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«La mini-Ires? È una misura rivolta ad una platea selezionata di imprese. Non è destinata ad aiutare le tante aziende in difficoltà, perché esclude in modo implicito chi non riesce a generare utili o a mantenere un livello stabile di occupazione». Lo pensa Roberta Moscaroli, partner del dipartimento Tax di Dentons, multinazionale di studi legali e tributari.
Il riferimento è alla misura introdotta nella legge di Bilancio, introdotta per il 2025: promette una riduzione temporanea dell’aliquota Ires (l’imposta che grava sui redditi delle società e di alcuni enti) dal 24% al 20% e premia le imprese capaci di investire in tecnologie avanzate, appartenenti alle transizioni 4.0 e 5.0. Quindi, automazione, robotica, digitalizzazione e sostenibilità, strumenti fondamentali per modernizzare i processi produttivi e garantire una crescita competitiva e duratura.
In astratto, la norma è assai opportuna; tuttavia, richiede alle aziende il rispetto di una serie di requisiti stringenti che, sebbene pensati per incentivare la solidità patrimoniale, l’innovazione e l’incremento occupazionale, precludono automaticamente alle realtà più fragili o in difficoltà l’accesso ai benefici.
Uno dei principali limiti della mini-Ires risiede nel fatto che le imprese, per accedere al beneficio, devono essere in grado di generare utili significativi e destinarli ad accantonamenti sostanziali. Un requisito che rappresenta una barriera naturale per molte aziende, soprattutto in un momento storico come quello attuale, caratterizzato da difficoltà economiche e incertezze sul mercato. Molte imprese, specialmente nel settore manifatturiero, stanno affrontando sfide complesse, come il calo della domanda, l’aumento dei costi delle materie prime e dell’energia, nonché la pressione competitiva globale. In questo contesto, non tutte sono in grado di produrre utili sufficienti per rispettare gli obblighi richiesti dalla normativa. Pianificare accantonamenti importanti o investimenti strutturali di lungo periodo può essere irrealizzabile per quelle realtà che già lottano per mantenere l’operatività quotidiana.
L’altro limite significativo della mini-Ires è il divieto di accesso per le imprese che hanno fatto ricorso alla cassa integrazione nel 2024 o che lo faranno nel 2025, salvo eccezioni molto specifiche. Si pensi che nei primi nove mesi del 2024, sono state autorizzate in Italia oltre 440 milioni di ore di cassa integrazione, con un aumento del 20% rispetto al 2023. E si pensi al solo settore automotive. Stellantis ha fatto ricorso alla cassa integrazione in stabilimenti chiave come Mirafiori, Melfi, Cassino e Termoli. A Mirafiori, ad esempio, la produzione della 500 elettrica è stata sospesa per mancanza di ordini, costringendo l’azienda a fermare temporaneamente gli operai. Quanto ai componentisti auto, Marelli, ha utilizzato la cassa integrazione in più stabilimenti, tra cui Bari e Sulmona. Ma si potrebbero fare tanti nomi: la Lear di Grugliasco, Te Connectivity, Magnetto e tante altre realtà impegnate nel gestire il calo degli ordinativi.
D: Può spiegarci in cosa consiste la mini-Ires e quali sono i presupposti richiesti per accedervi?
R: La misura consiste in una riduzione straordinaria dell’aliquota nominale dal 24% al 20%, ed è applicabile esclusivamente al 2025: si tratta insomma di un intervento transitorio, non strutturale, riservato alle società che rispettano determinati requisiti. Tra questi, il principale è l’accantonamento, ad apposita riserva, di almeno l’80% degli utili dell’esercizio al 31 dicembre 2024. Si intende in questo modo promuovere un rafforzamento patrimoniale delle imprese. E questo è il primo requisito.
D: C’è però un secondo requisito oltre all’accantonamento degli utili. Può illustrarci nel dettaglio quale sia questa seconda condizione e quali finalità intenda perseguire?
R: Infatti, oltre all’accantonamento, è necessario destinare almeno il 30% degli utili accantonati a investimenti specifici. Questi devono riguardare beni strumentali nuovi, da acquistare anche tramite contratti di locazione finanziaria, purché siano destinati a strutture produttive operative in Italia. Gli investimenti devono rientrare nelle categorie Industria 4.0 o Transizione 5.0 e rispettare un importo minimo di 20mila euro. Questo vincolo, oltre a promuovere l’adozione di tecnologie avanzate, garantisce che le risorse vengano allocate a progetti strategici e significativi, incentivando sia la competitività che l’innovazione tecnologica delle imprese. In pratica, la misura mira a rafforzare il tessuto produttivo e a stimolare investimenti con un impatto concreto sull’economia nazionale. Ma c’è un terzo requisito.
