendum abrogativo, la delusione è grande. Rispettiamo la decisione della Corte, che comunque aveva già falcidiato la legge di sette punti, tutti ritenuti incostituzionali. Aspettiamo di leggere le motivazioni dell’ultima sentenza, ma quello che ha detto a caldo il presidente della Corte ci suscita stupore: il referendum sarebbe stato dichiarato inammissibile, perché – così svuotato dalla precedente sentenza – avrebbe prefigurato un voto non sulla legge ma sul principio dell’ ”autonomia” regionale, come prevista dagli articoli 116 e 117 della Costituzione. Si tratta di una motivazione discutibile e pilatesca, una interpretazione come tante, più che una valutazione oggettiva della norma posta a referendum.
In ogni caso, ora la battaglia continua in Parlamento affinché la prima sentenza della Corte (quella di novembre), che dichiarava contrastanti con l’ordinamento costituzionale ben sette punti, non sia aggirata dalla maggioranza di questo governo. La Corte ha smontato la filosofia e i dispositivi separatisti della norma: non si possono trasferire le materie e le funzioni, i LEP (Livelli essenziali delle prestazioni devono essere decisi dal Parlamento e non dal governo). Lo stesso deve valere per le intese con le Regioni, e in più le risorse devono essere assegnate non sulla base della spesa storica quanto piuttosto sulla base dei fabbisogni standard. Vedremo come farà la maggioranza di governo a rimetterci le mani. Quando Calderoli afferma che “con il ddl delega sistemeremo tutto” e riduce la sentenza della Corte ad una questione terminologica, c’è da essere preoccupati. Se la maggioranza parlamentare dovesse piegare il nuovo testo alle pretese separatiste della Lega, saremmo pronti ad una nuova raccolta di firme per il referendum.
La Corte Costituzionale non ha solo dichiarato inammissibile il referendum sull’autonomia differenziata, ma ha anche dato il via libera agli altri cinque referendum (e questa è una buona notizia), quelli sul lavoro e quello sulla cittadinanza agli stranieri. E’ una sfida impegnativa, durissima: ma – nella previsione dell’invito dei partiti di maggioranza a disertare le urne – si può raggiungere il quorum e ottenere così la vittoria.
Sono in ballo questioni fondamentali, che vanno poste per come sono: innanzitutto il diritto a non passare la vita da precari. Vale sempre l’adagio di Contessa. “Nessuno più al mondo deve essere sfruttato”. E poi lo stop alla strage dei morti sul lavoro anche a causa delle norme che liberalizzano gli appalti, il diritto a non essere licenziati in modo arbitrario, il diritto dei cittadini stranieri che soggiornano per almeno cinque anni (come era fino a qualche tempo fa) ad avere la cittadinanza italiana. Anche per noi vale il titolo di una canzone di Pietro Gori (l’autore di Addio Lugano bella): “La nostra patria è il mondo intero”.
Bisogna invitare alla partecipazione, a essere presenti all’appuntamento referendario. La democrazia si è impoverita in questi anni sotto il peso del rafforzamento dei poteri dell’esecutivo e della riduzione del ruolo del Parlamento. La partecipazione alle elezioni politiche è progressivamente scemata: meno della metà dei cittadini va a votare. Il Senato potrebbe approvare in via definitiva il disegno di legge sicurezza che criminalizza il dissenso, la disobbedienza civile e democratica, la partecipazione e popolare. Un rischio per la coesione sociale del nostro Paese.
I referendum sono una risposta a questa deriva. La democrazia si difende praticandola. La democrazia diretta che permette ai cittadini dei decidere concretamente con un No o con un Sì la sopravvivenza di una norma è un modo per opporsi al tentativo di questo governo di restringere l’esercizio delle libertà e le forme di controllo e di contrappeso nel sistema istituzionale.
La riforma del premierato limita ancora di più il ruolo del Parlamento e quella dell’ordinamento giudiziario indebolisce il ruolo e la funzione della magistratura. Naturalmente non basta opporsi, bisogna democratizzare la democrazia allargandogli spazi partecipativi e di deliberazione diretta della società civile e della cittadinanza, rendendo veramente rappresentativo (con la proporzionale) il sistema elettorale, potenziando il sistema di contrappesi (anche a livello di società civile) e di garanzie costiuzionali. Ecco perché l’appuntamento referendario della prossima primavera è fondamentale, una tappa di questo lavoro: partecipare al referendum è necessario per evitare che la democrazia si riduca ad un simulacro e il voto a vuoto esercizio senza alcun valore. E’ un modo per difendere le nostre libertà.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link