A Parigi, la più grande asta mai dedicata a Martin Margiela

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Tra le passerelle, le presentazioni e tutti gli eventi che inondano la Paris Fashion Week, Parigi accoglie (anche) un evento per chi ama la moda, quella vera, lontana dai flash dei fotografi: “Martin Margiela: The Early Years, 1988-1994“, una battuta all’incanto per celebrare l’eredità di uno dei designer più influenti della moda contemporanea. Organizzata in collaborazione tra Kerry Taylor Auctions e Maurice Auction, questa iniziativa con i suoi 300 lotti circa rappresenta la più grande asta mai dedicata all’iconoclasta Martin Margiela, stilista belga considerato da molti il padre della della decostruzione sartoriale.

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Courtesy Angela e Elena Picozzi

Top collectors, addetti ai lavori, stampa e content creators hanno potuto ammirare in anteprima l’esposizione dei vari lotti, tutti appartenenti all’archivio personale delle sorelle Angela ed Elena Picozzi, figlie di Graziella Picozzi, figura chiave dell’imprenditoria di moda italiana e sul finire degli anni ‘80 scopritrice del talento dell’allora sconosciuto designer belga. Kerry Taylor e Maurice Auction, insieme a Graziella e Angela Picozzi, hanno accolto gli ospiti, ricreando un’atmosfera simile in tutto e per tutto alle prime rivoluzionarie sfilate del designer belga sul finire degli anni ‘80.

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L’asta dedicata a Martin Margiela

L’asta, in scena presso un edificio dismesso al numero 81 di Boulevard Voltaire, nel cuore dell’11° arrondissement di Parigi, offrirà ai collezionisti e agli appassionati l’opportunità di immergersi nel mondo di Margiela. Con circa 300 lotti, l’evento comprenderà capi iconici, bozzetti, cartamodelli e documenti originali che raccontano i primi anni rivoluzionari del designer belga.

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Courtesy Angela e Elena Picozzi

Tra i pezzi più significativi spiccano i look completi della collezione Primavera-Estate 1990, caratterizzati da vest oversize indossati come abiti e T-shirt in garza, e le gonne-tenda dell’Autunno-Inverno 1991/92. Non mancano anche progetti rari, come il misterioso “!”, una linea sperimentale creata da Margiela tra il 1988 e il 1989 in collaborazione con proprio con Graziella Picozzi.

La visione di Graziella e delle sorelle Picozzi

Il mondo della moda ha bisogno di conoscere più a fondo l’estetica di Margiela

Come anticipato l’intera collezione proviene dall’archivio personale di Angela ed Elena Picozzi. Le sorelle, fondatrici di Castor Fashion, hanno collezionato questi pezzi con cura maniacale, preservandoli in condizioni impeccabili. “Crediamo che il mondo della moda abbia più che mai bisogno di conoscere a fondo l’estetica di Margiela,” spiegano Angela ed Elena. “Ogni capo rappresenta un pezzo di storia da tutelare, ma anche un’opportunità per collezionisti e musei di esplorare la genialità del designer.” Abbiamo anche avuto modo di scambiare due chiacchiere con Graziella e parlare del suo rapporto diretto con Margiela. Ecco cosa ci ha raccontato.

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Courtesy Angela e Elena Picozzi

Com’è arrivata alla moda?
La mia era una famiglia di agricoltori, abitavamo in una grande cascina nel mantovano dove vivevano altre famiglie impiegate nei nostri poderi. Tra di loro c’era una sarta e io vedevo delle ragazze più grandi che venivano da lei per imparare a tagliare e cucire. Adoravo osservarle al lavoro e andavo matta per i vestiti di quelle signorine. Quando loro tagliavano, io raccoglievo gli scarti di stoffa e li portavo a casa, dicevo sempre a mia madre che quello sarebbe stato il mio lavoro, così, non appena possibile sono andata a Milano a fare una scuola da modellista. Dopo due anni sono rientrata e mio zio mi ha segnalata a Corneliani. Li producevano moda uomo, ma a me andava benissimo, pur di entrare nel settore. Ero l’unica ragazza, certe mansioni mi erano precluse, così aspettavo che tutti andassero a casa per mettermi ai diversi macchinari, perché volevo imparare. All’epoca i corsi di aggiornamento in azienda erano riservati ai soli uomini, ma il modellista si rese conto della mia passione e volle me come assistente. Lì conobbi mio marito, sarto esperto cresciuto alla scuola napoletana. Ci siamo sposati e dopo il matrimonio ho lasciato Corneliani, ma la vita da casalinga non faceva per me, quindi ho chiesto a mio padre una stanza per impiantare un piccolo laboratorio, da lì è cominciato tutto. Ho iniziato a confezionare camicie, per arrivare poi ai capispalla. Dopo tre anni, mio marito si è dimesso ed è venuto ai aiutarmi. Ha creduto in me e ha sempre sostenuto il mio lavoro, un atteggiamento per nulla scontato negli anni ‘70.

