L’alfabetizzazione sanitaria (health literacy) sul lavoro – cioè la capacità dei lavoratori di comprendere, valutare e utilizzare informazioni sulla salute e sicurezza – è una leva strategica per garantire il benessere individuale e collettivo nelle aziende. In un contesto in cui la prevenzione e la promozione della salute diventano priorità sempre più centrali, i ricercatori dell’Università degli Studi di Palermo hanno tradotto, adattato e validato per il contesto italiano l’Occupational Health Literacy Scale (OHLS), un questionario nato in Germania nel 2023 e progettato per misurare il livello di alfabetizzazione sanitaria dei lavoratori. Questo strumento non è solo un mezzo per raccogliere dati, ma un punto di partenza per sviluppare strategie preventive in linea con il modello Total Worker Health (TWH).
La ricerca, recentemente pubblicata sulla rivista Public Health, ha visto un susseguirsi di fasi, tra cui traduzioni indipendenti, confronto delle versioni, back-translation e una revisione finale affidata a esperti in salute e sicurezza occupazionale. Un percorso rigoroso che ha garantito la piena accuratezza e validità dello strumento per l’applicazione in Italia.
Abbiamo intervistato i protagonisti di questa ricerca innovativa per approfondire il significato e le prospettive di questo lavoro nel panorama delle politiche sanitarie italiane: parlano a TrendSanità Emanuele Cannizzaro (professore associato di Medicina del Lavoro, Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro presso il Dipartimento PROMISE, Università di Palermo) e Ginevra Malta (ricercatore in Medicina Legale, Dipartimento PROMISE).li autori dello studio.
Quali sono state le principali sfide nel tradurre e adattare l’OHLS al contesto culturale e linguistico italiano?
«Per la validazione italiana della Occupational Health Literacy Scale (OHLS) abbiamo rispettato i processi previsti dalle Linee Guida di Beaton et al. per la validazione dei questionari in lingua straniera, al fine di garantire il mantenimento delle proprietà psicometriche già testate e validate nella lingua originale; in sintesi quindi abbiamo proceduto a far effettuare una prima traduzione da un esperto madrelingua. La successiva fase di sintesi e di ritraduzione hanno migliorato la comprensibilità del test, centrando l’argomento, e consentendo quindi di passare alle successive fasi di validazione e test pilota.
La traduzione e l’adattamento della OHLS hanno in concreto comportato una serie di sfide sia di carattere linguistico che culturale
Innanzitutto, è stato necessario assicurare che la terminologia tecnica relativa alla salute e sicurezza sul lavoro fosse coerente con il quadro normativo italiano, spesso diverso da quello dei Paesi di origine della scala».
Come si è affrontata la diversità lessicale?
«Nello specifico, alcuni termini e concetti legati a responsabilità, procedure operative standard, segnaletica di sicurezza o ruoli professionali non avevano equivalenti diretti, richiedendo adattamenti o perifrasi. Inoltre, la struttura sintattica e l’uso di determinate espressioni idiomatiche hanno dovuto tener conto del contesto lavorativo locale e delle specificità settoriali, così da rendere gli item comprensibili e pertinenti per lavoratori con differenze di formazione, livello di studio e background socio-culturale.
Infine, la sensibilità culturale si è rivelata cruciale: concetti come l’approccio al rischio, la percezione delle responsabilità individuali e collettive, così come la fiducia verso le istituzioni preposte alla sicurezza, sono stati attentamente considerati per garantire che gli item dell’OHLS riflettessero fedelmente i valori, le norme e le aspettative del contesto italiano.
I primi risultati del successo di questi sforzi sono stati apprezzati con il test pilota».
Come l’alfabetizzazione sanitaria sul luogo di lavoro influisce sulla sicurezza e sul benessere dei lavoratori?
«Abbiamo potuto apprezzare una eterogeneicità di risposte che hanno consentito di affermare che un elevato livello di alfabetizzazione sanitaria sul luogo di lavoro consente ai lavoratori di comprendere meglio i rischi, le misure preventive, le procedure e i diritti e doveri legati alla propria attività.
Ciò si traduce in una maggiore capacità di riconoscere situazioni potenzialmente pericolose, di seguire correttamente le linee guida di sicurezza, di utilizzare i dispositivi di protezione individuale in modo appropriato e di sapere come agire in caso di emergenza. Inoltre, la comprensione del proprio stato di salute e la consapevolezza del valore delle politiche di prevenzione e promozione del benessere incidono positivamente sullo stato psico-fisico dei lavoratori. Questo potrebbe ridurre i tassi di infortunio, malattia professionale e assenteismo, aumentando la soddisfazione lavorativa e favorendo un clima organizzativo più sano e produttivo, ovvero sostenibile».
