La guerra è finita. O quanto meno è sospesa. I disperati tornano a casa. Il dato diffuso da fonti palestinesi: sono un milione coloro che a piedi, in auto, ma anche su carri trainati da cavalli, si stanno spostando verso il Nord della Striscia di Gaza, per raggiungere le proprie abitazioni dalle quali erano stati costretti a fuggire. Ieri sera circa 300mila avevano completato la marcia. «Non sappiamo se esistono ancora le nostre case, forse troveremo solo macerie e i cadaveri dei nostri familiari» dicono in tanti. Devono superare il Corridoio Netzarim, dove fino a ieri mattina sono rimasti bloccati. Israele contestava il mancato rispetto degli accordi da parte di Hamas, che non aveva ancora liberato una delle civili in ostaggio, Arbel Yehud, 29 anni. Domenica sera, dopo una sfiancante trattativa, l’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu ha annunciato: Hamas rilascerà Arbel, la militare Agam Berger e un terzo ostaggio giovedì, altri tre sabato, per questo sarà consentito ai palestinesi di andare verso Nord. L’apertura è avvenuta alle 7 (ora locale) per le migliaia di profughi che si sono spostati a piedi, alle 9 per chi invece si muoveva in automobile. Ci vorranno giorni per completare questo esodo in senso inverso.
Intanto, si sta riorganizzando la missione europea di supporto per la sicurezza nella Striscia, in particolare a Sud, a Rafah, dove c’è il varco che porta in Egitto. Vi parteciperanno anche sette carabinieri italiani. Spiega il ministro degli Esteri, Antonio Tajani: «La missione militare che andrà a fare azione di controllo a Rafah partirà da Vicenza con un volo militare. Ci sono italiani, spagnoli e francesi». Più nel dettaglio: il Consiglio Affari Esteri dell’Unione europea ha annunciato la riattivazione della missione Eubam-Rafah, conosciuta come European Union Border Assistance Mission, presso il valico. L’Italia ha un ruolo cruciale, con il sostegno di Tajani e del ministro della Difesa, Guido Crosetto. Nella Striscia stanno entrando anche i camion con gli aiuti. Fanno sapere dall’Unicef: abbiamo accelerato la distribuzione di forniture e servizi ai bambini con oltre 350 camion entrati nella prima settimana del cessate il fuoco: portano acqua, kit igienici, trattamenti contro la malnutrizione, vestiti pesanti, teloni e altri aiuti umanitari fondamentali. Speranza. Dopo la tensione di domenica, quando decine di migliaia di disperati sono stati bloccati dall’esercito israeliano che ha impedito loro di spostarsi verso Nord, nella giornata di ieri qualcosa è cambiato, anche se tutti sono consapevoli che il cessate il fuoco – a Gaza come in Libano – si poggia su un equilibrio molto delicato. Hamas in una nota ha scritto: una nostra delegazione è arrivata al Cairo per discutere l’applicazione dell’accordo sulla cessazione del fuoco e di come possa portare alla fine della guerra.
Mentre il confronto prosegue si sviluppa la marcia verso Nord dei palestinesi della Striscia di Gaza. Le operazioni sono lente perché tutte le automobili vengono controllate, una ad una, per verificare che non trasportino armi o esplosivi. Nei posti di blocco sono schierati contractor egiziani e operatori di una società di sicurezza statunitense. Ai passeggeri viene chiesto di scendere e a quel punto entrano in azione gli scanner. Racconta Time of Israel: «Vengono controllati venti veicoli ogni quaranta minuti. Il ritmo degli ingressi resta estremamente lento. Per le migliaia di veicoli in fila in attesa del permesso di tornare nel Nord di Gaza il processo potrebbe richiedere giorni». Tra chi si sposta a piedi o con i carri, molti si trascinano con valigie, zaini, sacchi pieni delle poche cose che sono riusciti a salvare. Ci sono donne, anziani, bambini.
LE DUE IMMAGINI
Il corrispondente di Al Jazeera racconta che tra chi è riuscito ad arrivare nell’area settentrionale alcuni hanno deciso di tornare indietro: «Un gruppo di civili che hanno completato il viaggio di ritorno verso il Nord non hanno trovato altro che distruzione. Lì avevano proprietà e attività personali, ma ora non hanno più un riparo adeguato». Racconta all’Ansa Mohammad Almajdalawi, 47 anni, che durante gli attacchi dell’Idf si era dovuto spostare nel Sud di Gaza, nel campo di Deir al-Balah: «Molti palestinesi camminano a piedi e ritornano verso l’ignoto, la fame, la sete, le case distrutte, l’addio ai propri figli e genitori. Verso la loro sepoltura». C’è un acuto contrasto tra le immagini dall’alto di centinaia di migliaia di disperati in marcia, con abiti sdruciti e la sofferenza impressa nei volti, e le coreografie organizzate da Hamas, durante il rilascio degli ostaggi, con la folla festante e i pick-up nuovi fiammanti.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link