“Mura mura” è quella saggezza lenta che consente di apprezzare le piccole cose della vita che in realtà sono grandi, ma vengono sottovalutate perché tutti i giorni si trovano sotto i nostri occhi. L’espressione arriva dal Madagascar ed è a questo significato profondo che Guido Martinetti si è ispirato quando nel 2008 ha aperto la sua azienda agricola a Costigliole d’Asti, chiamandola proprio con questo nome. Del resto le roi dei gelati, che a partire dagli inizi del Duemila ha rivoluzionato l’espressione di quest’arte accendendo un faro importante sulla sua produzione e sul mondo dell’agricoltura a essa connessa, proprio di quella saggezza lenta fa tesoro in ogni sua espressione.
Torinese, classe 1974, Martinetti ha alle spalle studi di enologia e agraria, l’impero Grom fondato nel 2003 con il compagno di scuola e di militare Federico Grom, pensieri e visioni che negli anni lo hanno portato ad aprire non solo un’azienda agricola in Piemonte, ma, nello stesso luogo, anche una cantina, un relais e un ristorante.
Appassionato di arte, sport, bellezza ed enogastronomia, Guido Martinetti è oggi un produttore di vino del Monferrato che si dedica all’ospitalità e che continua, seppur in altro ambito, a divertirsi realizzando gelati. «Ho avuto una grande fortuna – racconta – che è stata quella di avere un padre innamorato del cibo e del vino: questo è stato sin da quando ero piccolo l’unico canale di dialogo con lui. Non possedeva né cantina né vigne, ma era già all’epoca un grande gastronomo e il mio sogno da sempre è stato quello di produrre vino e possedere vigneti: non a caso forse, a nove anni, presi la mia prima sbronza con un Sauternes, Château Filhot».
Gli studi a Milano, le prime esperienze a fianco del padre che commercializzava vino, quella passione/ossessione per gli uomini dalla grande anima e dalle grandi visioni: primo tra tutti quell’Angelo Gaja fonte per lui di massima ispirazione. «Ho letto due libri per tre volte nella mia vita: “Il Piccolo Principe” di Antoine de Saint-Exupéry e “Sorì San Lorenzo, Angelo Gaja e la nascita di un grande vino” di Edward Steinberg. Il 10 agosto del 2002 (giorno di san Lorenzo, ndr) ero a visitare proprio quel cru e quel giorno ho anche letto un articolo di Carlin Petrini su La Stampa dedicato a come non esistesse più il gelato di un tempo: da lì l’idea che sarebbe stato bello applicare l’ossessione e la capacità narrativa di Gaja, ma anche l’approccio alla qualità agricola al mondo della gelateria: era nato il progetto Grom».
Il resto è storia ormai nota: nel maggio 2003 Guido Martinetti e Federico Grom aprono in piazza Paleocapa a Torino una gelateria di venti metri quadrati, investendo 32.500 euro a testa. Grom diventa un marchio di gelato mondiale: «La nostra forza – aggiunge Martinetti – è sempre stata quella di voler investire tutti i guadagni nell’azienda. Nel 2008 abbiamo acquistato dei terreni e fondato Mura Mura perché non ci interessava l’estetica dei frutti sul mercato, ma cercavamo gusto e acidità per i nostri sorbetti».
Grom negli anni arriva ad avere 96 negozi nel mondo e un migliaio di dipendenti tra stagionali e a tempo indeterminato: nel 2015 viene venduta a Unilever e con il ricavato Guido Martinetti e il socio di sempre, Federico Grom, investono al confine con la Langa, aprendo nel 2017 la cantina e comprando nuovi terreni a fianco di quelli dell’azienda agricola: oggi possiedono trenta ettari, di cui undici vitati e ancora quel frutteto sperimentale che vanta cento piante di varietà diversa. A questi si aggiungono, nel 2019, tre ettari a Barbaresco e uno a Barolo, oltre alla licenza per produrre anche questi vini a Costigliole d’Asti.
«Faccio il vino con il cuore e il gelato con la testa – ama ripetere – ma sono rimasto la persona di sempre: un entusiasta che ama gestire i dettagli, sono una persona buona anche se impaziente e poco tollerante, ma onesta e che non tradisce mai. Da tre anni ho deciso di aprire sempre all’interno della tenuta Mura Mura un ristorante, Radici, e da due anni un relais, Le Marne».
Luogo dell’anima, nella sua interezza, la struttura ospita tra vigneti e frutteti La Dimora dei Poeti, con cinque stanze dedicate a grandi autori piemontesi, e La Dimora degli Artisti, con otto camere dedicate ad altrettanti artisti contemporanei. A queste si aggiungono un’area benessere, una palestra, una piscina coperta di 25 metri e la Casa sospesa tra le vigne: suite a cinque metri da terra circondata da gelsomini.