D: Quanto terzo requisito: riguarda in particolare la dimensione occupazionale delle aziende? Può descrivere come si articola questo ulteriore vincolo e quale impatto potrebbe avere sulle imprese?
R: Le imprese che intendono beneficiare delle agevolazioni fiscali previste, con riferimento al periodo d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024 devono rispettare precisi requisiti legati sia al mantenimento che all’incremento occupazionale, oltre che alla gestione del ricorso agli strumenti di integrazione salariale. Al riguardo, quanto al primo aspetto, è richiesto che, nel periodo in commento, il numero di unità lavorative annue (Ula) non risulti diminuito rispetto alla media registrata nel triennio precedente. Si punta a garantire una stabilità occupazionale all’interno delle aziende, evitando situazioni in cui le agevolazioni fiscali vengano sfruttate a scapito dell’occupazione. Quanto al secondo, è richiesto che, sempre nel periodo agevolato, vi sia un incremento occupazionale concreto con nuove assunzioni di lavoratori con contratto a tempo indeterminato. In pratica, queste devono rappresentare una crescita del personale dipendente pari almeno all’1% rispetto al numero di lavoratori con contratto dello stesso tipo mediamente occupati nel periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2024. Peraltro, in ogni caso l’aumento non può essere inferiore a una singola assunzione. In questo caso, la disposizione mira a incentivare le aziende a favorire l’occupazione stabile, contribuendo alla crescita economica e sociale. Infine, come si diceva, è previsto un vincolo riguardante l’utilizzo della cassa integrazione.
D: Infatti tra i vincoli previsti dalla normativa, abbiamo ciato anche una clausola che riguarda l’utilizzo della cassa integrazione. Può spiegare come questa disposizione si applica alle imprese e quali sono i casi in cui è consentito un eventuale ricorso all’integrazione salariale?
R: Le imprese non devono aver fatto ricorso all’istituto della cassa integrazione guadagni nell’esercizio in corso a fine 2024 o in quello successivo, salvo alcune eccezioni. È consentita, infatti, per alcune imprese (e.g. imprese industriali manifatturiere, di trasporti, cooperative agricole, zootecniche, etc.), l’integrazione salariale ordinaria in alcuni casi specifici (situazioni aziendali dovute a eventi transitori e non imputabili all’impresa o ai dipendenti, incluse le intemperie stagionali). In pratica, si intende promuovere una gestione responsabile delle risorse umane e prevenire situazioni di crisi che potrebbero compromettere la solidità occupazionale.
D: Si è detto che gli investimenti devono essere effettuati entro un certo arco temporale per poter usufruire della mini-Ires. Quali sono le scadenze previste dalla normativa e ci sono aspetti da tenere in considerazione in caso di eventuali modifiche?
R: Sì, certamente. Gli investimenti devono essere realizzati tra la data di entrata in vigore della legge di bilancio e il termine per la presentazione della dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2024. In pratica, entro ottobre 2026 per chi segue l’anno solare come periodo di imposta. Tuttavia, queste scadenze potrebbero variare in base a eventuali modifiche normative.
D: Abbiamo parlato delle condizioni necessarie per mantenere il diritto ai benefici, ma quali sono i casi specifici in cui un’azienda potrebbe perdere l’agevolazione? Può chiarire meglio quali comportamenti o situazioni determinano la decadenza dal beneficio fiscale?
R: Le imprese che accedono alle agevolazioni fiscali devono rispettare precise condizioni per mantenerne il diritto, altrimenti rischiano di decadere dai benefici e subire il recupero delle somme agevolate (cd. recapture). Il primo caso di decadenza si verifica se la quota di utile accantonata, che doveva essere destinata al rafforzamento patrimoniale dell’azienda, viene invece distribuita ai soci o ad altri soggetti entro il secondo esercizio successivo al 2024. Questo vincolo mira a garantire che le risorse restino all’interno dell’impresa, sostenendone la solidità finanziaria e il reinvestimento in attività produttive. Il secondo caso riguarda i beni oggetto di investimento. Se questi beni vengono dismessi, ceduti a terzi, utilizzati per scopi non legati all’attività aziendale, oppure trasferiti stabilmente a strutture produttive situate all’estero, anche se appartenenti alla stessa impresa, l’agevolazione viene revocata. Questo vincolo si applica per un periodo di cinque anni a partire dall’anno in cui è stato effettuato l’investimento. L’obiettivo di questa regola è assicurare che i beni acquistati con il supporto delle agevolazioni fiscali restino effettivamente destinati alla produzione nazionale, contribuendo al rafforzamento del tessuto economico locale e evitando che risorse pubbliche vengano utilizzate per favorire attività fuori dal territorio nazionale.
