Giustizia, «Una osmosi mafiosa. Parenti in clan diversi». Le ‘ndrine riciclano qui

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Sempre più frammentati i clan, con un meccanismo di distribuzione che prevede anche che ci siano elementi imparentati tra loro in gruppi diversi. In modo tale che la Scu sia sempre più orizzontale nella sua organizzazione e meno perseguibile. Come ogni anno, sulla base delle considerazioni della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, si fa il punto anche sullo “stato di salute” della malavita organizzata che in Salento si identifica interamente con la Sacra corona unita

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«Un dato specifico della criminalità salentina attiene al tipo di rapporti che si sono intessuti nel tempo tra diversi gruppi associati, mafiosi e non mafiosi, caratterizzati da alcune specificità locali. In particolare, si tratta di un fenomeno di osmosi, per così dire, tra gruppi diversi». Si assiste spesso ad uno “scambio” di affiliati da un gruppo all’altro, è riportato nel report del procuratore generale facente funzioni, Giovanni Gagliotta, sulla base di quanto riferito dal procuratore della Repubblica (anche in questo caso vicario), Guglielmo Cataldi. Registrata la «contemporanea partecipazione a due o più gruppi pure spesso in concorrenza criminale, a criminali imparentati tra di loro che partecipano però a diverse associazioni pur mantenendo i contatti. Sono state riscontrate persino delle forme di collaborazione reciproca tra gruppi diversi finalizzate a garantire una certa pax mafiosa per non creare allarme tra le forze dell’ordine o per garantirsi maggiori profitti evitando forme di concorrenza sul territorio. Si tratta di un fenomeno che è stato difficile inquadrare giuridicamente e che ha portato anche a qualche annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione per difetto di motivazione su queste specifiche circostanze, poiché si tratta appunto di fenomeni del tutto nuovi ed estranei alle tradizionali dinamiche criminali che vedevano i diversi gruppi in aperta contrapposizione, anche armata, tra di loro».
Il business resta sempre il traffico di droga. È il sistema attraverso cui le associazioni criminali creano i fondi neri da reinvestire nell’economia legale. Nelle forniture alimentari, nel settore balneare. Ma anche nell’usura, fenomeno diffuso ma sempre “sottostimato” considerata la scarsa propensione delle vittime a denunciare. Emerge l’interesse anche per le sagre e per le grandi manifestazioni: «Al di là delle attività connesse alla gestione delle sostanze stupefacenti, i gruppi mafiosi locali operano anche nei settori più tradizionali dell’usura e delle estorsioni, avvalendosi principalmente del metus ambientale di cui sono storicamente portatori. Intervengono nei tradizionali settori del gaming, della security, del recupero crediti per conto terzi e dei servizi connessi allo svolgimento di sagre e grandi manifestazioni», si legge. Persistono, è riportato, i casi di coinvolgimento dei gruppi mafiosi nelle campagne elettorali locali «al fine di influenzare le successive scelte delle pubbliche amministrazioni». E c’è un dettaglio particolare, nella ricostruzione dei rapporti da sempre esistenti con le altre mafie. Non si tratta più solo di contatti dovuti alla fornitura di cocaina. Non con la ‘ngrangheta, per lo meno. 
«A fronte del rarefarsi dei rapporti con la mafia siciliana – è riportato – si confermano quelli, risalenti nel tempo, con la ndrangheta calabrese. Non si tratta solamente dei tradizionali rapporti finalizzati alle forniture di sostanze stupefacenti, prevalentemente del tipo cocaina, da parte delle cosche calabresi ma anche di una sorta di legittimazione criminale che i gruppi salentini, come già nel passato, ricercano presso le più importanti ‘ndrine per poter interloquire ai massimi livelli criminali all’interno degli istituti penitenziari. Ultimamente, le più recenti indagini segnalano il verificarsi sul territorio salentino di fenomeni di riciclaggio delle ‘ndrine calabresi». 
Non di poco conto, poi, anche la capacità dei “boss” di mantere i contatti con l’esterno, anche attraverso i social. 
«Appena entrati in carcere i boss vengono illecitamente in possesso di cellulari e attraverso gli stessi continuano indisturbati a dirigere il loro gruppo organizzato non solo impartendo ordini ai sodali ma anche servendosi di social network quali tik tok per rivendicare attentati, ribadire la propria operatività, dettare le regole di condotta mafiose ed in definitiva sottoporre la popolazione ad una costante forma di intimidazione». 
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