Emergenza in sanità
Stanno per lasciare il servizio i professionisti entrati negli anni Ottanta. E i nuovi ingressi non sono sufficienti, anche per l’attrattiva della sanità privata. Si prevede una carenza anche di infermieri
Medici in un reparto ospedaliero. Nei prossimi cinque anni un terzo dei medici andrà in pensione
Medici in un reparto ospedaliero. Nei prossimi cinque anni un terzo dei medici andrà in pensione
Nell’arco del prossimo quinquennio, un medico ospedaliero su tre andrà in pensione. Numericamente parlando, ciò potrebbe tradursi nell’uscita dalle corsie di oltre trecento dei 950 medici e dirigenti sanitari dei tre ospedali dell’Ulss 9 Scaligera (Villafranca, San Bonifacio e Bussolengo) e di quasi altrettanti dall’Azienda ospedaliera di Verona, dove oggi lavorano 800 medici (senza contare universitari e specializzandi).
Questa è la proiezione ipotizzata dall’Anaao Assomed. «Siamo all’interno di un tunnel», avvertono i rappresentanti del sindacato dei medici. «In fondo si può intravedere una luce, ma non è certo che riusciremo a raggiungerla».
Le cause
Alla radice del fenomeno, che investe Verona come tutta Italia, vi sono diverse cause, che partono da lontano. Per cominciare, banalmente, il fattore anagrafico. Il 55 per cento dei medici veronesi oggi ha 60 anni, o giù di lì: del resto, quelli italiani sono i professionisti sanitari tra i più anziani d’Europa. La generazione affacciata allo scivolo della pensione, che terminerà la propria carriera nel prossimo lustro, è la nutrita classe degli anni Sessanta, i Baby boomers. Quella, cioè, entrata in servizio sul finire degli anni Ottanta: epoca di grandi assunzioni da parte del Sistema sanitario nazionale (poi corrette con i più recenti blocchi del turnover) nonché di assenza del numero chiuso nelle facoltà di Medicina.
Ma, come detto, sono molte le «malattie» della sanità pubblica. La sua salvezza non dipende da una mera questione di numeri e di entrate e uscite nel bilancio dell’organico. Alcuni settori soffrono di gran lunga di più rispetto ad altri. In primis l’area cruciale dell’emergenza-urgenza, con i pronto soccorso che rappresentano il «fronte di guerra» degli ospedali e perciò stentano ad attirare giovani professionisti.
Privato
Al contempo, continua a espandersi la sanità privata che, in una sorta di stillicidio, sottrae risorse umane al comparto pubblico, offrendo migliori condizioni, sia dal punto di vista contrattuale, delle retribuzioni e delle opportunità professionali, sia della qualità di vita, con orari più standard e una più facile conciliazione tra lavoro e famiglia. La sanità pubblica, già a corto di personale rispetto alle esigenze – oggi l’Anaao denuncia una carenza del 20 per cento per gli ospedalieri dell’Ulss9 – riuscirà a sopportare l’urto dei massicci pensionamenti alle porte? Secondo il responsabile regionale del sindacato, Vincenzo Cosentini, nefrologo della Scaligera, «abbiamo davanti quattro-cinque anni molto duri. Nel quinquennio 2019-2023, in Italia 4.900 medici sono andati in pensione. Inoltre», elenca, «2.500 si sono dimessi, gran parte delle volte per reimpiegarsi nel privato; e duemila sono espatriati, sempre alla ricerca di condizioni di lavoro migliori. Nella migliore delle ipotesi, il lustro che stiamo vivendo ricalcherà questi numeri».
Potenziamento
Eppure, non è tutto perduto. Quella debole luce in fondo al tunnel è stata accesa ad hoc attraverso il potenziamento, a partire dal 2021, delle borse di specializzazione, «per incoraggiare i nuovi laureati in Medicina a entrare negli ospedali. Queste borse satureranno, un po’ alla volta, i posti vacanti nelle varie aree della sanità. Ma il problema», sottolinea Cosentini, «è che il meccanismo non funziona per i settori considerati meno appetibili. Nell’emergenza-urgenza soprattutto, ma per esempio anche in patologia clinica, in biochimica, in anatomia patologica…» Nel corso degli anni, a causa della somma di tutti i fattori sopraccitati, le condizioni di lavoro negli ospedali sono andate peggiorando. I medici devono fare quotidianamente i conti con i sempre crescenti rischi del mestiere – burnout per sovraccarico, oltre ad aggressioni verbali e fisiche e azioni legali – nonché con lenti avanzamenti di carriera e con la sproporzione delle possibilità di guadagno tra sanità privata e sanità pubblica, a sfavore di quest’ultima.
Pensioni
«Un’alta curva pensionistica si era già verificata quando si ritirò la classe medica degli anni Cinquanta. Ora ne sta arrivando un’altra per i nati negli anni Sessanta. E non saranno sufficienti i nuovi ingressi», conferma Anna Tomezzoli, vice segretario Anaao Assomed per l’Azienda Ospedaliera. Segnala anche un cambio di mentalità nelle giovani generazioni di medici: «Offuscato il mito della vocazione assoluta, ricercano una maggiore compatibilità della professione con la vita privata. Il problema non è solo di numeri», ribadisce, «ma di una professione che va resa più appetibile. Non solo dal punto di vista economico, appunto. Altrimenti continueremo con il trend che vede i giovani colleghi preferire il settore privato al pubblico, la dermatologia – solo per fare un esempio – alla medicina d’emergenza con tutti i suoi rischi».
Mercato
«È una questione di mercato», secondo Flavio Magarini, rappresentante del Tribunale per i diritti del malato di Verona, «dove la sanità privata offre un compenso che è fino a quattro volte più alto rispetto a quello pubblico, nello stesso ruolo. I conti sono presto fatti, se si considera che mediamente, nell’ambito privato, il medico si tiene circa il 60 per cento del costo della visita – che di solito ammonta a 120-130 euro – moltiplicato per cinque-sei visite al giorno. Anche i dottori sono esseri umani, con buona pace del giuramento di Ippocrate. E non c’è da stupirsi che scelgano questa strada, visto che guadagnano in una settimana ciò che i colleghi ospedalieri raggranellano in un mese di lavoro, con turni di notte e straordinari. Il personale dei pronto soccorso è eroico, ma non ce la fa più».
Infermieri
Abbiamo parlato di medici degli ospedali, «ma la stessa fuga è messa in atto anche dagli infermieri», ricorda Magarini. «Altro scenario preoccupante», aggiunge, «riguarda i medici di medicina generale. Oltre a essere pochi e oberati di lavoro, in buona parte di natura burocratica – leggiamo tutti i giorni di interi quartieri o paesi che restano a lungo sguarniti del medico di famiglia e sono costretti a spostarsi altrove – stanno perdendo la loro peculiarità, che è anche la loro ragione d’essere. Cioè il rapporto personale e fiduciario con il paziente. E quest’ultimo», va avanti, «incontrando sempre maggiori difficoltà ad accedere ai servizi sanitari, specialmente se anziano, si riversa di nuovo sul pronto soccorso, acuendone i problemi. È un cane che si morde la coda e la soluzione deve essere giocoforza politica».
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