È passato ormai un anno dall’approvazione tramite decreto e dalla pubblicazione del Pnacc, il Piano nazionale di adattamento al cambiamento climatico dell’Italia. Nei dodici mesi successivi, sull’argomento è calato un silenzio che tuttora persiste. Come già raccontato su Greenkiesta – anche attraverso i commenti del giornalista e divulgatore Marco Merola – al momento della diffusione, avvenuta tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024, il nuovo Piano, pur molto atteso, non aveva convinto pienamente le principali associazioni ambientaliste italiane.
Il Pnacc era arrivato in ritardo, e nonostante un apparato teorico piuttosto ricco era apparso fin da subito debole dal punto di vista operativo. Soprattutto, sembrava ancora privo di una vera copertura economica e di una scansione temporale delle azioni da intraprendere nei prossimi anni.
Un ritardo colpevole?
Wwf Italia, ad esempio, aveva parlato di un documento da «tanto rumore per nulla». Il Piano appena pubblicato, avevano scritto gli ambientalisti scritto in un comunicato stampa, «dopo le varie consultazioni e l’unanime denuncia della mancata identificazione di azioni davvero in grado di anticipare i cambiamenti provocati dalla crisi climatica e dei finanziamenti necessari, è analogo a quello precedente e ha gli stessi limiti: mancanza di decisioni chiare e coraggiose, con un’ottima identificazione sintetica dei possibili impatti e problemi ma una scarsa e deficitaria individuazione delle cose da fare e di come finanziarle».
Non solo. Wwf aveva anche smentito le giustificazioni portate dal governo per spiegare il ritardo con cui era stato pubblicato il Pnacc, che è stato redatto nell’arco di ben sette anni: «non risponde al vero la giustificazione che pare essere addotta per i ritardi del Piano – aveva scritto Wwf – cioè un presunto approccio bottom-up della sua stesura: in realtà, l’approccio è stato centralizzato e le consultazioni e la Vas (le Valutazioni ambientali strategiche, ndr) non paiono aver inciso più di tanto».
Sempre gli attivisti del Wwf – ma anche del Cirf, il Centro italiano di riqualificazione fluviale – si erano augurati che il Pnacc venisse almeno progettato in modo coerente con gli obiettivi comunitari in materia di adattamento al cambiamento climatico, e in particolare con la Nature restoration law, la legge per il ripristino degli habitat naturali di tutta Europa. Una proposta che non era stata accolta, rendendo di fatto il Pnacc non direttamente collegato con la pianificazione e le scadenze dell’Unione.
Conti che non tornano
Nonostante la delusione, le associazioni si erano comunque augurate che il Piano assumesse velocemente una forma più definita e concreta. I vuoti da colmare erano, in effetti, davvero molti. Il Pnacc conta infatti circa mille pagine totali tra testo e allegati, ed è accompagnato da un Excel con trecentosessantuno proposte di misure di adattamento al cambiamento climatico da realizzare a livello regionale o nazionale; nella maggior parte dei casi, però, non è presente nemmeno un’indicazione di massima del budget necessario per rendere questi buoni propositi realtà.
Nella tabella Excel allegata al Piano, nella colonna “Costi” centottanta caselle su trecentosessantuno sono del tutto vuote. In altre (circa sessanta caselle) si legge “n\d”, “non si hanno stime precise al riguardo” o ancora “costo zero” (una decina di caselle), anche per alcune attività complesse e su vasta scala. Per stimare il costo di alcune azioni di sensibilizzazione si invita semplicemente a “utilizzare costi di analoghe campagne realizzate su scala nazionale su temi di rilevanza pubblica, come le vaccinazioni o gli incidenti stradali”, mentre per altri interventi si parla genericamente di “alcune decine di milioni di euro”.
In più, come sottolineato da OpenPolis, ben centotré misure su trecentosessantuno corrispondono ad azioni puramente informative o di sensibilizzazione, mentre al secondo posto (centoquindici misure) si collocano quelle dedicate alla governance. Per il resto, il settore su cui il Pnacc sembra puntare di più è quello della gestione e del ripristino delle foreste, seguito da dissesto e risorse idriche, energia e agricoltura.
«Chiaramente tutte queste azioni necessitano di finanziamenti – aveva scritto OpenPolis a gennaio del 2024 – e nel testo del Pnacc vengono elencate alcune risorse potenziali: vari programmi Ue come Life, il Fesr (fondo europeo di sviluppo regionale), il meccanismo Ue di protezione civile, la Urban initiative action, Horizon Europe e la politica agricola comune (Pac). Ma anche una serie di fondi nazionali come il programma nazionale metro plus e città medie sud, il piano operativo nazionale di cultura e sviluppo, il piano nazionale per la ricerca e il fondo sviluppo e coesione. A cui si aggiungono eventuali programmi regionali e locali. Se però i fondi necessari saranno effettivamente stanziati dipenderà dalla volontà politica di farlo. Come ha evidenziato Legambiente, infatti, nell’ultima legge di bilancio non è stata fatta menzione di tali risorse, ma garantirle è fondamentale, per fare in modo che il piano non rimanga solo sulla carta».
Una legge di bilancio da déjà vu
Da parte del governo e, in particolare, del ministero dell’Ambiente non sono ancora arrivati aggiornamenti. La pagina del sito del ministero in cui è pubblicato il Piano è ferma all’inizio del 2024 e di Pnacc non si è più parlato.
Poche settimane fa, sia Asvis sia Legambiente hanno nuovamente denunciato il fatto che il Pnacc non sia stato considerato nemmeno all’interno della legge di bilancio relativa al 2025: «L’Esecutivo non ha messo in campo strategie di prevenzione – ha dichiarato Legambiente – e soprattutto non ha stanziato le risorse economiche necessarie per attuare le azioni prioritarie del Pnacc, il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, che ad oggi risulta essere una scatola purtroppo vuota».
Anche a domanda diretta, il governo non ha rilasciato aggiornamenti in merito. A novembre 2024 la testata online Il Bo Live, dell’Università di Padova, aveva infatti rivolto un quesito sull’avanzamento del Pnacc al dipartimento per l’Energia del ministero dell’Ambiente, senza ottenere alcuna risposta. L’intento del giornale era quello di capire se l’immobilità fosse reale o soltanto apparente e, al contempo, provare a sciogliere uno strano circolo vizioso.
Il Pnacc prevede infatti, tra le altre cose, la creazione di un Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, composto dai rappresentanti delle Regioni e delle rappresentanze locali. Nella versione definitiva del Piano si scriveva che «a seguito dell’approvazione del Pnacc si procederà con l’istituzione del Comitato e della Segreteria dell’Osservatorio, che sarà effettuata con decreto del Ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica, da emanare entro tre mesi dal decreto ministeriale di approvazione del Piano».
Il decreto, come abbiamo visto, è datato dicembre 2023. Ma la lentezza potrebbe non essere l’unico problema: per assurdo, come aveva spiegato Sofia Belardinelli su Il Bo Live, «il Pnacc non può essere realizzato senza che venga istituito il suddetto Osservatorio ma al tempo stesso l’istituzione dell’Osservatorio “potrà realizzarsi con il presupposto di un’adeguata copertura economica”, di cui lo stesso l’Osservatorio avrebbe il compito individuare la fonte».
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