Una Corte politica piena di pregiudizi contro l’Occidente

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Dopo aver discusso della presunta “occupazione” della “Palestina” e del presunto “genocidio” a Gaza, sempre con David Elber affrontiamo la sentenza emessa dalla Corte Penale Internazionale e il recente accordo sul “cessate il fuoco” e la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.

Il mandato di arresto di Netanyahu

DAVIDE CAVALIERE: A novembre è stato emesso un ordine di arresto nei confronti di Benjamin Netanyahu e di Yoav Galant (ex ministro della difesa) da parte della Corte Penale Internazionale. Cosa può dire in merito?

DAVID ELBER: Per prima cosa bisogna sottolineare che la Corte Penale Internazionale è un organo politico e non giuridico, al pari della Corte Internazionale di Giustizia. Infatti, in entrambe queste organizzazioni i giudici sono la pura espressione degli Stati che li designano e li nominano agli incarichi che ricoprono. Per questa ragione, si verifica l’immancabile caso di giudici nominati da Stati che neanche riconoscono la legittimità dello Stato di Israele. Come si può pensare che il loro giudizio possa essere imparziale?

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Sono un eclatante caso di conflitto di interessi nel migliore dei casi. Ma la realtà è ben peggiore. Mi spiego meglio: quando Israele è trascinato sul banco degli imputati in questi tribunali, si trova nella medesima situazione di un imputato di colore in un tribunale della Louisiana o del Mississippi nel periodo della segregazione razziale, dove il giudice era un bianco e tutti i giurati erano dei bianchi pieni di pregiudizi e di odio razziale.

Quante probabilità aveva l’imputato di colore di avere un verdetto favorevole? Praticamente nessuna. Bisogna anche rimarcare che per gli standard dell’epoca quelli erano tribunali pienamente legittimi, così come lo sono le attuali corti farsa dell’Aia.

Entrando nel merito della richiesta d’arresto nei confronti di Netanyahu e Gallant, posso affermare che questi mandati sono la degna conclusione di un processo farsa di tipo staliniano. Non hanno nulla di legale ma solamente connotati politici e ideologici che ricordano l’inquisizione o le purghe.

Il primo, grottesco, passo di questa farsa è iniziato nel 2015 quando l’inesistente “Stato” di Palestina è stato ammesso come membro di questo tribunale politico dell’Onu, noto come Tribunale Penale Internazionale. Da allora è stato un crescendo fino alla scontata decisione di arrestare Netanyahu e Gallant.

A questo tribunale farlocco serviva un capro espiatorio per accontentare la stragrande maggioranza degli Stati autoritari e dittatoriali che fanno parte di questo circo pseudo-legale, e che anelavano a uno “scalpo occidentale” per dimostrare che esso non colpisce solo i paesi dittatoriali africani.

Per questo scopo, chi meglio del piccolo Stato di Israele, democratico e occidentale, rispettoso dei diritti umani, si prestava ad essere accusato di crimini di guerra e altre nefandezze? Chi meglio del procuratore Karim Khan poteva dare l’inizio dell’inquisizione a danno di Israele?

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DC: Può circostanziare il “clima” in cui si è mosso il Tribunale e il procuratore Khan?

DE: Per prima cosa è da ribadire che il Tribunale Penale Internazionale non ha giurisdizione nei confronti dei cittadini israeliani visto che Israele non fa parte del Trattato di Roma e l’inesistente “Stato” di Palestina non ha confini, una capitale o una struttura politica e giudiziaria se non nella fantasia degli odiatori di Israele. Quindi non c’è nessuna ragione legale per la quale si sia potuto iniziare un procedimento contro Israele. L’unica ragione è di natura politica e di odio.

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Questo odio, che è odio per l’Occidente tout court, è il collante della maggior parte dei paesi che hanno aderito al Tribunale Penale. Un esempio concreto può far capire la questione: da quando il tribunale è diventato operativo nel 2002 e per i 10 anni successivi, gli unici casi dei quali si è occupato hanno riguardato dittatori africani.

L’ennesimo caso si è aperto nel 2011 nei confronti del presidente del Kenya, Kenyatta, e del vicepresidente Ruto, accusati di crimini contro l’umanità per le centinaia di morti civili susseguenti alle elezioni keniote del 2007. Quando il Tribunale Penale Internazionale ha deciso di aprire l’istruttoria contro Kenyatta e Ruto, i paesi africani, riuniti nell’organizzazione dell’Unione Africana, hanno approvato la risoluzione che prevedeva di uscire in massa dal Tribunale Penale Internazionale se l’istruttoria nei confronti del presidente keniota e del suo vice non fosse stata chiusa.

La motivazione? Semplicemente perché il Tribunale, a loro avviso, era uno “strumento del neo imperialismo occidentale” e non perché Kenyatta e Ruto fossero innocenti. I giudici del tribunale per paura di perdere l’adesione dei numerosi paesi africani, e di essere visti come strumenti dell’imperialismo occidentale, decisero di chiudere le accuse nei confronti di Kenyatta nel 2014 e nei confronti di Ruto nel 2016.

La figura di Khan

Ora, per le stesse motivazioni politiche che hanno portato alla chiusura del caso keniota, hanno aperto il caso contro Israele. Per fare questo il procuratore Karim Khan era perfetto. Questo procuratore ha un interessante curriculum. Infatti, Khan ha acquisito notorietà per aver difeso il dittatore della Liberia Charles Taylor nel 2006 (poi condannato a 50 anni di carcere), con una strategia difensiva unicamente incentrata sull’accusa al Tribunale di non garantire sufficienti risorse alla difesa di Taylor e non sul tentativo di dimostrare l’inconsistenza delle accuse di omicidio, stupro e di utilizzare innumerevoli bambini soldati.

