New York – Metropolitan Opera: La bohème

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Qual è la strada per garantire un futuro all’opera lirica? Bisogna puntare su opere nuove, che raccontino l’oggi, o sui grandi classici del repertorio, capaci di trascendere ogni epoca? A giudicare dal successo della Bohème al Metropolitan, sembra che siano proprio i classici a vincere. La direzione del teatro, nonostante una linea artistica sempre più “contemporaneista,” ne è pienamente consapevole: dal 1900 ad oggi, l’opera è stata rappresentata in ogni stagione, fatta eccezione per nove anni. La recita a cui ho assistito, completamente sold out, segnava la 1401ª rappresentazione, con ulteriori repliche programmate per marzo.

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La Bohème al Metropolitan è sinonimo di Zeffirelli: la sua produzione del 1981 è stata ripresa oltre 500 volte negli ultimi quarant’anni. OperaClick ha recensito questa produzione già quattro volte, la prima nel 2010. All’epoca si pensava che quella fosse l’ultima ripresa dell’allestimento e addirittura si diceva che sarebbe stato distrutto. Tuttavia, come riportava Fabrizio Moschini, il pubblico applaudiva la scena all’apertura del sipario del secondo quadro. Questo avviene ancora oggi, venticinque anni dopo, segno che l’allestimento mantiene intatta la sua forza comunicativa. Personalmente, spero che questa produzione continui a essere riproposta perché non si smette mai di scoprire particolari nuovi, frutto del meticoloso lavoro di Zeffirelli, e fedelmente preservato dalla responsabile della ripresa, Mirabelle Ordinaire.

Yannick Nézet-Séguin, vestito con una camicia blu fluo, ha saputo trarre dalla partitura pucciniana un amalgama sonoro in continua trasformazione, dimostrando una straordinaria sensibilità melodica. Il direttore è riuscito ad entusiasmare l’orchestra e, rispetto ad altre occasioni, ha saputo mantenere un perfetto equilibrio nei volumi, garantendo che i cantanti non venissero mai sopraffatti. Ciò che rende questa serata ancora più particolare è che Nézet-Séguin aveva già diretto un’Aida in una matinée, poche ore prima, sullo stesso podio.

La parte di Mimì era interpretata dalla nostra Eleonora Buratto, già ascoltata da OperaClick a dicembre nel Simon Boccanegra, che ha inaugurato la stagione romana. La Buratto ha dato vita a una Mimì vivace e ingenua, con una voce pulita in tutta l’estensione, acuti grandi e un bellissimo registro grave, brunito e raccolto. Dopo un “Mi chiamano Mimì” corretto ma non entusiasmante, la cantante si è ripresa, mostrando tutto il suo carisma e la sua forza interpretativa già dal finale del primo quadro, per poi arrivare a un ultimo quadro sinceramente toccante.

Rodolfo era interpretato da Matthew Polenzani, già ascoltato l’anno scorso nello stesso teatro in Madama Butterfly  e atteso la prossima settimana a Washington per Vanessa di Barber. Polenzani si è calato perfettamente nel ruolo, incarnando con naturalezza il giovane spensierato nella prima parte e il tragico innamorato nella seconda. La sua voce si è mantenuta sempre ben proiettata, senza apparenti difficoltà nel passaggio di registro, con acuti ampi e sicuri che hanno brillato nei momenti più lirici.

Adela Zahariaha offerto un’interpretazione sfaccettata di Musetta: una soubrette vivace nel secondo quadro, una ragazza determinata nel terzo e una donna sensibile nell’ultimo. David Bizic, dal canto suo, si è immerso completamente nel ruolo di Marcello, mettendo in evidenza un fraseggio raffinato e una bella grana vocale.

Stranamente, uno dei momenti più applauditi dell’opera è stato la “Vecchia zimarra,” interpretata da Jongmin Park nel ruolo di Colline. Il basso coreano aveva guà offerto una buona prova nei brani d’insieme, ma nell’aria ha saputo esprimere una profondità e un’intensità quasi commoventi. Questo risultato è stato anche merito del sensibile accompagnamento di Nézet-Séguin. Spesso sfugge che, nel caos del secondo quadro, Colline acquista la zimarra, la fa riparare da una rappezzatrice e commenta con affetto: “È un poco usato… Ma è serio e a buon mercato…”. Questo dettaglio dà al personaggio un forte legame emotivo con il soprabito, rendendo il momento del distacco ancora più significativo. Sebbene l’accompagnamento musicale abbia in effetti un sottile tono ironico, Park ha giustamente interpretato l’aria con tutta la serietà e il pathos che merita.

Schaunard era interpretato da Alexey Lavrov, chiamato all’ultimo momento per sostituire Sean Michael Plumb. Dal sito del Met risulta che fosse la sua seconda apparizione sul palco del teatro. Questo, insieme al poco preavviso, spiega un inizio incerto, con una sonorità debole nel racconto del pappagallo. Tuttavia, superato l’acuto del “da Socrate morì!”, Lavrov ha affrontato il resto della recita con una vivacità pari, se non superiore, a quella dei suoi colleghi. Infine, tra le altre parti di spalla, ha spiccato Donald Maxwell nella doppia parte di Benoit e Alcindoro, entrambi fatti con la giusta dose di ridicolo e di simpatia. 

Si sono infine mostrati in gran spolvero sia l’orchestra che il coro del Metropolitan, quest’ultimo ben preparato da Michael Tilman. La serata è stata accolta con applausi calorosi e la solita standing ovation d’ordinanza. 

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Il programma di sala del Met ricorda che la prima rappresentazione della Bohème del Metropolitan si tenne a Los Angeles nel 1900. In quell’occasione, la Melba riscosse un tale successo nel ruolo di Mimì che, al termine dell’opera, eseguì come bis la scena della pazzia dalla Lucia di Lammermoor (pratica che la diva beniamina del Met ha mantenuto per tutta la sua carriera).

La recensione si riferisce alla recita del 25 gennaio 2025.

Francesco Zanibellato





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