Informazione: il giubileo col Papa, il laico Girardin o libere ‘fake news’ di Musk?

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Domenica un bel po’ di mondo della comunicazione in Vaticano da papa Francesco, credenti e meno, a parlare del dovere di informare correttamente. Sul Corriere la storia del laico Girardin maestro del giornalismo moderno. Con Massimo Nava che ci parla di un’epoca in cui i giornalisti non avevano vita facile e l’ombra della censura e della corruzione era sempre in agguato. Napoleone III, Balzac e Dumas, o Elon Musk e social assortiti in certe mani?

Il giornalismo sotto attacco Social

In Francia, è uscita in questi giorni una biografia che ripercorre le tappe di una formidabile carriera professionale e imprenditoriale e rende anche giustizia a un personaggio decisamente scomodo e per questo anche molto detestato. Ricordarlo oggi, non significa soltanto ripercorrere il tempo dei pionieri, ma stimolare il confronto con lo stato dell’arte, con il nostro tempo in cui il giornalismo è assediato dai nuovi medi e da logiche di potere e in cui raccontare la verità o avvicinarsi ad essa significa esporsi a molti rischi, compresa la vita stessa, come sta accadendo sul fronte ucraino russo e in Medio Oriente. A Gaza, oltre un centinaio di reporter, per lo più palestinesi e arabi, sono stati uccisi. Oggi più che mai vale il vecchio detto che la verità è la prima vittima di guerra, uccisa da propaganda contrapposta.

‘Le Voleur’, con Honoré de Balzac

Che Girardin fosse innovatore e visionario lo si scoprì presto, con il successo del suo primo giornale, Le Voleur, fondato a soli ventun anni, subito scopiazzato da colleghi invidiosi. Presto intuisce quale possa essere l’ambito più propizio per vendere copie. Due anni dopo fonda La Mode, che diventa il foglio di riferimento delle tendenze di costume, delle buone norme, della vita culturale dei salotti parigini. Non a caso, chiama in redazione uno che sull’umanità salottiera e sul costume sapeva già scrivere immortali spartiti, Honoré de Balzac.

1836, nasce ‘La Presse’

Ma il punto di svolta, nel 1836, è la nascita de La Presse, il primo vero quotidiano, lanciato a metà prezzo per fiaccare la concorrenza. Le novità sono rivoluzionare per l’epoca: finanziamento attraverso annunci pubblicitari e collaboratori illustri, come lo stesso Balzac e Alexandre Dumas che arricchiscono le pagine con i loro feuilleton a puntate. Più tardi, durante il suo soggiorno parigino in compagnia di Dumas, un giovane giornalista italiano fece la conoscenza di Girardin e molto probabilmente ne trasse importanti insegnamenti: era Eugenio Torelli Viollier, che avrebbe fondato a Milano il Corriere della Sera e che, a Napoli, aveva a lungo collaborato con Dumas nella redazione de L’Indipendente.

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Torelli Viollier e il Corriere della Sera

Nelle riunioni del consiglio d’amministrazione, Torelli Viollier ricordava il suo maestro Girardin: «La Presse era fortemente in passivo. Gli azionisti erano preoccupati e avevano invitato Girardin a tagliare le spese e a far quadrare il bilancio. Per tutta risposta, lui propose di raddoppiare gli investimenti nella redazione. Gli diedero ascolto e il giornale si avviò alla prosperità!». È Dumas a presentare a Girardin il giovane giornalista arrivato da Napoli a Parigi. Il grande direttore-proprietario de La Presse aveva inviato articoli dalla Francia all’Indipendente che Torelli aveva tradotto, sperando in cuor suo di aver fatto bene il proprio lavoro.

