Elezioni in Bielorussia, Lukashenko «vince» ancora: prende l’87% nel voto farsa. Kaja Kallas (Ue): «Un insulto»

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di
Irene Soave

Alle urne col cane (che in un video virale fa pipì al seggio) il «solo dittatore d’Europa» si conferma per un settimo mandato. Governa da 31 anni

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Il signore col cagnolino è andato a votare ieri mattina. Azzimato, in cravatta, i modi pacati che gli sono valsi, nel suo Paese, il nomignolo «Nonno». Nel resto del mondo, Aleksandr Lukashenko è più spesso definito l’ultimo dittatore d’Europa, e le elezioni che ieri lo hanno confermato per la settima volta presidente, con l’87,6% dei voti, una farsa. 

Di «affronto sfacciato alla democrazia» ha parlato alla vigilia del voto l’Alta rappresentante della Ue per gli affari esteri Kaja Kallas; Lukashenko ha fatto sapere, in un punto stampa di quattro ore che ha tenuto ieri a urne aperte, che del riconoscimento o meno, all’estero, della validità delle sue elezioni, «non mi importa nulla», e che con la Ue «potremo anche parlare, ma certo non in ginocchio». Governa da 31 anni, e alla fine del mandato che si apre oggi saranno 36. Dei 6,9 milioni di bielorussi che potevano votare lo ha fatto, ufficialmente, l’81%. 




















































Dati inaffidabili per gli osservatori internazionali (e c’è chi rileva che nei video ufficiali Lukashenko firma un registro elettorale intonso). E da cui certo mancano i circa 1.250 prigionieri politici che il regime di Lukashenko ha incarcerato dopo le scorse elezioni, le presidenziali del 2020, in cui grandi proteste di piazza che lo accusavano di brogli sono state represse con l’aiuto dell’alleato Putin. Di una decina di loro, i nomi più di spicco — come Sergei Tikhanovsky, il blogger che allora si era candidato a sfidarlo, o Ales Bialiatski, insignito nel 2022 del Nobel per la pace — non si sa niente o quasi da più di due anni. Persone che, ha detto ieri Lukashenko ai giornalisti, «hanno scelto il carcere o il cosiddetto esilio. Non cacciamo nessuno, e c’è libertà di parola. In prigione è finito chi ha la bocca larga».

Al posto di Tikhanovsky, nel 2020, dopo il suo arresto, si era candidata la moglie Svetlana, a cui il regime aveva riconosciuto il 10% dei voti e che poi era stata costretta all’esilio, da dove ora dirige l’opposizione. Ieri ha definito le elezioni «un rituale dittatoriale», e invitato i governi europei a non riconoscerle. Anche al voto di ieri c’erano quattro concorrenti: un comunista, un liberale, un laburista e «una sedicente amica dei dissidenti», spiega Hanna Liubakova, giornalista e osservatrice dell’Atlantic Council. «Ma erano tutti e quattro falsi rivali, sostenitori da anni di Lukashenko». Su X, Liubakova documenta il caos alle urne, le schede fotografate, chi vota due o tre volte. Si trova in Lituania, dove hanno trovato casa molti dissidenti. «In patria qualsiasi opposizione è impossibile, e all’estero siamo perseguitati. Ci inseriscono in liste di ricercati internazionali, e io stessa sono stata arrestata nel 2021 mentre viaggiavo nell’ex Urss. A molti di noi congelano i beni». E rispetto al 2020, quando la mobilitazione per la Bielorussia fu grande, «l’Occidente manifesta stanchezza, e del resto la dissidenza bielorussa è stata silenziata quindi è difficile che sollevi solidarietà». 

Ma l’Europa deve fare di più, insiste l’attivista Dzianis Kuchinsky, collaboratore di Tikhanovskaja. «Più severità nelle sanzioni, più aiuti alla società civile in esilio. Anche per la vostra sicurezza». 

Ma intanto Lukashenko festeggia il nuovo mandato. Molto condiviso all’estero un video di ieri che gira su Telegram, tagliato dalle riprese ufficiali, che qualcuno ritiene emblematico. Si vede Umka, il cagnetto di Lukashenko, entrare al seggio elettorale al seguito del padrone. Alza la zampina, si accosta a un angolo e fa pipì. Nessuno ha da ridire. 

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26 gennaio 2025 ( modifica il 26 gennaio 2025 | 22:09)

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