Come ha conosciuto Martin Margiela?
Erano gli anni ‘80, il mio amico e fantastico produttore di tessuti, Roberto Fantoccoli, mi dice che devo a tutti i costi parlare con questo giovane designer belga che lui ha incrociato da Jean Paul Gaultier, a cui forniva degli allora avveniristici materiali stretch. “Graziella questo è uno molto giusto, con il tuo entusiasmo per la moda, sono sicura che ti piacerà”, mi diceva. E così ci siamo incontrati.

Ricorda la sua prima impressione?
Mi è piaciuto all’istante. Era un bel ragazzo, molto alto, portava sempre un cappello a visiera e aveva un bellissimo sorriso. Quando parlava ti infondeva calma. All’epoca io avevo la mia azienda, Deni Cler e gli proposi di diventare un nostro consulente creativo nell’ideazione di una nuova linea. Lui accettò e ci mettemmo al lavoro sulla collezione che avrebbe dovuto chiamarsi con un semplice punto esclamativo, perché lui non voleva avesse un nome.

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Dopo di che, cosa successe?
Gli abbiamo dato carta bianca, Martin voleva realizzare una specie di guardaroba ideale, gli essentials da avere nell’armadio pensati per una donna giovane. Erano capi molto innovativi, li abbiamo prodotti e anche venduti, ma le cose avrebbero presto preso una piega diversa, perché nel frattempo Martin aveva capito di essere pronto a lavorare sulla sua linea che ci chiese quindi di produrre per lui.

Quale fu la sua reazione?
Credevo nelle sue potenzialità, ma sapevo che non avrebbe avuto senso lavorare su due collezioni dello stesso stilista. ! era un marchio aziendale, ma non ebbi dubbi nell’accantonarlo per concentrarmi sulla sua.

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Courtesy Angela e Elena Picozzi

Quindi lei è stata con Margiela fin dall’inizio?
Aveva realizzato da solo una primissima collezione, si trattava di pochi pezzi che avevano raccolto pochi consensi perché il pubblico non era ancora pronto. Subito dopo abbiamo iniziato a collaborare sulla Martin Margiela.

Com’era essere al suo fianco?
Bellissimo! Passavamo intere giornate a studiare come costruire questo o quel capo. Chiacchieravamo molto e ridevamo tantissimo, con Martin tutto era semplice, anche perché aveva una visione precisissima di dove voleva andare. Quando era entrato in Gaultier, Jean Paul aveva immediatamente compreso il suo talento e gli aveva detto che uno come lui non avrebbe dovuto lavorare in un ufficio stile, perché era già pronto per lanciarsi da solo. Martin era molto umile e gli rispose di aver bisogno di fare esperienza per capire a fondo certi meccanismi. In più, una volta uscito da Gaultier, si era preso un anno intero per ragionare sulla sua idea di moda, perciò quando ci siamo incontrati lui aveva le idee molto chiare su cosa avrebbe voluto creare.

Qual era l’aspetto che più l’affascinava dell’estetica di Margiela?
Il fatto che fosse così sicuro nel prendere direzioni totalmente inaspettate. Magari sceglieva tessuti maschili, anche non costosissimi e li montava in un modo davvero emozionante, il tutto costruito a regola d’arte. Dietro a ogni pezzo c’era uno studio importante e i suoi disegni erano incredibili per il livello di precisione: con delle indicazioni così era impossibile sbagliare.