Una lezione di giornalismo

Le occasioni di conversare con uno degli opinionisti più influenti di Francia furono una lezione di giornalismo. «Girardin sembra saper leggere nel futuro dell’informazione e trasformare in applicazioni pratiche le sue intuizioni». A Parigi circolavano più di duecento quotidiani, ma pochi godevano di una vera autonomia politica ed economica. Napoleone III aveva imposto una forma di controllo dell’informazione: non propriamente la censura o l’arresto dei giornalisti, ma tagli di sovvenzioni, prebende, fondi segreti e decorazioni a quelli più servili. Girardin si era inventato una forma più incisiva di resistenza e autonomia dal potere. «Cher Monsieur Torelli – gli confidò -per molti anni l’industria della carta stampata si è fondata su basi sbagliate, come vendite e abbonamenti. Il futuro è nella pubblicità. Gli annunci contribuiscono a rafforzare le basi economiche del giornale e a rendere più libero il giornalista di esprimere le proprie idee. La libertà di stampa è una sorta di fantasma che esiste soltanto se fa davvero paura!».

L’arma della pubblicità

Girardin dimezzò il prezzo delle copie in abbonamento e compensò le minori entrate con la raccolta pubblicitaria. Poi comprò testate e si fece costruire un palazzo nel cuore di Parigi. Torelli pensò probabilmente di seguire il suo esempio, ahimè non più attuale: «I giornalisti, oltre che liberi, possono diventare ricchi». Molti anni dopo, fece costruire il suo palazzo vicino al Castello Sforzesco di Milano.  Adeline Wrona, l’autrice della biografia di Girardin per Gallimard – Emile de Girardin: Le Napoléon de la presse – nota che a quest’uomo che fu in grado di fare tremare governi e regimi, inventore di un modello economico di giornale, non è stata dedicata nemmeno una strada di Parigi.

La domanda crescente di notizie

La grande intuizione di Girardin fu di comprendere che alla domanda crescente di giornali e di notizie, almeno nelle aree urbane, non corrispondeva un’offerta adeguata ai tempi. I giornali erano gazzette per pochi intellettuali e giornalisti autoreferenziali, faticavano a sopravvivere, non erano distribuiti. Grazie alle macchine stampatrici importate dall’Inghilterra e a qualche buona idea d’Oltremanica, Gilardin riuscì a lanciare giornali che avrebbero superato in fretta le centomila copie. Una volta disse: «Vorrei fondare una pubblicazione veritiera e, allo stesso tempo, distruggere le polemiche falsificanti; vorrei rovesciare tutti i monopoli mercantili dell’opinione pubblica e, allo stesso tempo, restituire a tutti la libertà di esprimere le proprie opinioni sui fatti».

Libertà di opinione sui fatti

Nota Wrona: «Questo sarà sempre il suo credo, la salvezza dello Stato e dei giornali risiedeva nella loro pluralità e diversità, che potevano essere assicurate solo dall’indipendenza finanziaria. Meno giornali ci sono, meno risorse hanno. E più sono fragili, più si dà la precedenza all’opinione rispetto all’informazione. È la legge di Girardin, che non è mai stata così attuale. Genio della strutturazione e del sillogismo, era libero di spiegarle ai finanziatori: per aumentare il numero di lettori, bisogna abbassare il prezzo del giornale. Per abbassare il prezzo, abbiamo bisogno della vostra pubblicità, che vendiamo nello stesso momento in cui vi vendiamo i nostri lettori. Questo è il “doppio mercato”. Vendiamo due volte».

Un polemista poco amato

Girardin non era peraltro molto amato dal suo pubblico e dai poteri dell’epoca. Era capace di costruire aspre polemiche e di criticare senza mezzi termini le personalità di governo e persino il presidente della Repubblica. Non esitò a battersi a duello (ma a quell’epoca non era l’unico, anche il nostro Torelli sfidò Felice Cavallotti) e uccise uno degli altri grandi giornalisti dell’epoca, Alexis Carrel, penna repubblicana del National. Per la Storia, appoggiò la monarchia di Luigi Filippo, ma poi fu un fervente repubblicano, quindi simpatizzò per l’ascendente Napoleone III e infine fu eletto deputato. Si deve in gran parte a lui il progetto di legge sulla stampa del luglio 1881, approvato dopo la sua morte.

