Schlein e Pd disorientati dall’ultimatum di Prodi

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Ci sono crisi, circostanze politiche imprevedibili, causate da impuntature, puntigli, dispetti. Altre, invece, più lente, derivanti da più motivazioni e di altalenanti umori, come quella che serpeggia nel Partito Democratico sull’operato di Elly Schlein, una discussa leadership.

Uno dei primi concreti segnali a riguardo si ebbe già agl’inizi dell’agosto scorso, in una intervista resa al “Corriere della Sera” da Goffredo Bettini, figura storica e molto influente della sinistra, di cui, tra i tanti giusti e pacati consigli, è opportuno citarne due, molto attuali.

Il primo auspicava l’indispensabilità di un filone liberale nel Pd, capace di esprimere “una tradizione di pensiero, circa il rispetto delle persone, la religione istituzionale, il garantismo e la libertà”. Il secondo, molto acuto, ricordava che, per guidare un “partito plurale” bisognava rendere creative “la cultura e le idee della sinistra dal profilo smarrito”.

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Per favorirle, aggiunse anche: “Occorre produrre proposte concrete e riflessioni più di fondo sulla qualità della nostra condizione umana”, indicando come “chiave di volta di un nuovo pensiero l’intreccio tra socialismo e cristianesimo”. Un’idea, guarda caso, fatta già balenare in precedenza da Prodi, all’indomani del voto europeo, per riequilibrare un Pd, troppo a sinistra, poi rilanciata di recente in un convegno nazionale con Delrio, Castagnetti, Ernesto Ruffini, per chiedere ufficialmente più spazio per i cattolici. Da farla apparire come l’inizio di uno strappo a fronte un Pd che continua a volare basso.

Opportunamente Mario Adinolfi stigmatizzava nei giorni scorsi che “la Schlein, inebriata dalla ideologia dei nuovi diritti Lgbt” e nel fiancheggiamento degl’immigrati irregolari non ha pensato ad altro che a questo, allontanando così la sinistra dalla difesa dei bisogni reali dei ceti popolari medio bassi”. Da una parte appiattita sull’oltranzismo di Landini, giunto a invocare addirittura la rivolta sociale, e dall’altra, a inseguire ancora il disfattismo di Conte.

“Una trincea fangosa – precisò Letta – in cui si rischia di affondare ad ogni passo. Tutto ciò è da mettere in conto insieme con la melassa logorroica di straparlare di temi e di obiettivi senza mai decidersi da dove cominciare seriamente con valide proposte. Che credibilità può avere chi come la Elly ogni giorno dice: “Giorgia Meloni ha fallito”, quando è noto, in tutto il mondo, il contrario di quello che lei afferma?

Questa, da chi la spara la più grossa, è propaganda da “guerra fredda”. A proposito di gazzarra, promossa dalla sinistra sul centro immigrati in Albania, si è chiesto il lettore di un grande quotidiano: “Come mai l’Albania è un Paese non sicuro per gli immigrati e sicuro, invece, per la carovana rosa del Giro d’Italia che vi ha programmato due tappe e per migliaia di studenti italiani, che si laureano nella capitale Tirana?”.

C’è davvero da restare sbalorditi per i paradossali “karaoke” della Schlein. Il bello però viene adesso , dopo aver fatto album di foto auto celebrative, nella raccolta delle firme pro-referendum contro l’autonomia differenziata e la Cassazione si è pronunciata sulla sua inammissibilità. Ora non solo non si spaccherà più il Paese, come Elly diceva di temere, ma deve temere invece, che a spaccarsi sul “Jobs act” sarà il Pd.

Quell’area liberale, più corteggiata e rassicurante per l’elettorato, che votò il Jobs Act, sempre più convinta della bontà di unprovvedimento nel “rendere più flessibile il mercato del lavorodifficilmente farà retromarcia. A far riflettere non poco la Schleinè il recente ultimatum, indirizzatole da Prodi che le ha detto : “Oggi il Pd ha il 25% , è il partito più grande dell’opposizione , ma non basta , bisogna porsi questo problema , bisogna costruire un alleanza che arrivi al 50% . Lo può fare la Schlein?. Dipende se lo vuole fare e se ha la capacità di arrivare a quest’obiettivo”.

In altri tempi di fronte a parole del genere così sferzanti si sarebbe convocata come minimo ad horas una direzione nazionale per discuterne seriamente, oggi come risposta c’è purtroppo il silenzio. Segno di un grande disorientamento nel Pd per una leader che non ne ha azzeccata una, a cominciare dal “campo largo”, rimasto un miraggio. 

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