Bevanda plurimillenaria, considerata anche alimento per le sue rilevanti proprietà nutritive (non per nulla veniva chiamata “il pane liquido”), medicina e perfino, nell’antico Egitto, surrogato al latte materno, la birra ha accompagnato lo sviluppo delle civiltà indoeuropee nel passaggio dal nomadismo allo stanzialismo attraverso la coltivazione del grano e dell’orzo e in varie culture e periodi storici – dai Sumeri agli Egizi, fino al Medioevo – veniva utilizzata pure come fattore retributivo e di scambio.
In Italia la storia della birra artigianale ha inizio negli anni Ottanta, ma è nel 1996 che si assiste alla nascita ufficiale dei primi microbirrifici: negli ultimi tempi il crescente trend di ricerca di prodotti a km 0 ha incentivato il settore, che in Veneto e in Friuli Venezia Giulia trova interpretazioni sempre più apprezzate dai cultori del genere.
A Levada di Ponte di Piave, iniziando dalla provincia di Treviso il “viaggio” alla scoperta di alcune delle tante aziende d’eccellenza vantate dal Nordest, il birrificio San Gabriel mixa versioni classiche, fruttate e stagionali avvalendosi di orzo del Piave, radicchio trevigiano, fichi di Tarzo ed erbe aromatiche, con una specialità dedicata allo zenzero, ormai diventato un must del gusto contemporaneo.
Al birrificio si affiancano uno spaccio aziendale e l’Osteria della Birra, luogo di ristoro e di memoria. Miele di melata, fiori di sambuco, giuggiole e marasche nordestine, parenti delle ciliegie ma più acidule e succose, sono il poker di sapori stagionali squadernato dal birrificio Monterosso (che propone anche visite con degustazioni, su prenotazione: la prossima è in calendario per sabato 25 gennaio), situato ai piedi dell’omonima altura nel Comune di Montegrotto Terme: nel suo listino anche quattro birre classiche dedicate ai Colli Euganei.
Decisamente orientata all’agricoltura biodinamica, con birre non pastorizzate, non filtrate e rifermentate in bottiglia, è l’azienda “32 Via dei birrai”, che garantisce un luppolo certificato no ogm: su appuntamento sono possibili tour tematici.
Sette stili classici e 5 stagionali per il “Birrificio Artigianale Veneziano” di Maerne di Martellago, votato alla caratterizzazione “meteo-umorale” dei propri prodotti: una strong ale rossobruna (” Furia” ) per le malinconiche giornate uggiose, una rustica (“Fiori” ) con malti d’orzo, farro e segale impreziositi da calendula, camomilla, tiglio e sambuco per i primi momenti all’aperto dopo i rigori invernali; e in omaggio ai freddi, impenetrabili nebbioni lagunari c’è “Caìgo” .
Da un incontro casuale nel convento della Fraternità Francescana di Betania, a Verona, è nato invece lo spunto che ha dato origine al birrificio “2 frati” di Erbè, nel cui impianto produttivo figura pure una linea con cinque birre solidali a supporto dell’asilo che la comunità religiosa gestisce a Salvador de Bahia, in Brasile.
In Friuli Venezia Giulia l’azienda agricola di Flavio e Ivano Mondini di Castions di Strada (Udine), forte di una tradizione familiare ultracentenaria, nel 2019 ha aperto il birrificio “Foran” , avvalendosi della propria produzione di orzo distico, specie contraddistinta da una spiga a 2 file di semi, mentre nel continente americano è più usato l’orzo polistico a 4 o 6 file. Tra le sue specialità le birre “B.O.N.A.” e “St. Bernarda” , le uniche in regione ad aver ottenuto sia la certificazione di percorso biologico che quella di prodotto gluten-free.