Settori ad alto rischio infortunistico, come l’edilizia o la meccanica, tendono a mostrare livelli bassi di alfabetizzazione sanitaria
Avete riscontrato differenze rilevanti nei livelli di alfabetizzazione sanitaria tra diversi settori lavorativi o gruppi demografici?
«Premettendo che il nostro primo studio, effettuato per validare il questionario, è da considerare uno studio pilota, condotto quindi su un numero limitato di soggetti, a cui sta seguendo uno studio più esteso, possiamo affermare come nel corso della validazione e delle prime applicazioni dell’OHLS sono emerse differenze nei livelli di alfabetizzazione sanitaria a seconda del settore lavorativo. Ad esempio, settori ad alto rischio infortunistico, come l’edilizia o la meccanica, tendono a mostrare livelli bassi di alfabetizzazione sanitaria rispetto a settori con maggiore tradizione formativa e protocolli strutturati, come il settore sanitario o quello amministrativo».
E le differenze di età?
«Anche differenze demografiche possono giocare un ruolo importante: lavoratori più giovani, con titoli di studio superiori o con una maggiore familiarità con strumenti digitali e informativi, spesso mostrano livelli di alfabetizzazione sanitaria più elevati. Al contrario, fasce di popolazione lavorativa più anziane, o inserite in contesti socio-culturali con meno esposti a campagne di informazione sulla salute, o con minor livello di istruzione formale, mostrano competenze più limitate.
È auspicabile come tali differenze non siano statiche, ma possano essere modificate attraverso interventi mirati di formazione e comunicazione».
Quali sono le implicazioni dei vostri risultati per le aziende italiane nella promozione della salute e sicurezza sul lavoro?
«I nostri risultati suggeriscono che le aziende italiane, per migliorare la salute e la sicurezza sul lavoro, dovrebbero investire non solo in misure tecniche e strutturali ma anche nello sviluppo dell’alfabetizzazione sanitaria tra i dipendenti. Ciò significa promuovere programmi di formazione mirati, comunicazione chiara e accessibile dei rischi e delle norme, e una cultura organizzativa in cui la sicurezza sia percepita come un valore condiviso.
Le imprese possono ad esempio proporre corsi di formazione interattivi, supporti visivi e digitali, nonché verifiche periodiche della comprensione delle procedure di sicurezza. Questo investimento, oltre a migliorare la prevenzione degli infortuni e la salute a lungo termine dei lavoratori, potrebbe rafforzare la reputazione aziendale, aumentare la produttività e ridurre i costi legati ad incidenti e malattie professionali».
Come si posiziona l’Italia rispetto ad altri Paesi europei e quali lezioni possiamo acquisire?
«L’argomento è controverso. Lo Studio Europeo sull’Alfabetizzazione Sanitaria (HLS-EU), sostenuto dalla Commissione Europea, ha dimostrato che una limitata alfabetizzazione sanitaria è una sfida in diversi Paesi europei.
L’Italia, rispetto ad altri Paesi europei, mostra una crescente attenzione al tema dell’alfabetizzazione sanitaria sul lavoro, ma con margini di miglioramento, specie rispetto ad alcune nazioni del Nord Europa o alla Germania, dove la formazione professionale e la cultura della prevenzione sono da tempo integrate nel tessuto socio-lavorativo, si osservano livelli più elevati di competenza e consapevolezza.
L’esperienza di altri Paesi suggerisce l’utilità di creare sinergie tra istituzioni, sindacati, datori di lavoro e sistemi formativi per diffondere conoscenze e prassi efficaci
L’esperienza di altri Paesi suggerisce l’utilità di creare sinergie tra istituzioni, sindacati, datori di lavoro e sistemi formativi per diffondere conoscenze e prassi efficaci.
L’Italia potrebbe apprendere da questi modelli, investendo in soluzioni innovative e sostenute nel tempo, rafforzando le campagne informative e favorendo una maggiore partecipazione dei lavoratori nei processi decisionali inerenti la sicurezza e la promozione della salute, allineandosi ai Sustainable Development Goals (SDG) delle Nazioni Unite in tema di “lavoro sostenibile”, lavoro che stiamo già promuovendo attivamente, portando l’argomento in progetti Horizon Europe ed Erasmus+».
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