E seppur il gelato resti una grande passione, il vino è il primo amore di Martinetti e tra i preferiti c’è quel Grignolino che Luigi Veronelli amava definire anarchico e testa balorda. «Questo vino – spiega il fondatore di Grom – ha una complessità pazzesca e una grande personalità, vera caratteristica capace di fare la differenza tra i tanti ottimi vini del giorno d’oggi. Bisogna riuscire a cantare fuori dal coro, a valorizzare quel tannino presente ma setoso e quel mix di spezie al naso che ti riportano al Syrah e al Pinot Nero. Ricordando Veronelli – aggiunge – penso che tutte le uve siano anarchiche e testa balorda se non coltivate con sacrifici. All’epoca il concetto di rese basse non era da prendere in considerazione e sono, per l’epoca, aggettivi quindi coerenti. Quando fai tanti sacrifici in vigna, cordolando (il lavoro manuale con il quale si avvolge il germoglio intorno all’ultimo filo della spalliera, per non dover cimare a macchina) e scarzolando (ovvero togliendo tutti i germogli verdi sul ceppo della vite, in modo che non tolgano “alimento” alla pianta), ottieni contesti diversi che rendono l’anarchico, si potrebbe dire, rispettoso del contesto sociale nel quale vive, mentre la testa balorda diventa una testa autonoma ancora più importante. La mia grande ammirazione – prosegue – è per Walter Massa, che considero uno dei miei mentori: spero di riuscire a fare con il Grignolino quello che lui ha realizzato con il Timorasso».
Del resto, la mente illuminata e costantemente in movimento di Martinetti ha da sempre un obiettivo: incontrare grandi personaggi del mondo. «Adoro incontrare persone capaci di insegnare qualcosa. Non avendo avuto da piccolo un padre molto presente il concetto del mentore mi muove e mi affascina in termini assoluti. Che sia un liutaio fiorentino, un artigiano che realizza scarpe nel Nord dell’Inghilterra, un premio Nobel per la pace: sono persone che ho incontrato la cui grandezza non è per forza la notorietà, ma è gente che possiede un’anima vibrante in grado di illuminare con la loro conoscenza».
Numerose anche le persone che hanno segnato la sua crescita personale e professionale: «Carlin Petrini (da cui nasce l’idea di Grom); Paul Pontallier, leggendario enologo di Margaux; un produttore di meloni di Hokkaido che ne coltivava quattro per pianta e li girava ogni giorno di un ottavo, per farli maturare, sopra un cuscino di polistirolo, lui mi ha insegnato che tutto è possibile. E poi mia mamma, ovviamente, e il mio amico Federico Grom».
E sempre con Grom ha avviato un progetto legato al mondo del gelato completamente diverso dal precedente. Lanciato ad aprile dello scorso anno riguarda la creazione e la vendita di un gelato a basso contenuto calorico che nasce da una richiesta del pilota di F1 e amico Charles Leclerc e realizzato in collaborazione con Nicolas Todt. Si chiama Lec, è venduto in grande distribuzione ed è attualmente prodotto in cinque gusti: Vaniglia (Vanillove), Caramello salato (Salty Carammmel), Pistacchio (Swirly Pistachi-oh!), Carmello e arachidi (Peanut caramel tango), Cioccolato (Chocolate Crunch). «Siamo partiti con la vendita in Italia e Francia, ma quest’anno raggiungeremo anche Regno Unito e Svizzera. Per quanto riguarda i gusti stiamo per licenziarne altri due: Cookies & Cream, realizzato con i biscotti che produce nell’albese Domenico Musso, e Speculoos, ispirato ai biscotti del Nord Europa caratterizzati da cannella e spezie», spiega Martinetti.
Il gelato pensato anche per gli sportivi richiama alla mente una delle passioni di Martinetti, lo sport, che si affianca a enogastronomia e bellezza. «Amo moltissimo nuotare – spiega – e lo sport serve per drogarmi nel senso pulito della parola, mi aiuta a pensare, a isolarmi e lo pratico da quando ero piccolo e gareggiavo nella nazionale di triathlon juniores. La bellezza è declinata alla natura, all’agraria, all’arte e per me sono permeati di uguale fascino un grande piatto, la potatura di un gelso da seta, una mostra di Picasso. La bellezza del resto, come diceva Gianmaria Testa, esiste e non ha paura di niente, neanche di noi e della gente».
E poi c’è l’enogastronomia che per Martinetti è la storia dell’uomo, ma anche della povertà. «Basti pensare ai tajarin piemontesi realizzati con quante uova erano a disposizione delle galline in cortile, del recupero del burro dalla carta, come faceva mia nonna per condire la pasta, del fegato che si manteneva meno del filetto e per questo era destinato ai poveri, o delle grive preparate con le bacche di ginepro per mascherare odori non proprio impeccabili». Questa filosofia legata alla cucina povera, alla conservazione e al recupero è alla base del ristorante Radici che dal mese di marzo vedrà la cucina guidata da uno chef ucraino: «Lo annunceremo – conclude Martinetti – durante il prossimo congresso di Identità Golose a Milano: è un cuoco gentile e fuori dal coro, dalla grande positività e profondamente diverso rispetto alla musica che ultimamente si suona nel mondo degli chef».
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