Il ceo di Tesla questo fine settimana è intervenuto a un congresso di Afd, chiedendo di votare il partito di estrema destra. È solo l’ultimo esempio della sua incredibile parabola: da leader dell’innovazione nell’energia sostenibile a sostenitore dei partiti che in tutto il mondo si oppongono alla svolta verde
Distratti dal suo braccio alzato in un saluto apparentemente romano, non ci siamo accorti dove puntava il dito. Elon Musk nel fine settimana ce lo ha ricordato, intervenendo in videoconferenza a un convegno di Alternative per la Germania (AfD) ad Halle e ripetendo il suo invito a votare per il partito estremista alle elezioni parlamentari del 23 febbraio, da lui definito «la migliore speranza per la Germania». La cosa più eclatante nel sostegno di Musk a Afd, però, non è tanto e solo la sua adesione e relativizzazione della visione del mondo dell’estrema destra più nera, persino quella criptonazista nel caso della Germania (cosa di per sé preoccupante). Ma che il grande innovatore tecnologico, l’uomo che voleva convincere il mondo dell’inevitabilità della rivoluzione sostenibile, oggi è finito a sostenere e promuovere i partiti che – dagli Stati Uniti, al Regno Unito alla Germania – più avversano l’innovazione e l’adozione dell’energia sostenibile.
Solo due anni fa, a un evento per gli investitori nella Gigafactory di Tesla ad Austin, Musk annunciava il suo «Master Plan» per eliminare i combustibili fossili e convertire il mondo all’energia sostenibile. «C’è un percorso chiaro verso un’energia sostenibile sulla Terra. Non richiede la distruzione degli habitat naturali. Non richiede di essere austeri e di smettere di usare l’elettricità e di stare al freddo o altro» diceva Musk quando ancora si presentava come l’araldo di una «civiltà basata sull’energia sostenibile».
Oggi Musk dice ai tedeschi di votare per Afd. Ma Afd è il partito in Germania che ha fatto la guerra alle politiche di transizione verde. Afd e i suoi sostenitori odiano le auto elettriche e si sono opposti sia alla conversione per la produzione di auto elettriche della fabbrica Volkswagen di Zwickau, sia all’espansione della stessa fabbrica di Tesla in Brandeburgo. «L’Afd – spiega Deutsche Welle – ha trovato un modo per inserire la storia di Tesla nella sua narrativa anti-immigrazione preferita, sostenendo che molti dei 12.000 lavoratori della fabbrica si recano a Grünheide dalla vicina Polonia o da Berlino, quindi i benefici economici non vanno a vantaggio della comunità locale». Ma quali che siano le motivazioni, il risultato non cambia: un grande e grosso no alle auto elettriche.
Afd è inoltre contraria a qualsiasi politica di riduzione dei combustibili fossili che causano l’innalzamento delle temperature globali e i cambiamenti climatici e persino all’eliminazione delle centrali elettriche a carbone, le più inquinanti.
Anche il presidente americano Donald Trump, che Musk ha contribuito a fare rieleggere grazie a una donazione di 200 milioni di dollari e strategie elettorali basate sui big data, è un nemico della svolta sostenibile e delle auto elettriche. Nel primo giorno della sua seconda presidenza Trump ha presentato un piano per massimizzare la produzione di petrolio e gas negli Stati Uniti (l’energia «nera») e ha ritirato gli Stati Uniti dall’accordo sul clima di Parigi del 2015, il patto internazionale per combattere il riscaldamento globale (gli unici Paesi a non aderire, finora, erano Iran, Libia e Yemen). Trump era già uscito dagli accordi di Parigi durante la sua prima presidenza. Ma adesso la sua decisione è destinata ad avere conseguenze più pesanti: gli Stati Uniti sono attualmente il secondo maggior emettitore di gas serra al mondo, dopo la Cina, e la loro defezione mina alla radice l’ambizione globale di ridurle. «Questa volta sarà più difficile perché siamo nel pieno dell’attuazione e ci troviamo di fronte a scelte reali» ha detto all’agenzia Reuters Paul Watkinson, ex negoziatore sul clima e consulente politico per la Francia.
A settembre quando Forbes ha pubblicato la sua classifica dei leader della sostenibilitàElon Musk non c’era. L’autorevole rivista americana ha spiegato perché in un lungo articolo: «Quando il team editoriale che si occupa della lista dei leader della sostenibilità di Forbes di quest’anno ha iniziato a fare un brainstorming sulle possibilità di inserimento nella lista, il nome di Elon Musk è venuto fuori subito. E per una buona ragione. L’introduzione nel 2008 della Tesla Roadster ha fatto qualcosa che molti ritenevano impossibile: ha reso le auto elettriche cool. E quando Tesla ha continuato a produrre nuovi modelli, ha spronato l’industria automobilistica ad accelerare i propri modelli di veicoli elettrici. Questo è stato un grande successo per l’ambiente negli Stati Uniti, dove le auto rappresentano oltre il 20% delle emissioni totali di carbonio. Ma la Forbes Sustainability Leaders List non è un premio alla carriera. Si concentra sulle persone che continuano ad avere un impatto in modo continuativo e le valutazioni sono state ponderate in base a ciò che queste persone hanno realizzato negli ultimi due anni. In base a questo criterio, Musk non è stato all’altezza» scrive Forbes.
La lista dei suoi recenti insuccessi è lunga, il primo tra tutti però è il declino di Tesla, che non ha più introdotto nuovi modelli significativi di auto, ha costanti problemi con il suo Cybertruck e il furgone da trasporto Semi e ha chiuso il suo «Supercharger Team», il dipartimento di 500 persone che lavorava all’espansione della sua rete di rifornimento elettrica. Nel 2024, per la prima volta dalla sua fondazione, le vendite globali di Tesla sono diminuite rispetto all’anno precedente. Tra i passi falsi di Musk citati da Forbes ci sono anche il taglio di mezzo milione di alberi per costruire la sua fabbrica del Brandeburgo, in Germania; le molteplici indagini per violazione della normativa ambientale da parte della base di SpaceX in Texas e la diffusione del negazionismo climatico su X da quando l’uomo più ricco del mondo l’ha acquisito.
«Negli ultimi due anni, Elon Musk sembra aver perso interesse nell’essere un leader in materia di ambiente e sostenibilità. All’inizio di quest’anno, Tesla ha rimosso dal suo sito web il manifesto sul clima del 2006. In esso, Musk affermava di voler “contribuire ad accelerare il passaggio da un’economia basata su miniere e idrocarburi a un’economia elettrica solare, che ritengo essere la principale, ma non esclusiva, soluzione sostenibile”. Ma in una conversazione con l’ex Presidente Trump su X all’inizio di quest’anno, ha fatto marcia indietro su queste ambizioni, affermando che “non c’è fretta” per un’economia sostenibile perché gli impatti del cambiamento climatico non saranno abbastanza gravi da preoccuparsi finché l’anidride carbonica atmosferica non raggiungerà livelli molto più alti di quelli attuali. Gli scienziati che studiano il clima affermano che i livelli pericolosi di anidride carbonica sono meno della metà di quelli suggeriti da Musk» scrive ancora Forbes.
Cambiare idea è lecito e forse anche giusto. Ma la «transizione nera» di Musk è qualcosa di più: nega alla radice quell’impegno per l’energia verde che lo ha reso un leader tecnologico globale. E che gli ha dato la credibilità politica che ora Musk sta usando per sostenere chi si oppone all’innovazione che lui ha portato avanti in passato. C’è un’amara ironia in tutto questo.
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