Tra Piemonte e Lombardia la pittura paesaggistica dell’800

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Filippo Carcano_Dall’alto_olio su tela_88x137,5 cm Credits: Courtesy Mets

La nostra società non pratica molto il silenzio. Viviamo nel rumore, assediati da fragori, sollecitati da ritmi di vita assordanti, ma se poi ci immergiamo, anche per brevi pause, nel silenzio del paesaggio, isolandoci in montagna, ammirando valli, alberi, fiumi, scopriamo un ritmo universale che riconduce ai misteri della vita e a una diversa consapevolezza del nostro rapporto con la natura. E nell’Ottocento, la pittura paesaggistica entra nell’Arte con la sua possente vitalità, portando con sé una nuova idea del Paesaggio, vissuto soggettivamente e attraverso le sue emozioni. Da sfondo viene assunto come tema autonomo, centrale, capace di suggerire di per sé un’emozione spirituale ed estetica. E al contempo sa farsi testimone della condizione dell’uomo. La Natura diventa l’atelier en plein air, dell’artista. Per questo è davvero imperdibile la mostra attualmente in corso, fino al 6 aprile 2025, a Novara, intitolata Paesaggi. Realtà Impressione Simbolo. Da Migliara a Pellizza da Volpedo, con la curatela della storica dell’arte Elisabetta Chiodini, nei bellissimi spazi del Castello Visconteo, diventato un sito museale e culturale di grande prestigio, nel pieno centro della città (e pensare che è stato un carcere fino al 1973 e ha rischiato più volte di venire demolito).

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L’esposizione presenta ottanta opere provenienti da importanti collezioni pubbliche e private, mettendo in luce l’evoluzione della pittura di paesaggio, in particolare tra Piemonte e Lombardia, dagli anni Venti dell’Ottocento fino al primo decennio del Novecento, dalla campagna alle alte montagne, tra corsi d’acqua, pecore e contadini, fino ai contesti urbani di Milano, come i Navigli. E possono mostrare la bellezza di una cura e di un amore dell’uomo nel suo incontro con la natura, per una sua misteriosa e ineffabile essenza. Un capitolo della storia dell’arte da riscoprire, accompagnato da un’attenzione particolare alla luce e alla sua interazione con la natura. E che vale un viaggio per raggiungere la tranquilla cittadina piemontese.

La mostra è divisa in nove sezioni. Inizia con un piccolo olio del 1821 del bergamasco Marco Gozzi, realizzato su commissione del Regio Governo Austriaco “per riprendere i “migliori punti che offrono la Lombardia e i suoi dintorni”, Il ponte di Crevola sulla strada del Sempione, mentre sul fondo si scorgono, in un’atmosfera rarefatta, montagne. E si conclude, con La Clementina (datata 1904) un ‘opera “ritrovata ” di Giuseppe Pellizza da Volpedo. La Clementina è una cascina vicinissima al paese natale dell’artista che ricordiamo come l’autore del celebre Il quarto stato. Il dipinto è dominato da un grande albero che stende protettivo i suoi rami sotto il quale si intravede la campagna, una casa e una donna china nel lavoro, su uno sfondo dai delicati malinconici toni autunnali. Si avverte il trascorrere lento del tempo nel silenzio della natura, resa con estrema sapienza nell’uso della luce e del colore. Ne emerge una visione che carica la natura di valori emotivi e simbolici. ll paesaggio non è più solo mera rappresentazione di un luogo fisico, ma di un’emozione, di un ricordo, filtrandolo con le proprie esperienze, con il proprio bagaglio culturale,