C’è qualche capo in particolare di cui ricorda la genesi?
Penso alle giacche. I suoi modelli iconici li abbiamo ragionati insieme per lunghissimo tempo. Ricordo la prima giacca di impostazione maschile, eppure femminile grazie a degli accorgimenti interni e poi il modello un po’ più destrutturato. Ci abbiamo impiegato un anno per metterle a punto definitivamente, ma per lui non c’era fretta. Diceva: “La presentiamo solo quando sarà veramente come piace a me”. Del resto in quel periodo c’erano solo due collezioni, non l’incalzare continuo dei ritmi attuali.

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Lei c’era agli esordi parigini?
La prima sfilata
che ricordo è quella nel teatro con le modelle con i volti coperti. C’era poca gente e per la maggior parte sconvolta da ciò che stava vedendo. Io stessa l’ho capita man mano che ci lavoravo sopra, era rivoluzionaria, sotto ogni aspetto, a cominciare dai poussoir.

Perché cos’avevano di strano i bottoni automatici?
Oggi ci sembra scontato averne di dimensioni maxi, ma ai tempi nessun fornitore per la moda ne aveva di quella dimensione. Per assecondare la sua richiesta ero dovuta andarli a cercare in Germania da una ditta che ne produceva per l’esercito.

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Courtesy Angela e Elena Picozzi

Altre intuizioni di Margiela di cui è stata testimone?
I quattro punti dell’etichetta visibili dall’esterno. Ci abbiamo ragionato sopra un giorno intero perché lui aveva quell’idea dell’etichetta bianca che sembrava inconcepibile. Io capivo il suo pensiero ma mio marito diceva che non era possibile presentarsi con un’etichetta tutta bianca. Allora Martin mi disse: “Graziella, io lo so che tu ti fidi e fidati che è un’idea geniale. Questa è la mia richiesta”. A quel punto non c’era da discutere, non avrebbe mai cambiato idea, perciò abbiamo preso una fettuccia e ci siamo messi a studiare come avrebbe dovuto essere applicata. Quei quattro punti bianchi, come andavano cuciti? In che direzione? Alla sera, siamo giunti alla decisione finale e da quel momento non si è più cambiato. Abbiamo messo tutto per iscritto e dato le istruzioni in produzione.

Quando e perché le vostre strade si sono separate?
Nel 1993 la Deni Cler aveva raccolto molti ordini era pronta a consegnare, ma chi si occupava per noi della parte finanziaria ci aveva esposti in maniera pericolosa. Abbiamo cercato in tutti i modi di salvare l’azienda quando ci siamo resi conto di cosa stava succedendo, ma è stato tutto inutile e siamo stati costretti a chiudere. In quel momento io ero sconvolta e il lavoro di anni tutto vanificato. Martin mi ha chiesto di ricominciare, ma io ero sotto shock, non avevo la forza di rimettermi in pista, piangendo dissi no, non ce l’avrei fatta. Martin ha continuato a volermi alle sue sfilate, di cui conservo ancora gli inviti, perché sono oggetti troppo personali di cui non potrei mai disfarmi, ma la vita a quel punto ci aveva portati su binari differenti.

Non vi siete mai più incontrati?
Ci siamo visti un’ultima volta perché un’importante azienda mi chiese di fare da tramite per valutare una possibile collaborazione mai andata in porto. Dopo poco lui andò da Hermès è fece cose egregie: Martin sul classico è eccezionale.

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Le emozioni provate di fronte ai suoi capi non le ho mai più rivissute

Perché fino a oggi ha sempre evitato di raccontare nei dettagli questa sua incredibile storia di collaborazione e scambio con Margiela?
Perché è stata un’esperienza così intensa che ancora oggi fatico a tradurre in parole. Le emozioni provate di fronte ai suoi capi non le ho mai più rivissute. E poi c’era quella semplicità, quel piacere di fare magari anche l’una di notte pur di trovare la soluzione migliore per un capo. Quando le mie figlie Angela ed Elena hanno deciso di affidare a Kerry Taylor il loro archivio per batterlo all’asta, ho sentito di dover superare la mia ritrosia per condividere i miei ricordi di Martin con chi la moda la ama.

Che cosa gli direbbe se lo incrociasse oggi?
Che è stato un piacere, un immenso piacere essergli al fianco.

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