Se secondo il Pnrr, entro giugno 2026, andranno realizzati nuovi impianti agrivoltaici per 1,04 GW, con incentivi che prevedono sia un contributo a fondo perduto sia una tariffa incentivante applicata alla produzione di energia elettrica netta immessa in rete, è pur vero che i nuovi impianti agrivoltaici non possono essere realizzati senza la collaborazione stretta fra un professionista agrario e il progettista d’impianto. L’interazione continua è infatti necessaria per capire come la movimentazione dell’impianto agrivoltaico influisca sulla coltivazione agraria che convive con l’impianto stesso.
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È questo uno dei capisaldi scaturiti durante un convegno che si è tenuto il 13 dicembre 2024 a Cagliari, organizzato dall’Associazione dei Dottori in Agraria e Forestali della Sardegna (Adaf Sardegna), dal titolo: “I sistemi agrivoltaici, la coesistenza fra produzione agricola e produzione di energia” (in questa pagina è possibile scaricare tutte le relazioni).
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Al convegno hanno partecipato i maggiori esperti del tema ed è apparso chiaro che, se da un lato è fuori di dubbio che all’agricoltore possa convenire aggiungere proventi derivanti dal settore energia a quelli specificamente relativi alla produzione agricola, dall’altro c’è ancora molta ricerca da portare avanti prima di riuscire a prevedere tutte le implicazioni che la realizzazione di un impianto agrivoltaico ha sulla coltivazione sottostante.
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Secondo quanto chiarito da Salvatore Guastella, Project manager “Fotovoltaico innovativo” Rse e presidente Cei CT82, gli impianti fotovoltaici nell’ambito di attività agricole possono apportare un vantaggio a entrambi i settori. Ciò può avvenire con l’agrivoltaico, “a patto che si coniughino le esigenze agricole con quelle energetiche. L’agrivoltaico è tale – ha spiegato – se adotta soluzioni installative, anche con montaggio dei moduli fotovoltaici elevati da terra e rotazione dei moduli stessi, che consentano l’utilizzo duale del terreno e la continuità delle attività di coltivazione agricola, inclusa quella pastorale”.
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Il quadro economico del settore agricoltura tracciato da Roberto Furesi, professore di Economia Agraria ed Estimo Rurale all’Università degli Studi di Sassari, è sconfortante. Secondo i dati, fra il 1999 e il 2020 si è persa il 14,3% della Sau italiana che, nel 2020, si attestava sui 12.623.544 ettari, si è perso il 52,6% delle aziende agricole e anche se è in atto un lento processo di crescita delle dimensioni delle stesse, le aziende italiane restano mediamente piccole. A valori reali la produzione agricola nel suo complesso fra il 2000 e il 2022 ha perso il 5,07% e senza le attività secondarie le perdite sarebbero state maggiori. Il Pil del settore dell’agricoltura (non dell’agroalimentare) in percentuale sul Pil Italia vale poco più del 2%.
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“Ovvio che fare l’agrivoltaico al singolo agricoltore conviene” ha detto il professore Furesi. “L’agrivoltaico rappresenta una sorta di pace fra il settore energetico e agricolo. Annulla infatti la competizione fra i due settori per l’uso del suolo”. Va poi considerato, come messo in risalto da un altro relatore, Nicola Colonna, parte della Divisione Sistemi Agroalimentari Sostenibili di Enea, che i costi per l’energia che le imprese agricole devono affrontare non sono indifferenti. “L’energia assicura sicurezza e qualità alle filiere agroalimentari. L’energia però è un elemento di costo importante, va ridotto per aumentare la competitività d’impresa. In più, per accedere a certi mercati occorre decarbonizzare. Il sistema agricolo e il sistema agroalimentare sono collegati e la direzione deve essere quella dell’autoconsumo”.
Secondo i dati mostrati le aziende agricole sono fortemente dipendenti dalle fonti fossili. Lo sviluppo dei sistemi di accumulo (Sda) che permettono di accumulare l’energia prodotta da un impianto e di utilizzarla quando serve certamente può aiutare nel favorire la logica dell’autoconsumo. Non per niente negli ultimi anni c’è stato un boom delle installazioni di questi sistemi.
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Sistemi di accumulo – dati 2023
(Fonte foto: Rapporto Statistico 2023 – Gse)
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Certo, abbracciare l’agrivoltaico, soprattutto se si tratta di quello avanzato per il quale c’è l’accesso ai fondi Pnrr, non è una sfida da poco. A fine 2024 sono state rese note le graduatorie dei beneficiari della misura “Sviluppo Agrivoltaico”, quelle quindi del Bando Agrivoltaico. In attesa di capire se ci sarà un secondo bando, al momento pare sia in valutazione, gli ammessi a finanziamento sono cinquecentoquaranta per una potenza complessiva di 1.548 MW. Ciò significa che cinquecentoquaranta impianti agrivoltaici di tipo avanzato dovrebbero essere realizzati, da qui al 2026.
