«Vi racconto il mio centro storico»

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COSENZA Li chiama «gli invisibili»: sono gli ultimi e gli emarginati che vivono nel centro storico e ha imparato a conoscere, monsignor Giovanni Checchinato, da quando vive a Cosenza, nel cuore della città vecchia. Il prelato ricorre a una parola che dà il titolo a un suo libro edito nel 2022 da Mondadori (“Omelia per gli invisibili. La storia di un vescovo dove cresce la quarta mafia”) che racconta gli immigrati che vivono nelle baraccopoli del Foggiano: “don Gianni”, come lo chiamavano ai tempi di San Severo, è rimasto subito colpito dalla «eccezionale bellezza» di Cosenza vecchia, ma anche delle sue tante contraddizioni.

Qual è quella che ritiene più evidente?
«Il fatto che accanto a questa bellezza, anzi al suo interno, ci sia tanta povertà, famiglie che abitano nelle rovine, anziani che hanno difficoltà a fare la spesa ma anche ad andare a messa: è per questo che don Luca Perri (il sacerdote è il parroco della cattedrale, ndr), con alcuni volontari dalla lunga militanza come Piero Fantozzi, va a dare la comunione a domicilio. Come per gli stagionali della Capitanata, a volte sembra che questa gente viva in un vero e proprio ghetto».

Crede che la Chiesa possa rappresentare un’ancora di salvezza in situazioni in cui il welfare è del tutto assente?
«Ne sono convinto, e la dimostrazione che il centro storico sia un tema che sta a cuore alla Chiesa è nei fatti: penso ad esperienze come San Pancrazio, associazione di volontariato che già trent’anni fa promuoveva il doposcuola tra i ragazzi a rischio povertà educativa ad altre figure di riferimento per l’intero quartiere come  suor Valentina. Oppure alla Caritas – che fa da collettore delle tante richieste di aiuto – e alla mensa di Casa Nostra, una realtà che opera anche portando i pasti con un pulmino. O ancora all’Emporio Solidale che, tramite una tessera da spendere, dà sostegno a quelli che, forse con un po’ di superficialità, vengono definiti “nuovi poveri”».  

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Che rapporto ha con chi abita nel centro storico?
«Li considero amici, sono le persone comuni che incontro nelle mie passeggiate qui. È un mondo al quale mi approccio, così come fanno i tanti volontari di cui parlavo prima, senza quel senso di “colonialismo” o “buoni contro cattivi”: al contrario, penso che sia una “terra sacra” come quella evocata da Dio a Mosè, quando lo invita a togliere i calzari. Serve un ascolto totale».

Quali sono i suoi “luoghi del cuore” a Cosenza vecchia?
«Le Vergini e piazza dei Follari sono i luoghi che amo di più. Ma oltre alle bellezze architettoniche ci sono angoli del centro storico che irradiano Grazia: anzitutto la Minestra di San Lorenzo, comunità di suore basiliane che vivono con anziane donne disabili psichiatriche, una istituzione che opera da decenni nel silenzio praticando un percorso di condivisione: qui tutti i giorni don Giacomo Tuoto va a dire messa. Ma ci sono anche tanti luoghi dello svago sano e piacevole, come il cineteatro Universal animato da ragazze e ragazzi fantastici, la scuola di yoga, un’attività che mi piacerebbe praticare, o il Beat dove ricordo serate musicali di livello come il concerto jazz di Jo Di Nardo».

Secondo lei dove e come si dovrebbe intervenire per fare in modo che tanto le persone che abitano il centro storico quanto le nicchie di bellezza di cui parla non restino isolate?
«Io credo che Cosenza vecchia rinascerà quando qui verrà tanta gente ad abitare. Tra il 1992 e il 2006 ho fatto il parroco a Terracina, in una chiesa che aveva 1000 anni, nel borgo antico che stava morendo. All’amministrazione dissi che non era sufficiente chiuderlo al traffico perché così sarebbe morta tutta la comunità. Piuttosto – era il mio ragionamento – si diano incentivi e sostegno alle coppie giovani dal punto di vista fiscale su Imu, Tari eccetera. Oggi la parte vecchia di Terracina è la zona della residenze estive di danesi, svedesi e tedeschi e le uniche attività sono i ristoranti. Ma penso che, lì come a Cosenza, questo non basti a tenere vivo un centro storico». (e.furia@corrierecal.it)

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