Ce ne sono tanti di quadri a soggetto alpino in mostra. Mezzogiorno sulle Alpi (quadro simbolo della locandina della mostra novarese), di Giovanni Segantini ritrae una pastora in piedi (la modella Baba, la giovane che aiuta la famiglia Segantini nelle faccende domestiche) che si volge verso territori inesplorati, con delle pecore che vagolano attorno. Un prato sotto il sole di una giornata limpidissima in piena estate, a 2500 metri di altezza che esplode della radiosità della luce. alpina. Sullo sfondo le montagne engadinesi spolverate di bianco, che si stagliano contro un cielo blu intenso riflettono la purezza dell’aria. Gli uccelli in volo richiamano un impercettibile movimento nell’aria sovrastata dal silenzio . Chi non vorrebbe essere lì? In quella luce sfolgorante, nel chiarore cristallino di quella luce che conferisce alla veduta un senso di infinito ? Nel corso della sua vita Segantini è salito sempre più in alto alla ricerca di una luce sempre più pura, a un passo dal cielo. Scruta la montagna, la contempla, ne sente la spiritualità e la potenza. eleggendola a luogo della mente capace di lenire ogni dolore (morì giovane, a soli quarantun anni, sul monte Schafberg, a 2731 metri dove si era rifugiato per portare a termine il suo Trittico delle Alpi). Per esaltarla, lui la natura doveva respirarla, doveva viverla fisicamente.

Nel quadro L’aquilone del pittore piemontese Carlo Fornara una donna con la fascina di arbusti sulle spalle cammina incurvata sotto l’impetuosa forza delle raffiche dell’Aquilone, vento di tramontana. Un’emozionante luce vespertina illumina il cielo e le nuvole di un rosa brillante, nello splendore cromatico della neve. E dello stesso autore Fine d’autunno in Valle Maggia (1908 circa), che documenta l’ultimo taglio del fieno nella luce malinconica dell’autunno.

La solennità imperturbabile della natura, ne Il ghiacciaio di Cambrena (1897) nello svizzero Canton Grigione dipinto da Filippo Carcano (fu allievo di Hayez all’Accademia di Brera) dove la massa potente dei seracchi di ghiaccio si riversa in un laghetto punteggiato di candidi , teneri piumini degli eriofori. E ancora di Carcano Arses (1895 circa: in primissimo piano un soffice prato disseminato di fiorellini bianchi vibranti di luce, con un intreccio finissimo di pennellate E poi ampliando la spazio della visione un susseguirsi di valli che sfumano nell’ immensità della pianura, in un graduale rarefarsi della materia pittorica, dando forma a un sentimento poetico. Quanta pace trova l’anima dentro un paesaggio che nella sua sconfinata ampiezza si apre , in un momento unico e irripetibile, all’esperienza dell’infinito, a una sorta di panteismo cosmico.

E ancora un’incredibile Alba in alta montagna di Emilio Longoni, uno dei principali esponenti della pittura divisionista. Una dolce luce dell’aurore attraverso le nebbie del mattino in lenta dissolvenza avvolge misteriosamente il dipinto. Un panorama talmente rarefatto e sublimato da divenire onirico, una atmosfera spirituale.

Infine scorci come quello di Mosè Bianchi, La prima neve (1890) una neve segnata dalle ruote dei carri che ne percorrono le vie e sporca del fango al quale si mescola. L’atmosfera gioiosa, gli abiti eleganti, i leggiadri ombrellini e i palloncini che si librano nel cielo del dipinto Il Naviglio a ponte San Marco”, ancora di un Segantini, ventiduenne. E sembra di stare lì, a respirare la poesia di atmosfere lontane, nella pienezza di una giornata di sole che illumina calda e brillante la struttura muraria del ponte.

Nessuno ci restituirà il paesaggio di allora. Paesaggi che paiono incorrotti. Come spazio d’iniziazione all’esperienza estatica. Segno di un “incanto”. Tra reale e immaginario. L assalto del ferro e del cemento, l’accelerato sviluppo economico degli ultimi cento anni, processi di industrializzazione, l’incuria dell’uomo hanno “decostruito” paesaggio e Il rapporto che lega le comunità al proprio territorio sembra essersi spezzato. Eppure, il il paesaggio non scompare, sopravvive nelle albe e nei tramonti di luce, nelle segrete emozioni che i grandi paesaggi pittorici continuano a suscitarci. Invitandoci a ripensare in maniera critica gli interventi dell’uomo sulla natura. A immaginare un nuovo paesaggio che regali gioia, armonia e bellezza su questa terra ferita.

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