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Impianto agrivoltaico: progettazione e gestione
Stefano Amaducci, professore di Agronomia e Coltivazioni Erbacee all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, fra i pionieri dell’agrivoltaico in Italia, ha avuto il compito di approfondire la progettazione e la gestione di un impianto agrivoltaico.
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Nonostante la sua esperienza di quasi un quindicennio, nel 2010 ha infatti seguito l’installazione dei primi impianti agrivoltaici fra Mantova e Piacenza di REM Tec, e a fine ottobre 2024 ha inaugurato un impianto con potenza di picco da 500 kWp su 800mila metri quadri che porta l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza a coprire il 60% del suo fabbisogno annuo, ad alcune domande non ha potuto dare risposta. “Fra le domande che mi vengono sempre fatte – ha detto Amaducci – c’è la classica, e cioè quali siano le colture migliori, che si sposano meglio con l’agrivoltaico. La mia risposta è sempre: dipende. Fra l’altro non si sceglie una sola coltura, va fatta la rotazione e questo aggiunge complessità . Serve ancora tanta ricerca. Gli impianti agrivoltaici sono pochissimi in Italia, è tutto sulla carta. Che il Pnrr sia anche l’occasione quindi di raccogliere dati, che il monitoraggio, obbligatorio negli impianti finanziati, sia fatto per raccogliere dati. C’è bisogno di definire le strategie di gestione avanzata degli impianti e va fatto seguendo criteri di coprogettazione che tengano conto delle esigenze energetiche e agronomiche”.
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Quali sono dunque le possibilità di configurazione di un impianto agrivoltaico e come muoversi in fase di progettazione? Le Linee guida del Crea dicono che la superficie minima dedicata alla coltivazione non deve scendere sotto il 70% di quella totale su cui insiste l’impianto e che deve esserci continuità dell’attività agricola e adeguata produzione di energia elettrica, mantenendo l’indirizzo produttivo. Le variabili di cui tenere conto però, per fare in modo che le coltivazioni che condividono lo stesso terreno dell’impianto mantengano una resa adeguata che permetta quindi la redditività dell’azienda agricola nell’attività che le è propria in quanto azienda agricola, sono molte. Lo scopo comunque è ottimizzare i sistemi agrivoltaici e fare in modo che energia elettrica e coltivazione funzionino un po’ alla stregua delle coltivazioni consociate.
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Va scelta innanzitutto la tipologia d’impianto, “possono essere verticali – ha spiegato Stefano Amaducci – hanno quindi distribuzione bimodale della luce, più luce mattina e più luce sera. Sono utilizzati soprattutto nel Nord Europa, interferiscono meno con l’attività agricola ma non hanno il vantaggio di ombreggiare le colture dove ci interessa. Ci sono poi impianti biassiali a inseguimento solare, come il nostro. È l’impianto che va per la maggiore. Ruota su due assi in modo che i pannelli possano essere manovrati per distribuire correttamente la radiazione solare. I monoassiali ruotano su un solo asse. Va deciso poi l’orientamento dell’impianto. I campi però – ha fatto notare il professore – non sono tutti quadrati e rivolti a Nord Sud. I pannelli seguono la logica di massimizzare l’energia, ma c’è da tenere conto della meccanizzazione. Vanno disegnati impianti sulle geometrie che hanno i campi. Un parametro molto importante, forse il più importante, è il pitch, ovvero la distanza fra i filari. Più li tieni distanti, meno energia produci per unità di superficie ma hai più accessibilità . C’è poi ovviamente l’altezza minima dei pannelli”.
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Un altro parametro non stabilito però nelle Linee guida, è quanta resa agricola siamo disposti a perdere in favore della produzione energetica? “Va stabilito un paletto” ha detto Amaducci. “Se coltivo sul 70% della superficie disponibile, rispetto il criterio – ha fatto notare – ma se la resa agricola si riduce del 50%, su quella superficie in realtà ho ridotto la mia resa totale del 65%. Non credo sia ammissibile”.
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Dal punto di vista agronomico le scelte da compiere sono altrettanto complesse: vanno scelte colture da ruotare in funzione della loro tolleranza all’ombreggiamento, adattate densità di semina e distribuzione degli input, considerando la nuova situazione, e vanno fatte scelte di genotipo. “Prendiamo il mais – ha continuato Stefano Amaducci – ci sono per esempio mais adatti alle elevate densità ”.
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Infine, anche la parola ottimizzare assume diversi significati a seconda che ci si ponga lato produzione agricola o lato produzione di energia. “I gestori energetici – ha spiegato – ottimizzano in base al LCOE, il Levelized Cost of Electricity. Considerano infatti la vita utile dell’impianto, quanta energia dovrebbe produrre, tutti i costi fra costituzione, manutenzione, revamping, eccetera e ottengono il costo di 1 kWh, da minimizzare. La parte agricola invece vuole sapere quanto si produrrà sotto impianto agrivoltaico rispetto a quanto si sarebbe prodotto in precedenza, il crop ratio”. Ottimizzare significa quindi trovare la configurazione corretta che rispetti parametri stabiliti.
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