Prima legge francese sulla stampa

«Questa legge è tutto per lui: libertà totale per i giornali, le affissioni, l’editoria, la stampa e le opinioni, e una totale mancanza di controllo sulle questioni finanziarie. È un iperliberismo che porta la sua firma: quasi cinquant’anni dopo aver inventato tutto, dedica le sue ultime energie a sancire per legge le sue invenzioni».   È un ritratto in stridente contrasto con il più accurato rapporto sulla libertà di stampa ai giorni nostri, pubblicato da Reporter senza frontiere (Rsf). «Gli attacchi politici alla libertà di stampa, tra cui la detenzione di giornalisti, la soppressione di organi di informazione indipendenti e la diffusione capillare della disinformazione, si sono intensificati in modo significativo».

Reporter senza frontiere oggi

«Rsf vede un preoccupante declino del sostegno e del rispetto per l’autonomia dei media e un aumento della pressione da parte dello Stato o di altri attori politici», ha dichiarato Anne Bocandé, direttrice editoriale dell’ong. «Gli Stati e le altre forze politiche stanno giocando un ruolo sempre meno importante nella protezione della libertà di stampa. Questo esautoramento a volte va di pari passo conazioni più ostili che minano il ruolo dei giornalisti, o addirittura strumentalizzano i media attraverso campagne di molestie o disinformazione». A questo si aggiunge l’alto numero di giornalisti uccisi sui fronti di guerra, in particolare in Ucraina, a Gaza e in Sudan, oltre a un gran numero di giornalisti arrestati e incarcerati, in particolare in Medio Oriente e America Latina.

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Dopo l’Ucraina la Russia precipita

In Europa, l’indice ha mostrato che la Russia è scesa in fondo alla classifica dei Paesi che hanno subito attacchi alla libertà di stampa. Circa 1.500 giornalisti russi sono fuggiti all’estero dall’invasione dell’Ucraina nel 2022. Ma anche nell’Occidente democratico la stampa non se la passa bene, sia per le pressioni sui media, sia per l’offensiva dei social media intossicati di fake news. A primeggiare in classifica di affidabilità e libertà è stabile la Norvegia. Seguono Irlanda, Danimarca, Svezia e Finlandia. La Grecia è il Paese dell’Unione europea che fa registrare la performance peggiore: si trova al 107° posto su 180, preceduta – per quanto riguarda gli Stati membri dell’Ue – da Malta (84° posto) e Ungheria (72° posto). L’Italia viaggia attorno al quarantesimo posto.

Stati Uniti tra Musk e il redivivo Trump

Disinformazione, propaganda, intelligenza artificiale: queste alcune delle minacce che in tutto il mondo, rimarca il Rapporto di Reporter senza frontiere, mettono a rischio la libertà di informazione. Negli Stati Uniti, per la prima volta, il Washington Post ha rotto la tradizione democratica, decidendo di non sostenere nessuno dei due candidati alle presidenziali. Il giornale, con l’eccezione degli anni Cinquanta quando invitava a votare per Eisenhower, ha sempre sostenuto i candidati democratici. «Trump si è dimostrato ignorante, deludente, narcisista, vendicativo, misogino, con poca considerazione per la democrazia e lusinghiero nei confronti dei nemici dell’America», scriveva il WP durante la prima campagna elettorale di Trump.

Per capire il cambio di rotta del giornale, bisogna ricordare che il Washington Post è di proprietà di Jeff Bezos, capo del gruppo Amazon e una delle persone più ricche degli Stati Uniti. E adesso il mondo intero deve fare i conti con il direttore globale, l’Avatar dell’informazione drogata e pilotata al servizio di un potere universale, l’ideologo della nuova destra mondiale, populista e reazionaria: Elon Musk.



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