Lavori da incubo, la storia dell’editor Vanessa: «Articoli pagati a clic e telefonate alle 4 del mattino»

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Prosegue con la storia di Vanessa la serie di articoli che Umbria24 dedica ai racconti dei giovani umbri alle prese con un mercato del lavoro dove non mancano casi di sfruttamento, paghe da fame, mancate tutele e così via. Per raccontare la vostra esperienza contattateci attraverso i canali social di Umbria24 oppure mandate una mail a redazione@umbria24.it o umbria24tr@gmail.com

di Ilaria Alleva

Vanessa è una giovane scrittrice che si avventura nel mondo del giornalismo con una testata online: «Ho trovato lavoro come articolista freelance grazie alla mia coinquilina, già impiegata lì». Da subito le condizioni non sono le migliori: la partita Iva era obbligatoria, si dovevano consegnare cinque articoli originali al giorno e non c’era nemmeno un minimo di rimborso spese: i guadagni erano basati sui click. «C’è gente che millanta di guadagnare anche 10mila euro al mese» racconta. Ma dopo poco, la coinquilina di Vanessa si rende conto di portarsi a casa una miseria e che i resoconti dell’editore non sono affatto trasparenti: «Quando la collega ha chiesto il numero totale di click per i suoi articoli e il guadagno preciso per click, è stata licenziata in tronco».

Reperibilità Le condizioni lavorative peggiorano ulteriormente per chi ricopre ruoli di responsabilità. Vanessa diventa editor e invece di scrivere articoli suoi deve dedicarsi all’impaginazione e alla revisione di quelli altrui rispettando le normative Seo. «Ce n’era per tutti i gusti, dagli articoli di finanza a quelli di cucina, passando per quelli sulla giusta posizione da assumere mentre si fa la cacca». Dopo questa promozione, la giornata lavorativa ufficiale di Vanessa si estendeva dalle 10 del mattino alle 21, ma le telefonate erano a qualsiasi ora, anche della notte: «Tu mi devi rispondere sempre, altrimenti ti stono le orecchie», urlava l’editore se non riceveva risposta alle sue chiamate delle 4 del mattino.

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Insulti e mobbing: la normalità Il clima in redazione era tossico. La direttrice, ridotta a figura di facciata, veniva trattata peggio degli editor. Chiunque osasse contraddire l’editore era bersaglio di insulti: «Ritardata senza cervello» o «Imbecille rinc******ita» erano solo alcune delle offese lanciate pubblicamente. Una discussione sulla punteggiatura o sull’uso del maiuscolo diventava un pretesto per sfuriate telefoniche. Venivano tutti trattati come dipendenti anche se ovviamente nessuno aveva un contratto con simili tutele. Erano tutti liberi professionisti, sulla carta. Non mancavano i favoritismi: «L’editore aveva iniziato a fare scrivere articoli anche alla moglie e alla figlia, le quali però erano incapaci di scrivere correttamente una frase e facevano errori sintattici e grammaticali da bambini delle elementari. Non si potevano criticare, o l’editore se la sarebbe presa con te».

Deontologia Il plagio, scoperto in articoli di una collega, veniva trattato con superficialità. «Quando mi sono accorta che la collega copiava da altri siti, rimandavo gli articoli indietro. Quando l’editore l’ha beccata, la collega è scappata con la coda tra le gambe e ha bloccato tutti senza dare né spiegazioni né scusarsi». La sfuriata che spettava a lei, ha investito Vanessa: «Il plagio è reato, ti sbatto in galera!» le ha urlato l’editore.

Stipendi segreti e minacce legali La disparità salariale era la norma, così come la segretezza sui compensi. Una collega, dopo aver scoperto di guadagnare meno degli altri per lo stesso lavoro, decide di ricontrattare le sue mansioni e il suo stipendio con l’editore e ottiene un aumento. Ma subito dopo, l’editore chiama Vanessa infuriato: «Ho dovuto alzarle il compenso per colpa tua! Ti porto in tribunale per aver parlato dei tuoi guadagni, è un segreto aziendale!». 

Il lieto fine Stanca delle vessazioni, Vanessa decide di far valere i suoi diritti e rescindere il contratto senza preavviso, come previsto per le partite Iva. Vanessa decide di rescindere il contratto un minuto prima del proprio turno, comunicandolo solo alle colleghe, che la spalleggiano. Iniziano le telefonate continue dell’editore. «Quando l’editore mi chiamava furioso, non rispondevo. Mi ha riempito la casella vocale di insulti e minacce. Ho chiuso ogni comunicazione e inviato una diffida legale». Il finale? Tre anni dopo, a Vanessa arriva un messaggio lacrimoso da parte del titolare: la testata è fallita. 

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