Mediobanca boccia l’ops di Mps: è ostile, fortemente distruttiva di valore e ci sono interessi intrecciati di Caltagirone e Delfin

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Il cda di Mediobanca boccia senza condizioni l’ops presentata da Mps. Il board si è espresso martedì 28, a pochi giorni dalla presentazione dell’offerta. In chiusura delle contrattazioni il titolo, anche a causa del «no» all’offerta del Montepaschi, ha lasciato sul terreno il 4,36% a 15,78 euro, mentre Mps ha perso un altro 2,45% a 6,21 euro.

Per la banca di Piazzetta Cuccia l’ops «non è stata concordata ed è da ritenersi ostile e contraria agli interessi di Mediobanca». Fermo restando che l’istituto si esprimerà «con le tempistiche, gli strumenti e secondo le modalità previste dalla legge, sulla base dell’analisi del comunicato il cda ritiene l’offerta priva di razionale industriale e finanziario, e dunque distruttiva di valore».

Al momento del voto nel board si sono astenuti i due consiglieri espressione di Delfin, holding della famiglia Del Vecchio che detiene il 20% di Mediobanca, cioè Sandro Panizza e Sabrina Pucci.

Gli intrecci di Caltagirone e Delfin

Nelle argomentazioni a difesa della bocciatura il cda presieduto da Renato Pagliaro e guidato da Alberto Nagel punta l’indice su Francesco Gaetano Caltagirone e Delfin, la holding guidata da Francesco Milleri. «Si segnala – spiega la nota della merchant bank milanese – che l’operazione è caratterizzata dai rilevanti intrecci azionari di Delfin e  Caltagirone che sono presenti: in Mediobanca, dove Delfin detiene il 20% e Caltagirone il 7% (sulla base dello stacco del dividendo di novembre 2024), in Mps, dove Delfin è il primo azionista privato con il 10% mentre Caltagirone detiene il 5% (oltre a detenere il 5% di Anima Holding che a sua volta possiede il 4% di Mps), in Generali, dove Delfin detiene il 10% e Caltagirone il 7%». 

Secondo Piazzetta Cuccia, «la presenza degli stessi azionisti in Mps, Mediobanca e Generali nell’ambito di un’offerta esclusivamente in azioni, configura una potenziale disomogeneità negli interessi rispetto al resto della compagine azionaria».

Il focus sul piano

Piazzetta Cuccia ricorda il percorso industriale in corso e la strategia prevista dal piano 2023/26 One Brand-One Culture. «I risultati dell’esercizio 2023/24 hanno costituito un brillante avvio del piano confermandone gli obiettivi (eps 1,80, Rote 15%, 3,7 miliardi distribuiti agli azionisti in tre anni), la visione e traiettoria basate su: sviluppo prioritario del wealth management,  corporate & investment banking sempre più sinergico con il wealth, internazionale e a basso assorbimento di capitale, contribuzione elevata e sostenibile dal consumer finance e insurance e remunerazione degli azionisti e creazione di valore ai migliori livelli settoriali», spiega la nota.

Perché il no all’ops

L’istituto guidato da Alberto Nagel ritiene che l’ops di Mps «non abbia valenza industriale pregiudicando l’identità e il profilo di business del gruppo  Mediobanca focalizzato su segmenti di attività a elevato valore aggiunto e con evidenti traiettorie di crescita».

L’offerta inoltre per l’istituto distrugge «valore per gli azionisti di Mediobanca e di Mps essendo facile prevedere una copiosa perdita di clienti in quelle attività (quali il wealth management e l’investment banking) che presuppongono l’indipendenza, la reputazione e la professionalità dei professionisti.

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L’ops inoltre sarebbe «negativamente caratterizzata dalla difficoltà a determinare il valore intrinseco dell’azione di Mps che presenta un patrimonio netto che fronteggia rilevanti attività fiscali, attività deteriorate e rischi di contenzioso legale (3,3 miliardi), indicatori di rischio peggiori rispetto alle altre banche italiane, rilevanti perdite pregresse, una marcata concentrazione geografica (70% filiali al centro-sud Italia) e di clientela (piccole media impresa), mancanza di fabbriche prodotto».

Un deal senza razionale industriale

Per Piazzetta Cuccia «l’operazione manca di razionale industriale in quanto comporta: un forte indebolimento del modello di business di Mediobanca focalizzato sui segmenti di attività specializzate e redditizie quali il wealth management e l’investment banking. L’operazione non porterebbe nessun beneficio in questi segmenti, bensì un loro cospicuo deterioramento: l’attività di investment banking a favore delle grandi e medie aziende richiede indipendenza di giudizio e assenza di conflitti di interesse che non si conciliano con una matrice di banca commerciale».

L’operazione inoltre «comporterebbe una immediata perdita della clientela bancaria e finanziaria e di parte di quella large corporate che migrerebbe verso boutique specializzate o banche estere; analogamente, perdite di ricavi e clienti interesserebbero il wealth management e l’investment banking, posti a base del piano di sviluppo del gruppo, anche per l’incertezza che graverebbe sulla capacità della eventuale entità combinata di trattenere i principali clienti». 

La nota di Mediobanca evidenza anche «assenza di apprezzabili sinergie di costo» non avendo i due gruppi sovrapposizioni di reti distributive.

Sul fronte finanziario Piazzetta Cuccia evidenzia che «l’operazione manca di un razionale in quanto comporta un forte pregiudizio al profilo reddituale di Mediobanca e una diluizione dei multipli valutativi dell’istituto per il venir meno della prevista crescita di ricavi e utili, dell’elevata redditività, della pressoché nulla esposizione al segmento delle piccole imprese, della crescita, anche di peso, del wealth».

Quanto alla borsa, «il calo del titolo Mps dopo l’annuncio ne testimonia la fragilità del corso di borsa, che rende improbabile il buon esito dell’operazione; rispetto al prezzo undisturbed di Mediobanca di 15,23 euro alla chiusura del 23 gennaio 2025 l’offerta basata sul prezzo di borsa dell’offerente rappresenta: uno sconto del 3% sulla base del prezzo di Mps del 27 gennaio (6,41 euro), dell’7% guardando alla media trimestrale di Siena (6,15 euro) del 15% sulla media semestrale (5,62 euro) e del 28% sulla media degli ultimi 12 mesi di Mps (4,77 euro). (riproduzione riservata)

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