STOP SEPPUKU… » Stadio Ennio Tardini Parma

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(Luca Savarese) – Più di 1.790 Boys a cantare, ad accendere la coreografia della partita, in anticipo sulla, stranamente silenziosa Sud rossonera. Del resto, qui, il Parma, ha fatto la storia. Si perché se c’è una stele di Rosetta che ha reso il Parma tale, è proprio iscritta qui, nella memoria nobile del tempio meneghino del futebol.

1987, 0 -1, Coppa Italia. Bortolazzi sconfina il Parma di Sacchi. Il Cavaliere lo assolderà presto. Inizia la rivoluzione copernicana Milan: le idee dell’allenatore sono il sole, al centro. I giocatori sono la terra, ci girano intorno.

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1993, campionato. Tino Asprilla frantuma le 58 gare consecutive del Milan, di Capello, senza perdere. Si scrive Asprilla, si legge Parma di Scala.

Ricordi, sussulti che proviamo a srotolare con l’intervista, pre partita, alla voce di Radio Rai, Daniele Fortuna. In esclusiva, ai nostri microfoni.

L’undici disegnato da Pecchia è spigliato, nei primi dieci minuti imbriglia quello di Conceicao, ex ala destra del Parma. Cancellieri, molto mobile, prima scippa via una pappa a Leao sulla destra, poi, sulla mancina, costringe Pavlovic al fallo ed al primo giallo del match.

Si sentono soltanto ed i minuti sono 15, i tifosi del Parma. Maglia total jellow per i Crociati, un po’ Romania, un po’ Villareal (e molto canarini).

Il Parma tiene botta e tiene bene il campo. Il Milan arriva alla conclusione, forzata, con Leao. Fuori.

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Volitiva la squadra di Pecchia, un po’ sorniona quella rossonera. Cancellieri, stoppa divinamente un pallone poi guadagna campo. Non lascia mai la palla dal suo mancino, poi ad un certo punto, decide di uncinarlo. Ne esce un sinistro all’angolino, imparabile per Maignan. Parma in vantaggio (0-1) e con pieno merito, a San Siro. Milan punito, ancora una volta, da Matteo Cancellieri, il giustiziere del diavolo anche all’andata.

Però, qui cambia tutto. Suzuki decide di macchiare l’ottimo avvio dei suoi compagni, con un’altra ingenuità, l’ennesima della sua stagione: spinta a Pavlovic sugli sviluppi di un calcio d’angolo, Abisso indica senza indugio il dischetto. Pulisic, dagli 11 metri, sveglia il Milan e sporca una mezz’ora ampia, quasi perfetta dei ducali (1-1). Ma il quasi, a San Siro, col Milan, è una congiunzione, che non può poi troppo stare in piedi.

La ripresa, inizia con la bocciatura di Leao e Theo, i due senatori del diavolo. In fondo Fonseca, quando li sostituiva, ritenendoli poco propensi a soffrire, non aveva tutti i torti… Dentro Bennacer e Bartesaghi.

Pavlovic scodella un pallone morbido, non proprio quello che ti aspetti da un rude come lui. Morata si avventa sulla palla e nel tentativo di andare al volo, ciabatta il pallone in malo modo. Anche questo da uno come Morata, non te lo aspetti. Frammento da Vai col liscio di Mai dire gol anni 90…

Pecchia mette dentro Almqvist, Anas (Haj) e Camara. Fuori Man, Hernani e Djuric. Il bosniaco alla prima in maglia Parma, ha contribuito a rendere più alta la squadra, fornendo ancore là davanti. Fuori anche Mihaila per far spazio al classe 2003, Lovik, norvegese ex Molde.

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Il Parma, però, continua a giocarsela. Rispetto a quella, un pochino apatica delle ultime uscite, sembra, la squadra che aveva iniziato a stupire, vincendo, in avvio di stagione, proprio contro il Milan al Tardini. Battagliera, corsara, guardinga.

Esce anche Cancellieri. Dentro Hainaut. La battaglia, è ancora lunga.

Pavlovic svetta di tesa e buca Suzuki. Esplode san Siro. Ma la gioia del Milan, è come la gloria del libro di Dino Zoff. Dura solo un attimo. Gol annullato dal VAR per offside.

Ma anche per il Parma, la possibilità di uscire dal fortino rossonero con l’intera posta, dura 90 minuti. La spegne un inserimento del più tecnico del Milan, l’olandese Reijnders, che di destro fredda Suzuki sul primo palo (2-2).

E in men che non si dica, il Parma si sgretola come neve al sole. Chukwueze è l’unico a credere che una palla lunghissima sarebbe andata in gol e con un tocco furbesco, cortilesco, la spinge oltre la porta di Suzuki. Il portiere giapponese fa il resto, prolungandosela in porta.

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I giapponesi hanno una grande tradizione ed una cultura invidiabile. Uno dei loro capisaldi, è il Seppuku, conosciuto in occidente come l’harakiri. Letteralmente significa tagliare il ventre. Narra di un antico rito stoico e suicida, in uso in ambito guerriero, tra i samurai. Diffusissimo dal XII secolo, sopravvisse fino al 1868, quando fu vietato.

Evidentemente, è stato bandito in tutto il Giappone. C’è solo un giapponese, che continua a praticarlo. Non è né un guerriero, né un samurai. Gioca a calcio. Fa il portiere. Si chiama Zion Suzuki.

Non è la prima volta che una sua disattenzione, fa perdere nerbo e dilapidare punti (preziosi) al Parma. Inizia maluccio la sua avventura in Emilia. Esordio con la Fiorentina al Tardini; mette malissimo la barriera, Biraghi, su punizione, non perdona. Vantaggio di Man buttato alle ortiche. Roba da matita rossa.

Il codice blu, arriva, al Maradona, col Napoli. Il Parma è avanti grazie ad un rigore di Bonny. Lui esce, anzi frana addosso a Neres. Rosso e la squadra inizia ad indietreggiare. In porta, per sostituzioni esaurite, andrà addirittura capitan Delprato. Alla fine, vinceranno i partenopei.

“Ogni tanto faccio degli errori, ma sono quelli che mi aiutano a crescere. Ho sempre imparato dai miei sbagli”, ha dichiarato, recentemente, alla trasmissione di RAI Sport, Dribbling.

Ma occorre fare forse un distinguo. Ci sono errori ed errori. Ora, è necessario compiere un ulteriore passo.

Ci sono errori ed orrori. Quelli commessi col Milan, alla Scala del calcio, dal ragazzino nato negli States e trasferitosi presto in Giappone, sono orrori. Robe da far vedere a chi mai volesse fare il portiere per non commetterle e nemmeno pensare, di commettere.

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“Non pensavo di trovare a Parma il fumetto di Holly e Benji”. Zion, leggili bene, magari guarda anche qualche loro cartone e scoprirai una cosa: Benjamin Price, Ed Warner, sono prototipi di portieri coraggiosi, ma algidi. Estremi, ma solidi. Prudenti, fino all’ultima goccia. Buona vita e fai anche tu come i tuoi connazionali contemporanei. Lascia perdere l’harakiriLuca Savarese



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