L’arrivo è previsto per questa mattina intorno alle 8. A quell’ora il pattugliatore della Marina Militare Cassiopea approderà nel porto albanese di Shengjin per poi procedere allo sbarco di 49 migranti raccolti nei giorni scorsi in acque internazionali a sud dell’isola di Lampedusa. Si tratta della terza missione che il governo italiano compie in Albania dopo il fallimento delle prime due, a ottobre e novembre dello scorso anno, concluse entrambe con il trasferimento in Italia dei primi 24 migranti subito liberati dai giudici della sezione immigrazione del tribunale di Roma che non hanno confermato il fermo inizialmente disposto dal Questore di Roma.
Questa volta il gruppo di migranti è formato bengalesi (in maggioranza), egiziani, ivoriani e gambiani, selezionati per essere sottoposti alla procedura accelerata di frontiera prevista per chi proviene da Paesi sicuri e non ha consegnato documenti di identità. Nell’hotspot di Shengjin i richiedenti asilo – tutti provenienti dalla Libia -, saranno identificati e faranno uno screening medico approfondito (se saranno riscontrate condizioni di vulnerabilità verranno portati in Italia come è avvenuto in qualche caso nei due precedenti trasferimenti in Albania). Saranno quindi trasferiti nell’altro centro sottoposto alla giurisdizione italiana, quello di Gjader, ad una ventina di chilometri di distanza, sulla base del trattenimento disposto dal questore di Roma. I giudici della Corte d’appello della Capitale dovranno poi decidere, nel giro di 48 ore, se convalidare o meno il trattenimento. Entro giovedì, dunque, dovrebbe esserci il responso. Nelle altre occasioni i magistrati hanno sospeso la convalida per tutti i migranti trattenuti, che sono stati quindi portati in Italia.
Con la missione di oggi il governo tenta quindi ancora una volta di far decollare l’accordo siglato un anno fa dalla premier Giorgia Meloni con l’omologo Edi Rama. Secondo quanto stabilito i migranti sono maschi, adulti, non vulnerabili e provenienti da uno dei Paesi sicuri indicati nella lista contenuta nel decreto approvato dal governo un paio di mesi fa. Nel centro di Gjader i migranti rimarranno in attesa di conoscere il loro futuro, cosa che dovrebbe avvenire entro giovedì con un pronunciamento dei giudici della Corte d’appello della Capitale che dovranno decidere se convalidare oppure no il fermo nel corso di un’udienza in teleconferenza.
Una decisione che, rispetto al passato, non spetta più alle toghe della sezione immigrazione del tribunale come era in precedenza dopo il cambio impresso dal governo con una norma inserita nel decreto flussi lo scorso dicembre. Il tutto in attesa della decisione della Corte di giustizia europea che il prossimo 25 febbraio dovrebbe pronunciarsi su una serie di ricorsi in materia di Paesi sicuri.
Il governo è fiducioso dopo che lo scorso 19 dicembre la Cassazione gli ha riconosciuto il diritto di stabilire un regime differenziato delle domande di asilo per chi proviene da Paesi designati come sicuri. E dunque il giudice «non può sostituirsi» al ministro degli Esteri. Può tuttavia valutare se la designazione è legittima ed eventualmente disapplicare il decreto sui Paesi sicuri. Ovvero caso per caso.
L’avvio del terzo viaggio nel paese delle Aquile ha suscitato la reazione delle opposizioni. Per il leader del M5S Giuseppe Conte la «presidente del consiglio ci racconta delle frottole». «Questo è il blocco navale, siamo in questi primi giorni del 2025 a +135% di sbarchi, sono arrivati 3074 migranti contro i 1305 del gennaio dell’anno scorso, e questo nonostante lo spot da quasi un miliardo di euro che il nostro governo ha girato in Albania, stanno fallendo laddove hanno preso in giro gli italiani e dicono che hanno una soluzione».
Dello stesso tenore anche il deputato Riccardo Magi: «Assistiamo incredibilmente a un governo che forza la mano senza attendere la pronuncia della corte di giustizia dell’Unione Europea – ha detto il segretario di +Europa -, che avrebbe dovuto dare un elemento di chiarezza interpretativo definitivo: in pratica, siamo di fronte a un nuovo tentativo dell’esecutivo di andare allo scontro con la magistratura».
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