D: E cosa accade alle imprese che accedono all’agevolazione ma poi non rispettano i requisiti?
R: In caso di indebito accesso all’agevolazione, l’Agenzia delle Entrate potrà procedere al recupero delle maggiori imposte dovute, con sanzioni ed interessi, secondo le ordinarie forme di accertamento. È una procedura standard nelle misure fiscali di questo tipo.
D: Alla luce di quanto detto, quali settori produttivi sembrano maggiormente avvantaggiati da questa agevolazione fiscale? Ci sono comparti che possono sfruttarla meglio di altri grazie alla natura dei loro investimenti o delle loro attività?
R: L’agevolazione della mini-Ires sembra indirizzata principalmente ai settori produttivi che investono in innovazione, digitalizzazione e sostenibilità, favorendo quelle imprese che puntano al futuro attraverso l’adozione di tecnologie avanzate. Tra i principali beneficiari figurano il manifatturiero avanzato, che può sfruttare l’incentivo per modernizzare i processi produttivi con strumenti automatizzati e digitalizzati, e il settore energetico, specialmente per progetti legati alle energie rinnovabili e all’efficienza energetica. Anche la logistica e i trasporti traggono vantaggio, con investimenti in mezzi tecnologicamente avanzati e sistemi di gestione digitali, così come il comparto agroalimentare, che grazie all’agricoltura di precisione e alla tracciabilità può migliorare efficienza e sostenibilità. Il settore sanitario e delle biotecnologie beneficia di questa misura per sostenere l’acquisto di strumenti e dispositivi all’avanguardia, cruciali per la ricerca e lo sviluppo, mentre l’edilizia innovativa trova nell’agevolazione uno stimolo per adottare tecnologie digitali e materiali sostenibili.
D: Considerando l’insieme dei requisiti necessari per accedere ai benefici della mini-Ires, quale tipo di azienda manifatturiera è più probabilmente in grado di soddisfare tutte le condizioni e di sfruttare appieno questa opportunità fiscale?
R: La platea di imprese che potrà realmente beneficiare della mini-Ires è costituita prevalentemente da aziende solide, strutturate e con una chiara visione di crescita a lungo termine. Si tratta di realtà che hanno una gestione finanziaria sana, una capacità di generare utili significativi e un’attitudine strategica verso l’investimento in innovazione e rafforzamento patrimoniale. Queste aziende sono spesso caratterizzate da una gestione manageriale virtuosa, che pianifica con attenzione le proprie attività e guarda al futuro con l’obiettivo di migliorare costantemente la propria competitività sul mercato. Un altro aspetto distintivo delle imprese che potrebbero godere della mini-Ires è il loro rapporto con i consulenti professionali. Spesso queste aziende sono supportate da studi specializzati che le aiutano a identificare e sfruttare al meglio le opportunità offerte dalle normative fiscali, come questa agevolazione. Grazie a questa assistenza, riescono a rispettare i requisiti richiesti, come l’accantonamento degli utili, la destinazione di risorse agli investimenti qualificati e l’incremento occupazionale.
D: Dato il quadro delineato, possiamo concludere che le imprese in difficoltà o con situazioni di crisi siano sostanzialmente escluse dall’accesso a questa agevolazione?
R: La mini-Ires non si rivolge ad aziende in difficoltà o in crisi. La misura esclude in modo implicito chi non riesce a generare utili o a mantenere un livello stabile di occupazione, perché non sarebbe in grado di soddisfare condizioni come l’incremento dell’1% nel numero di dipendenti o la destinazione di una parte degli utili agli investimenti. Allo stesso tempo, il divieto di ricorrere alla cassa integrazione limita ulteriormente la platea, escludendo le imprese che affrontano situazioni di crisi temporanea.
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