Una telefonata per giocare d’anticipo. Arare il terreno. Antonio Tajani alza la cornetta nel tardo pomeriggio. Dall’altra parte c’è Marco Rubio. È il primo vero contatto bilaterale tra il ministro degli Esteri e il nuovo segretario di Stato di Donald Trump. Serve a tendere e rinsaldare il filo tra il governo e la nuova amministrazione Usa, un «tradizionale rapporto di fiducia e vicinanza». Ma c’è di più. Colloquio a tutto campo. Ucraina, Medio Oriente, Cina e Taiwan. Sullo sfondo, la minaccia dei dazi che incombe su Palazzo Chigi e preoccupa la premier Giorgia Meloni. Decisa a «giocare d’anticipo» in Europa: già al prossimo Consiglio europeo chiederà ai partner di studiare insieme, e in fretta, come ribilanciare la bilancia commerciale Ue prima che la scure delle tariffe di Trump si abbatta sul Vecchio Continente. E insieme cercherà di salvare l’Italia dalla mannaia delle nuove misure Usa. Si muove per primo Tajani ribadendo a Rubio «la volontà di intensificare i rapporti» in ambito commerciale e di «rilanciare la presenza delle aziende italiane negli Stati Uniti, anche con investimenti diretti». Un passo incontro alla dottrina Trump: investite negli Usa e non risponderemo con i dazi.
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Le stime
Le stime riservate in mano al governo sono preoccupanti. Sette miliardi di euro: a tanto può ammontare il conto di un nuovo round di sanzioni per il nostro Paese. Un quarto di Manovra, metà Ponte sullo Stretto. Cifre monstre. Rubio, senatore della Florida, ex pupillo dei Neocon convertito al trumpismo fino alla conquista del Dipartimento di Stato, è l’uomo chiave per aprire un canale. Colomba in mezzo ai falchi, capitanati dal consigliere Peter Navarro, che vorrebbero mettere anche l’Italia nel mirino. Nonostante il feeling tra Trump e Meloni cementato tra una tratta aerea e l’altra. Il vis-à-vis a Notre Dame, poi il blitz a Mar-a-Lago, infine la missione lampo della premier a Washington per assistere al giuramento del nuovo presidente. E intrattenersi per un lungo scambio nella rotonda del Capito, non è un caso, proprio con Rubio. Con il capo della diplomazia Usa Tajani affronta i grandi temi transatlantici. Nell’ordine, fa sapere la Farnesina, l’Italia assicura l’impegno per «una pace giusta» e un «coordinamento efficace, inclusivo e trasparente tra alleati», e insieme condanna «l’incremento di attività di guerra ibrida contro l’Occidente con attacchi cyber, sabotaggi e atti di disinformazione». Nessun accenno esplicito ad armi e munizioni per Kiev, c’è invece una sottolineatura che piacerà a Trump: «L’Europa aumenti le proprie responsabilità in materia di sicurezza e difesa in piena complementarietà con la Nato». Tradotto: spendere di più e meglio. C’è spazio nella telefonata per affrontare i rapporti con la Cina e condannare «qualsiasi tentativo unilaterale di Pechino di cambiare lo status quo nel Mar Cinese Meridionale e nello Stretto di Taiwan. Poi il grande rebus mediorientale. Con una novità da registrare: Tajani, che di recente è volato a Damasco per incontrare il nuovo leader Al Jolani, difende la «necessità di includere anche la Siria» post Assad nella costruzione di «una nuova architettura di sicurezza regionale». E da registrare è la posizione sul negoziato per il nucleare iraniano: «fondamentale il coordinamento tra Europa e Stati Uniti», dice il vicepremier quasi a scongiurare un nuovo strappo unilaterale di Trump.
I dazi
Sono i dazi però il vero elefante nella stanza. I dati in mano a Tajani, che ha già messo al lavoro la Farnesina da novembre, sono allarmanti. Pesa sulla «fedina» italiana un importante disavanzo commerciale a danno degli americani: nel 2023 le esportazioni tricolori sono state più del doppio delle importazioni, 67,3 contro 25,2 miliardi di euro. Quanto basta, agli occhi di Trump, per parlare di «furto» e promettere di imporre un «costo salato», «big price» ai partner europei con i conti sbalzati. Meccanica, moda, agroalimentare i settori italiani potenzialmente nel mirino di nuove contromisure, stando alle proiezioni riservate del governo. Insieme al latteario-caseario, ad alto rischio dazi come rappresaglia per la «web tax» introdotta dal governo italiano e dall’Ue contro le grandi aziende della Silicon Valley, ieri di specchiata fede democratica, ora tutte convertite al trumpismo. A questo si aggiungono i 18 procedimenti anti-dumping e anti-sovvenzioni del governo americano contro i prodotti italiani, attualmente in corso. Un record europeo. Acciaio, alluminio, tubi idraulici e materassi, la lista è chilometrica e i dazi sono trasversali alle amministrazioni degli scorsi anni. Curiosità: il più antico, tutt’ora in vigore, è un dazio contro il dumping delle lamiere di ottone e risale al lontano 1987: porta la firma di Ronald Reagan, iconico presidente repubblicano caro a Trump ed anche a Meloni.
Tempi incerti
Ora si aprono tempi incerti. Nel migliore dei casi, cioè con un aumento unilaterale dei dazi americani di dieci punti solo sui prodotti già sottoposti a dazi dell’Organizzazione mondiale del commercio, il danno per le casse italiane ammonterebbe a 4 miliardi di euro. Non sono più rosee le stime europee: Bruxelles prevede un contraccolpo di 54 miliardi di euro sul suo export. Di questi, 7,1 miliardi di euro in capo all’Italia. Per questo il governo si muove. Nella telefonata a Rubio, il ministro degli Esteri e vicepremier ha chiesto di aprire un canale continuo con l’amministrazione Usa per discutere di dazi e venirsi incontro. Un telefono sempre acceso, per evitare colpi di scena. Probabile una missione di Tajani a Washington entro la primavera. Intanto, dietro le quinte, i tecnici di Palazzo Chigi e della Farnesina sono al lavoro.
È una partita politica e diplomatica al tempo stesso. Fu un lungo e faticoso lavoro della Farnesina, ad esempio, a salvare l’agroalimentare made in Italy dalla ghigliottina dei dazi di Trump nel 2020 in risposta alla querelle Boeing-Airbus. Nei prossimi giorni la Commissione Ue consegnerà agli Stati membri prospetti aggiornati sui danni che i dazi di Trump potrebbero arrecare alle esportazioni di ciascuno. A Roma nel frattempo è attesa una delegazione di funzionari del governo tedesco proprio per discutere della spada di Damocle americana. Segno che l’Europa si agita e si muove. E muovendosi guarda all’Italia e alla special relationship tra il presidente repubblicano e la premier conservatrice per immaginare una via di uscita dal guado.
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