A San Pietro al Natisone, nel cuore del Friuli orientale, il birrificio Gjulia (dotato di agri-ristoro con degustazione) inquadra quattro birre classiche sui punti cardinali, “Nord”, “Est”, “Sud” e “Ovest”, mentre a Gorizia l’impronta mitteleuropea si riflette nei sapori del birrificio artigianale “Antica Contea” , che annovera una “Gorzer” (Görz è il nome tedesco di Gorizia) e una “Dama bianca” dettagliata come Isonzo pale ale; su un altro fronte di ricerca storico-alimentare, infine, ecco la “Triple threat” dai retrogusti amari e freschi, ispirata alle ferree regole produttive dei monaci trappisti del Belgio. I visitatori sono accolti nella tap room, apprezzato spazio di assaggio.
Dalla Mesopotamia all’Inghilterra una storia che risale alla notte dei tempi
Le origini affondano nella notte dei tempi. La storia della birra accompagna quella dell’’umanità: test chimici eseguiti su brocche in ceramica rinvenute in quella che fu la Mesopotamia hanno attestato che oltre 6.000 anni fa la bevanda veniva già prodotta; e dal momento che quasi tutti i cereali con una componente di zuccheri possono essere soggetti a processi di fermentazione spontanea indotti dalla presenza nell’aria di lieviti selvaggi, è possibile che generi di conforto simili alla birra si siano sviluppati parallelamente in diverse aree, dopo che le varie culture assunsero dimestichezza con i processi di coltivazione.
La traccia documentale più antica (4.000 anni prima di Cristo) è associata dagli studiosi ad una tavoletta sumera che ritrae un gruppo di persone nell’atto di sorbire un liquido con cannucce di paglia da un recipiente comune. Del 1800 a.C. è invece una poesia – attribuibile allo stesso popolo – che onora la divinità Ninkasi, patrona della birra, e che ne racchiude la prima ricetta esistente, descrivendone la creazione a partire dall’orzo.
Attraverso le epoche le conoscenze sulla realizzazione della birra passarono di popolo in popolo, arrivando ai Traci (che dal V secolo produssero birra partendo dalla segale), ai Greci (scrisse Platone: “Deve essere stato un uomo saggio a inventare la birra”) e in seguito ai Romani, che pure, nel periodo repubblicano, prediligevano nettamente il vino e che progressivamente ridussero di rango la sua “alternativa”, considerandola adatta solamente ai barbari (Tacito ne parlò in relazione alle popolazioni germaniche, in termini dispregiativi).
A livello archeologico, in Europa la più remota testimonianza della birra è affiorata nel 1995 da un’urna cineraria restituita da una necropoli di Pombia, in provincia di Novara: la traccia di sostanza rossastra individuata sul fondo di un bicchiere, datato 550 a.C. e oggi esposto nel museo civico di Oleggio, non era vino, come inizialmente ipotizzato. Le analisi chimiche hanno attestato che si trattava di una bibita ricavata dai cereali, in particolare dall’orzo, e aromatizzata con piante spontanee, tra cui il luppolo.
Durante il Medioevo la birra fu una delle bevande più diffuse e apprezzate: nell’Europa del nord e dell’est veniva assunta quotidianamente, da tutte le classi sociali; nel basso Medioevo in Inghilterra e nei Paesi Bassi il consumo pro-capite era di 275-300 litri (60-66 galloni) all’anno. Nell’Inghilterra degli inizi del XV secolo era diffusa una variante senza luppolo (chiamata “ale”), che iniziò ad essere piantato sull’isola a partire dal 1428: e dal XVI secolo il termine “ale” (la bevanda aveva iniziato ad essere luppolata) cominciò a riferirsi a qualsiasi birra forte. Al 1516 risale la Reinheitsgebot, forse la più antica regolamentazione sulla produzione e la vendita della birra, approvata da Guglielmo IV duca di Baviera.
Avanti poi fino ai giorni nostri, in una storia d’amore che non conosce crisi. Basti citare Philippe Delerm, esponente dell’extrême contemporain: “La prima sorsata di birra è l’unica che conta. Comincia ben prima di averla inghiottita”, scrive in “La prima sorsata di birra e altri piccoli piaceri della vita”.
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