Noemi Di Segni, Presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane UCEI
Il pensiero va ai sopravvissuti ai campi di sterminio che sono ancora vivi – Segre, Bruck, Modiano, le Bucci, la Bauer, Salmoni che ci sono più vicini. Loro che hanno vissuto fin dai primi anni di vita prima l’esclusione da ogni ambito del quotidiano, poi la persecuzione, loro che sono testimoni dello sterminio, come vivono quello che sta accadendo oggi? Stanno vivendo negli ultimi anni (ne auguriamo naturalmente il più possibile fino a 120 come si usa dire nelle nostre comunità) qualcosa che ricorda quelle esclusioni? Quell’odio? Solo loro possono rispondere in modo autorevole, noi possiamo ragionare su quello che percepiamo oggi messo a paragone con quanto abbiamo studiato e ascoltato da loro negli anni. Anni di condivisione ma anche anni di silenzi.
In cosa si concretizza questo timore? Negli appelli al massacro, nel boicottare la cultura, la scienza, lo sport, il commercio etichettato come di provenienza israeliana, ma anche se appare la parola “ebraico”. Nella minaccia fisica per chi si veste o porta segni riconoscibili della religione ebraica e nella violenza verbale che dilaga con ogni genere di minacce e auspici di ritornare ai forni crematori. Perché è più grave? Perché la giustificazione a tutto questo sarebbe il comportamento di Israele e i diritti del popolo palestinese. Il popolo che ha sofferto è ora il carnefice. Il nazista è Israele, come stato e come Nazione. Il genocidio è commesso oggi da chi lo ha subito. Gaza è (da sempre) un lager a cielo aperto. Questo è quello che ci sentiamo dire soprattutto da chi non ha mai ascoltato una testimonianza e mai visitato il campo di sterminio di Auschwitz e altre decine di campi e sottocampi.
Le citazioni di poesie e pagine più note scritte da chi è sopravvissuto vengono utilizzate come titoli per accusare il popolo ebraico esattamente dei medesimi crimini ai quali il monito era stato riferito. Questa è crudeltà.
Così i nostri sopravvissuti sono massacrati ancora una volta. Non dall’oblio e dall’ignoranza ma da una pura campagna di odio. Non importa quale sia realmente la complessità della situazione palestinese e delle relazioni geopolitiche nella regione mediorientale. L’importante è inneggiare attraverso uno slogan e ripetere falsità che diventano verità. E lo schema della comunicazione di massa che fa leva sui sentimenti più basilari funziona sempre e fa da cassa di risonanza comoda. Una pesante responsabilità dei media nel ribadire dati e utilizzare ripetutamente scatti che focalizzano un solo pixel di un intero quadro.
Parimenti, e non meno grave è la nostalgia per i simboli del fascismo e del nazismo auspicando che riprenda quell’ordine mondiale dettato dal totalitarismo di cui si è dimenticata la portata distruttiva. Non solo verso gli ebrei ma per l’Europa tutta e la guerra mondiale. Tra minacce esterne all’Europa di chi cerca di penetrarla usando proprio quelle fortissime tutele delle libertà statuite e riconquistate dopo la guerra, e minacce interne che rigenerano nostalgie totalitarie e pregiudizi antiebraici siamo smarriti.
E allora ci si chiede dopo 80 anni dalle liberazioni o dalla fine della guerra cosa abbiamo davvero consolidato e compreso e quali siano i percorsi che generano speranza. Non tutto va nella direzione del male. Ci sono anche punti di luce e di impegno attento e coerente ai quali rendere il nostro apprezzamento. Non perché ci vengono elargite attenzioni e carezza ma perché sono persone e istituzioni che accolgono e lanciano ad altri l’invito a riflettere sulle responsabilità italiane. Il monito e l’impegno di ricordare il nome di ciascuno dei sei milioni sterminati nei campi fa parte di una cultura che mette la persona e la sua vita al centro di ogni agire e ogni scelta. Questa cultura di vita è quella che ogni giorno, attingendo ai valori ebraici, cerchiamo di vivere e di ribadire come risposta alla cultura che attraverso la religione giustifica la morte.
Il 27 passerà dopo 24 ore che saranno sicuramente intense. Questo è il momento della scelta di coerenza che si compie verso l’intero anno e i prossimi decenni. Se si accorda spazio alla banalizzazione del pericolo o si vigila attraverso la coerenza e l’attenzione a chi con immenso sacrificio, dolore e fatica ha cercato in questi anni di condividere la propria testimonianza.
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