Questo perché Taylor era africano e non perché fosse effettivamente un dittatore sanguinario. Dopo questo caso, ha difeso il figlio di Gheddafi, Saif al-Islam, da accuse di crimini di guerra. Poi, prese le difese del keniota Ruto, di cui ho già detto. In ogni caso Khan fu, poi, accusato di interferenze politiche durante l’istruttoria e di intimidazione dei testimoni dell’accusa. Dopo aver difeso i dittatori africani, Khan è diventato a sua volta un procuratore del Tribunale Penale.

Nel giugno del 2021, il procuratore Khan ha raccolto il testimone dalla procuratrice Fatou Bensouda, la quale in modo del tutto selettivo e in base a criteri inesistenti nel diritto internazionale, ha deciso di procedere contro le autorità civili e militari israeliane per presunti crimini di guerra. Khan è andato molto oltre chiedendo l’arresto per Netanyahu e Gallant.

Il Wall Street Journal, però, ha scoperto che Khan, poche settimane prima di decidere per il mandato d’arresto, è stato accusato di molestie sessuali da parte di una sua segretaria. Tali accuse sono state poi confermate da altre collaboratrici di Khan – il tutto coperto dal Tribunale Penale.

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In pratica, il giornale americano accusa apertamente Khan di aver richiesto i mandati di arresto per crearsi una “copertura” contro le accuse di molestie. Infatti di prove circostanziate contro i leader israeliani non ne ha mai fornite. Inoltre, si è scoperto anche che Khan presta servizio per lo studio legale britannico Bindmans, uno studio impegnato “nella difesa dei diritti dei palestinesi”.

Strana coincidenza o conflitto di interessi? Ora la Camera pre-processuale che ha deciso di chiedere l’arresto di Netanyahu e Gallant nella sua motivazione parla di “crimini di guerra per carestia come metodo di guerra” e “crimini contro l’umanità, inclusi l’omicidio, la persecuzione e altri atti inumani”. Queste accuse sono state formulate senza una commissione d’inchiesta che abbia raccolto informazioni e prove in loco ma grazie a “testimoni” non precisati per tutelare la loro sicurezza.

La relatrice speciale dell’Onu

DC: A partire dal massacro del 7 ottobre, è emersa prepotentemente la figura di Francesca Albanese, “relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati”, come giudica il suo operato?

DE: Su questa persona ci sarebbe tanto da dire, mi limiterò ad alcune considerazioni. L’incarico che ricopre è un incarico farlocco, tanto è vero che non è ufficialmente una dipendente dell’Onu, come è vero che, se lo fosse, sarebbe in aperta violazione dei requisiti base imposti dall’Onu di imparzialità, obiettività e integrità personale (Codice di condotta per i titolari di mandati per procedure speciali, allegato (articoli 3 (a), 3 (e), 5, 8, 13 (b)), risoluzione A/HRC/RES/5/2 del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani, 18 giugno 2007.

Sta solamente portando avanti un’agenda politica mirante alla criminalizzazione di Israele senza aver mai prodotto una prova fattuale. La sua figura rappresenta bene cos’è oggi l’Onu.

L’accordo ostaggi in cambio di tregua

DC: In questi giorni si è siglato un accordo tra Hamas e Israele su cessate il fuoco e liberazione degli ostaggi. Come lo reputa?

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È una pesante sconfitta per Israele e in modo particolare per Netanyahu. Tanto è vero che è esattamente la proposta che circolava già dal maggio scorso. Per prima cosa, il solo fatto di iniziare delle trattative con un gruppo di omicidi e stupratori è aberrante in sé e non può che portare ad ulteriori tragedie.

La cosa, forse, più vergognosa di tutte è che il mondo è tutto schierato in loro favore e questo ha portato la pressione politica e ricattatoria unicamente su Israele. In queste condizioni cosa può fare Israele? Cedere alle loro richieste.

Il colpo finale lo ha suggellato l’inviato di Trump, Witkoff, che, a quanto riportato dalla stampa, sembra abbia obbligato Netanyahu ad accettare una proposta che equivale a una sconfitta, senza se e senza ma, per Israele. Se queste sono le premesse, con la nuova amministrazione sarà dura per lo Stato ebraico.

L’amministrazione Trump

DC: A breve si insedierà la nuova amministrazione Trump. Cosa cambierà in Medio Oriente a suo avviso?

DE: Difficile prevederlo perché dipenderà unicamente dall’umore di Donald Trump, persona impreparata ma dotata di un gigantesco ego e dall’umore ondivago. Bisogna sperare nel suo staff: Marco Rubio, Pete Hegseth, Mike Walts, Kash Patel e Mike Huckabee solo per citare le cariche più importanti. Il Medio Oriente potrà cambiare solo se l’Iran vedrà un cambiamento di regime e il suo programma nucleare neutralizzato.

Se fosse stata eletta Kamala Harris, a mio avviso, tutto questo sarebbe stato irrealizzabile e per Israele sarebbero aumentate le pressioni politiche per portare avanti l’agenda politica suicida, come si è potuto vedere il 7 Ottobre, dei due Stati per due popoli. Con Trump si può almeno sperare in qualcosa di meno disastroso per Israele, iniziando dal rilancio degli Accordi di Abramo, che presero forma proprio durante il suo primo mandato.

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