«Ricordo perfettamente il brivido lungo la schiena quando suonai la campana di Piazza Affari al debutto». Sono passati esattamente 10 anni da quel 29 gennaio 2015 quando Iwb (Italian wine brands), grazie alla spac innovativa “Ipo Challenger” promossa dalla Electa di Simone Strocchi, fece l’ingresso in Borsa, prima azienda italiana a scegliere il mercato finanziario, seguita poi solo da Masi.
In questo tempo il valore del titolo Iwb è più che raddoppiato e l’azienda, che non ha terreni propri, ma ha il quartier generale, cantine e stabilimenti tra Verona e Vicenza, ha raggiunto un fatturato di 400 milioni di euro, con la produzione di 160 milioni di bottiglie e una marcata vocazione all’export, che rappresenta oltre l’80% dei ricavi in 90 Paesi. Presidente e ad di Iwb era nel 2015, quando suonò la campana di piazza Affari, il manager trentino Alessandro Mutinelli. Che ancora oggi è saldamente al comando del gruppo vitivinicolo, uno dei tre più importanti operatori del settore in Italia.
Presidente la festa per i 10 anni della quotazione in Borsa è l’occasione adatta per fare un bilancio. Come sono andate le cose?
«È stata una sfida con tante incognite. Poteva essere molto difficile conquistare la fiducia degli investitori, visto che prima di noi nessun imprenditore del vino aveva scelto la strada della Borsa. Ma abbiamo raggiunto i risultati che avevamo promesso. In Borsa siamo entrati con l’obiettivo di rappresentare un soggetto consolidatore nel mondo del vino, siamo infatti partiti dall’unione di Giordano vini e di Provinco Italia. Negli anni siamo cresciuti con cinque acquisizioni (Svinando, Raphael Dal Bo, Enoitalia, Enovation Brands, Barbanera). Iwb rappresenta un esempio di come la finanza, abbinata a capacità e visione imprenditoriali, consenta di accelerare la crescita. Oggi siamo una vera public company, con migliaia di azionisti. Puntavamo a fare un gruppo di almeno 400 milioni di fatturato, partendo da 140 milioni e ci siamo riusciti già nel 2021. La fedeltà di tanti investitori sarà premiata con un dividendo straordinario di 0,5 euro per azione (l’assemblea è chiamata a deliberarlo oggi, ndr). E prevediamo pure un riconoscimento per i nostri collaboratori».
Avete raggiunto traguardi importanti, ma adesso quali sono gli obiettivi? Su cosa state lavorando?
«Quando abbiamo deciso la quotazione, a partire dal 29 gennaio 2015, volevamo arrivare in cima ed era il progetto Iwb. Ma quando sei in cima, vedi che ci sono altre montagne più belle, da scalare. E così il viaggio deve continuare. Fuor di metafora, diciamo che ci sono alcuni mercati da aggredire, penso agli Stati Uniti e all’Italia dove non abbiamo mai davvero posto il focus. Ci piacerebbe ottenere una spinta più forte sui brand di gruppo e sui quali intendiamo investire ancora più risorse. La base produttiva e industriale ce l’abbiamo, adesso sviluppiamo l’attività di sales marketing. E poi c’è da giocare la partita Prosecco, del quale siamo i secondi produttori».
Proseguirete anche nella politica delle acquisizioni? È realistico attendere sviluppi già nel 2025?
«Il mercato italiano è estremamente frazionato e tenuto conto della contingenza nazionale con i consumi che stanno soffrendo, ci saranno occasioni per comperare cantine o società, sia in Italia che all’estero, forse già entro l’anno. Siamo molto attenti a cosa acquistiamo, devono essere realtà che hanno un senso commerciale e industriale».
Il mercato del vino fa fatica. È un fenomeno che vi preoccupa?
«Notiamo un calo nei mercati tradizionali, come Italia, Francia, Spagna, ma nel contempo una crescita negli Stati Uniti e in tutto il mondo che si è aperto. Altri mercati, invece, come Germania e Regno Unito, sono stabili. I motivi della flessione? Il principale è l’inflazione: incide la perdita di potere d’acquisto dei consumatori, i redditi restano invariati, ma i prezzi sono saliti, in particolare in Italia ma non solo. Conta poi il cambio di attitudine del consumo, con il fenomeno Prosecco e l’esplosione delle bollicine a scapito dei rossi. Infine la maggiore attenzione al salutismo e l’impatto delle campagne sull’alcol alla guida e le norme del Codice della strada».
Ma c’è una via d’uscita? I consumi torneranno ad aumentare?
«Il vino rappresenta uno stile di vita del mondo occidentale, che ha conquistato quote di mercato anche fuori dai Paesi tradizionali. Tutti festeggiano con una bottiglia di vino o di spumante, non certo con una lattina di Coca Cola. Nel momento in cui ci saranno condizioni economiche migliori, il trend delle vendite tornerà positivo».
C’è qualche mercato estero che vedete come una possibile nuova frontiera?
«Intanto c’è da dire che il 50% del vino italiano va in soli quattro Paesi: Stati Uniti, Germania, Regno Unito e Svizzera, quindi è fondamentale consolidare le posizioni. In generale, la Cina è stata una promessa non mantenuta, anche i cinesi sono diventati importanti produttori di vino e tendono a bere i loro bianchi e rossi. Ma tanti Paesi messi insieme possono creare fatturato. L’Est Europa, per esempio, va bene, sono popolazioni che hanno aumentato il reddito medio, che apprezzano la cultura legata all’enogastronomia italiana. Ci sono infine segnali interessanti dall’Africa».
I dazi ipotizzati dalla nuova amministrazione americana sembrano uno spauracchio per la nostra economia. È davvero così?
«I dazi non fanno mai bene, vediamo cosa accade. Magari Trump ci risparmia anche stavolta. Ma le tariffe fanno aumentare i prezzi e quindi portano inflazione. Penalizzerebbero i consumi in un momento in cui anche gli Stati Uniti soffrono con il caro vita».
Qualcuno dice che la crisi del vino è dovuta anche alla freddezza dei giovani. Condivide questa analisi?
«A 18, 20 anni non ci pensavamo nemmeno noi a bere vino. Ci si arriva a una certa età, è un prodotto complicato, fatto di scoperte. C’è una moltitudine di etichette, un giovane difficilmente riesce a scegliere con cognizione di causa. La comunicazione del vino, fatta a volte in modo escludente, non ha giocato a favore dei giovani».
Nella partita dei dealcolati Iwb conta di esserci?
«Non possiamo non esserci, ma è necessario presentare al consumatore un prodotto di qualità. Noi ci abbiamo lavorato parecchio e i risultati li abbiamo ottenuti. I dealcolati possono essere una nicchia, una valida alternativa per chi deve guidare un mezzo, o per chi segue precetti religiosi o convinzioni salutistiche».
Il gruppo Iwb è molto radicato nel Nord Est. Cosa significa per voi questo territorio?
«Se dovessi ripartire ripartirei dal Veneto e dal Friuli, da dove viene buona parte del nostro Prosecco. Tra Verona e Vicenza abbiamo stabilimenti e uffici. Per noi è un’area irrinunciabile, importantissima». —
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