«Vi racconto com’è nato il da Vinci’s Bridge» – BitontoLive.it

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da Vinci’s Bridge

C’è voluto oltre un anno per completare il prototipo di ponte pedonale che porta la firma del Politecnico di Bari, primo esempio italiano di struttura ecosostenibile autoportante. È stato realizzato utilizzando materiali innovativi: una malta a basso impatto ambientale composta da polveri lapidee di scarto e un legante a base di geocalce. «Siamo riusciti a trasformare i residui di lavorazione in soluzioni sostenibili per la stampa 3D, dando nuova vita ai materiali di scarto nel settore delle costruzioni», spiega il professore bitontino Giuseppe Fallacara, ordinario di progettazione architettonica al Dipartimento di Architettura (ArCoD) del Politecnico barese e coordinatore del dottorato “Progetto per il patrimonio: conoscenza, tradizione e innovazione”.

Il prototipo – battezzato da Vinci’s Bridge in omaggio al colossale ponte sul Bosforo progettato da Leonardo nel 1502 ma mai realizzato – ha una luce (la lunghezza tra i due appoggi) di sette metri. Passato e futuro, tradizione e nuove tecnologie che s’incontrano, guardando alla sostenibilità e all’economia circolare per trasformare lo scarto in risorsa per costruire. Un obiettivo importante per una regione come la Puglia, secondo bacino estrattivo in Italia con quattro aree produttive (Apricena, Trani, Fasano-Ostuni, Lecce). Alla base c’è la stereotomia, l’arte della geometria e del taglio dei conci per costruzioni, su cui il Politecnico di Bari fa ricerca da oltre vent’anni con studi, sperimentazioni, prototipi e prodotti.

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«Mancando gli scalpellini – spiega a BitontoLive il professor Fallacara – per fare il taglio delle pietre ci sono due soluzioni: o i robot o la stampa in 3 D dei blocchi, opzione quest’ultima più ecologica perché utilizza gli scarti del materiale lapideo additivato con un legante. I leganti più comuni sono tre: cemento Portland (quello più usato nella preparazione del calcestruzzo), geopolimero e geocalce. La calce è il materiale più ecologico perché la sua procedura di fabbricazione è meno inquinante. Abbiamo preso calce e scarti di pietra e abbiamo dato vita a questo progetto stampando conci in 3D».

Parla al plurale, il professor Fallacara, perché al progetto e alla costruzione hanno lavorato insieme a lui il team del Politecnico di Bari (gli architetti Ilaria Cavaliere, Angelo Vito Graziano, Francesco Ciriello e l’ingegner Claudio Gallo), la startup di Gravina in Puglia B&Y di Vincenzo Gurrado (co-finanziatrice di una borsa di dottorato di ricerca) e la Wasp di Massa Lombarda, azienda specializzata in grandi stampanti 3D.

«Abbiamo creato un arco, modulo base per successive costruzioni. Il prossimo step sarà realizzare un modulo-volta come cellula minima per edifici sul modello degli spazi voltati minimi dei nostri centri storici, che si reggono tra loro in compressione. L’arco sta in piedi perché i conci sono sagomati per lavorare in compressione, non c’è ferro all’interno. Il ferro col tempo si ossida e si disgrega, le pietre invece sono eterne, a meno che non cambi lo stato gravitazionale della Terra o non si verifichino forti scosse sismiche. La vita utile di un edificio in calcestruzzo armato è di 80/100 anni mentre i centri storici sono in piedi da secoli e restano intatti», anticipa il professore.

Dunque, il prossimo passo sarà prendere scarti di materiale lapideo in loco, unirli alla geocalce e costruire sul posto con sistemi a compressione. I blocchi stampati in 3D verranno ottimizzati nelle forme per un’estetica più contemporanea e per assicurare una buona risposta antisismica. Bisognerà verificare la resistenza e l’affidabilità di questi prototipi nel tempo.

Fallacara anticipa a BitontoLive anche un altro passaggio importante: il prossimo 4 aprile farà tappa a Bari il Festival dell’Architettura del Ministero della Cultura. A curare la sezione sarà proprio il Dipartimento di Architettura del Politecnico barese, con un’installazione e una mostra alla Camera di Commercio di Bari. Un appuntamento internazionale che vedrà partecipazioni importanti anche da altre università che stanno lavorando sull’applicazione delle tecniche stereotomiche nel settore edilizio.

«Bisogna ripensare le città. In Italia – osserva il professore – se elimini i centri storici costruiti con materiali naturali, è difficile trovare edifici belli. Dagli anni 60-70 in poi c’è stata una progressiva decadenza: palazzi tirati su in poco tempo, con scarsa qualità scarsa estetica e urbanistica. Ora si cambia rotta e passo. Sulla stampa in 3D applicata all’architettura e all’edilizia si stanno concentrando molte risorse, con tre grandi centri di sviluppo a Dubai, in Cina e negli Stati Uniti. L’industria entra nel mondo edilizio. D’altronde anche la Nasa studia da tempo queste tecniche per la costruzione in ambienti extraterrestri».

Il futuro prossimo dell’architettura e dell’edilizia, dunque, potrebbe essere la stampa in 3D di case e infrastrutture in geocalce e scarti di lavorazione della pietra, per costruzioni più sostenibili e tecnologicamente avanzate.

 

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lunedì 27 Gennaio 2025



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