Le manifestazioni di protesta della magistratura italiana in occasione della celebrazione dell’anno giudiziario dovrebbero destare sconcerto e preoccupazione in ogni cittadino che abbia ancora a cuore il futuro del nostro ben strano Paese. Questa volta si è oltrepassato ogni limite, nella forma e nella sostanza.
La negazione del dialogo
L’abbandono dell’aula al momento degli interventi degli esponenti del governo nazionale rappresenta una forma radicale e teatrale di protesta (per carità, legittima) che non si addice ai rappresentanti dell’ordine giudiziario e al rango della loro funzione.
Siamo dinanzi alla negazione della dignità dell’interlocutore (il rappresentante del governo) che non merita nemmeno il rispetto della nostra presenza e del nostro ascolto; siamo alla negazione della possibilità teorica del dialogo, alla negazione della dignità di un pensiero che è considerato così nefasto e pernicioso da non meritare alcuna considerazione con la protesta teatrale di una Costituzione repubblicana sbandierata alla stregua di un feticcio.
Sarebbe stato interessante registrare la reazione dei magistrati dinanzi alla protesta di avvocati e politici che avessero abbandonato l’aula delle celebrazioni al momento dell’inizio della relazione dei vari presidenti di Corte d’appello. Anche gli avvocati e i politici hanno diritto di ritenere le idee e l’operato di certa magistratura così dannosi da non meritare alcuna considerazione e dunque l’ascolto degli interlocutori. Come avrebbero reagito gli esponenti dell’Associazione Nazionale Magistrati? A chi avrebbero dato la responsabilità di un clima di lacerazione dei rapporti istituzionali?
I limiti della Costituzione
Questo per la forma. Nella sostanza i contenuti della protesta sono stati ancora più sconcertanti e preoccupanti. L’Associazione nazionale magistrati (Anm), attraverso i suoi profili social, ha rilanciato le ragioni della protesta contro la separazione delle carriere ribandendo che lo scopo ultimo sarebbe quello di difendere la Costituzione, mostrata, è utile ribadirlo ancora una volta, alla stregua di un feticcio e dunque, questa volta sì, degradata oltre ogni limite.
La separazione delle carriere sarebbe, come si diceva, contraria alla Costituzione e, va da sé, ne rappresenterebbe una lacerazione intollerabile di fronte alla quale è indispensabile erigere barricate in stile 1848. Ma la separazione della carriere non verrà introdotta con legge ordinaria e dunque la Costituzione non può rappresentare il parametro rispetto al quale verificarne la legittimità o l’illegittimità.
La riforma verrà introdotta per mezzo di una modifica della stessa Carta costituzionale, la quale impedisce solo che le sue revisioni intacchino la forma repubblicana. In realtà, molto opportunamente, la giurisprudenza costituzionale e la dottrina hanno individuato dei cosiddetti super principi costituzionali non soggetti a revisione pena la perdita della forma liberal democratica.
Immaginiamo per un momento, ad esempio, che il Parlamento voglia modificare la Costituzione e sopprimere le libertà fondamentali dei cittadini; questa revisione della Carta sarebbe illegittima, sebbene realizzata attraverso le forme e le procedure previste dall’articolo 138. La ragione di tale condivisibile conclusione è semplice: si tratterebbe di una riforma che andrebbe a negare le fondamenta del costituzionalismo, la radice della liberal democrazia.
Il legislatore costituzionale
Fuori del perimetro dei super principi costituzionali, però, il Parlamento può farsi legislatore costituzionale e modificare la Carta come previsto dal già richiamato articolo 138; e del resto è già accaduto numerose volte senza che siamo venuti a trovarci in un nuovo dispotico regime.
Ai magistrati che hanno sbandierato la Costituzione per convincere l’opinione pubblica – attraverso lo strumento della retorica e della polemica – della illegittimità della separazione delle carriere andrebbe quindi chiesto: ritenete davvero, dunque, che la carriera unica dei magistrati inquirenti e giudicanti rappresenti uno di quei principi alla base del costituzionalismo occidentale che qualifica l’unica forma possibile ed immaginabile di liberal democrazia, in modo tale da ritenere impensabile, perché illegittimo, qualsiasi modello costituzionale che adotti, invece, un sistema differente?
Agli agitatori della Costituzione andrebbe chiesto: ritenete davvero che l’unicità della carriera rappresenti, ad esempio, il minimo comune denominatore delle tradizioni costituzionali europee ed occidentali? E ancora: ritenete che tutti gli altri Paesi che hanno adottato la separazione delle carriere non meritino lo statuto di liberal democrazie rette dallo Stato di diritto? Esiste, in definitiva, uno ed un solo modello legittimo di definizione dello svolgimento delle carriere dei magistrati ed esso è quello previsto dalla Costituzione del 1948 cosicché qualsiasi differente costrutto sarebbe gravemente incostituzionale?
Va da sé che le risposte positive ai precedenti interrogativi non potrebbero che svelare o gravi lacune culturali – il che non sarebbe per nulla rassicurante – o un intento di contrapposizione polemica che prescinde dalla serena analisi delle riforme – atteggiamento altrettanto intollerabile di una parte così importante di servitori dello Stato e del diritto.
La strumentalizzazione di Calamandrei
Lo sconcerto del cittadino che ha assistito alla protesta contro la separazione delle carriere ha raggiunto, tuttavia, l’apice per altra e concomitante manifestazione dei magistrati. Sono state esposte a favore di telecamere alcune frasi di Piero Calamandrei, costituente le cui citazioni sono sempre utili per scagliare lo stigma della indegnità contro qualsiasi tentativo di riforma o, per dire il vero, contro qualsiasi riformatore.
In quelle frasi Calamandrei ricostruiva un legame non contestabile fra l’adozione della Costituzione repubblicana e la fine del regime fascista sconfitto anche grazie al sacrificio umano di decine di migliaia di cittadini italiani che animarono la resistenza. Lo scopo della esposizione delle frasi di Calamandrei è stato quello di dire: chiunque sacrifica la Costituzione nega il valore morale della lotta antifascista e la dignità dei morti che ci hanno donato la libertà; la lotta contro la separazione delle carriere è lotta per la resistenza e l’antifascismo.
Al netto di errori di interpretazione appare difficile assegnare un significato diverso alla diffusione delle parole del famoso e abusato costituente. A questo punto si dovrebbe chiedere ai magistrati: davvero credete che la riforma della Costituzione nella parte in cui modifica l’unicità della carriera dei magistrati rappresenti una negazione dei valori fondanti dell’antifascismo?
Davvero volete farci credere che quelle parole di Calamandrei non facessero riferimento alla necessità di tutelare le libertà fondamentali dei cittadini nei confronti dello Stato che può assumere forme autoritarie e si riferissero, invece, a qualsiasi modifica della Costituzione e, in particolare, alla illegittimità della separazione delle carriere che sarebbe uno schiaffo a coloro che sono morti per la resistenza? Perorare la separazione delle carriere equivarrebbe, in conclusione, a negare l’antifascismo? E questo che volete sostenere?
Ed infine una domanda per i nostri quattro lettori: dobbiamo o non dobbiamo essere seriamente sconcertati e preoccupati per queste condotte di alcune frange della magistratura italiana?
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