Considerazioni sulle questioni poste dalla disciplina della legge n. 187 del 2024 in tema di c.d. trattenimento del cittadino straniero

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Di Raffaele Frasca –


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1. Queste note intendono svolgere alcune considerazioni sulle questioni poste dalla disciplina della l. n. 187 del 2024. In relazione ad essa, è stato adottato dalla Prima Presidenza della Corte di Cassazione un decreto urgente, il n. 5 del 2025, recante modifica tabellare, che, sulla base di una certa lettura della legge n. 187 le attribuisce incidenza sull’assetto delle competenze giurisdizionali rispettive della Corte di Cassazione Civile e della Corte di Cassazione Penale e quindi sugli àmbiti delle giurisdizioni civile e penale.

Proprio in ragione di tali implicazioni, chi scrive ritiene opportuno iniziare le proprie considerazioni, ricordando che:  a) sia secondo la disciplina del c.p.c., sia secondo l’art. 59 della l. n. 69 del 2009, sia e soprattutto in base all’art. 111 Cost., le Sezioni Unite Civili regolano la giurisdizione nei confronti delle giurisdizioni speciali salvate dalla Carta Costituzionale (e, dunque, sono competenti ad individuare l’àmbito della giurisdizione civile sotto tale profilo; b) pur non configurandosi, come è pacifico nella giurisprudenza delle Sezioni Unite Civili e delle Sezioni Unite Penali questione di riparto di giurisdizione stricto sensu fra giudice penale e giudice civile, assume particolare rilievo la circostanza che il coordinamento fra la norma dell’art. 24, primo comma, della Costituzione e quella dell’art. 102, primo comma, che allude all’esercizio della funzione giurisdizionale da parte di magistrati ordinari, istituiti e regolati dall’ordinamento giudiziario, rende palese che all’interno dell’unitario plesso giurisdizionale affidato alla Magistratura Ordinaria la competenza sui diritti deve essere divisa nel senso che alla Magistratura ordinaria civile compete tutto ciò che non supponga un “problema penale” diretto od indiretto.

Su quest’ultima considerazione avrò modo di soffermarmi di seguito.

2. Le considerazioni che si verranno svolgendo, lo si sottolinea, non vogliono in alcun modo suonare come critica al suddetto decreto, che, chi scrive ne ha la consapevolezza, si è dovuto adottare in via d’urgenza, attesa la scelta del legislatore di imporre alla nuova disciplina termini stringenti di applicazione, tali da rendere – com’è stato già confermato dall’investitura di un primo ricorso, cui si accennerà – possibile una rapida investitura della Corte.

3.Le considerazioni terranno conto della Relazione n. 1 del 2 gennaio 2025, redatta dall’Ufficio del Massimario e del Ruolo, che è stata funzionale all’adozione del decreto della Prima Presidenza. Formulerò, inoltre, le mie valutazioni anche sulla prima decisione, che, in forza dell’assegnazione, per effetto della modifica tabellare, alla Prima Sezione Penale, si è avuta sul primo ricorso di cui è stata investita la Corte.

La normativa nuova e la competenza.

1.Il primo interrogativo che si pone è se la nuova normativa abbia inciso sulla competenza relativa ai c.d. trattenimenti.

La questione va affrontata necessariamente con riferimento all’insorgenza del procedimento di cui trattasi per come disciplinato quanto al giudice che ne viene investito in sede di giurisdizione di merito.

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Sotto tale profilo il dato certo per l’interprete ai fini della competenza è che certamente si prevede che il giudice-ufficio investito sia la Corte di Appello.

La norma che viene in rilievo, cioè il nuovo art. 5-bis , aggiunto nel d.l. n. 13 del 2017, convertito con modificazioni, nella l. n. 46 del 2017, lo dice nella rubrica, che è appunto intestata “competenza della corte d’appello”[1]. Questo evidenzia, secondo la manifesta intentio legis, che per i procedimenti cui la norma fa riferimento richiamando i loro riferimenti normativi, la nuova disposizione ha inteso dettare una norma sulla competenza.

Senonché, ai fini dell’individuazione del contenuto di tale dato normativo nuovo, fermo che esso evidenzia certamente la creazione di una nuova competenza, è il contenuto della norma somministrata dalla nuova disposizione che deve considerarsi per stabilire che tipo di nuova competenza si sia inteso creare, cioè per determinare il vero oggetto di disciplina della disposizione e, quindi, dare epifania alla norma (secondo la distinzione cara ad una autorevole dottrina).

2.A mio avviso la lettura del contenuto della disposizione – in mancanza di precisazioni da parte del legislatore sulla natura della vicenda che ne è oggetto e, quindi, sulla sua qualificazione all’interno dell’istituto generale della “competenza” – assegna ad essa, quando si debba individuare la norma o le norme che è idonea a somministrare, esclusivamente tre effetti:

a) il primo è che l’evocazione della competenza della corte di appello è idonea a palesare che si è creata una competenza in unico grado, dato che la corte di appello, di regola, è – tanto in àmbito civile che penale – giudice di secondo grado;

b) il secondo, desumibile dal comma 2 della nuova disposizione, è che l’esercizio di questa competenza dovrebbe (spiegherò di seguito il senso di questo condizionale) avvenire, all’interno dell’ufficio indicato come competente, “monocraticamente”;

c) il terzo, rappresentato dal riferimento alla <<corte d’appello di cui all’articolo 5 comma 2, della legge 2 aprile 2005, n. 69, nel cui distretto ha sede il questore che ha adottato il provvedimento di convalida>> è quello di indicare la corte d’appello territorialmente competente.

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2.1. Occorre soffermarsi sul punto c), atteso che la Relazione del Massimario, argomentando che la regola di competenza territoriale è diversa da quella dettata dall’art. 5, comma 2, in relazione al procedimento ivi disciplinato, ha proposto di attribuire al richiamo alla corte di appello di cui a detta norma, che esercita certamente una funzione penale occupandosi della convalida del MAE (mandato di arresto europeo), il significato di avere innovato la competenza precedente del giudice civile sulle varie fattispecie di trattenimenti interessati, demandandola al giudice penale.

Tale conclusione non mi pare in alcun modo fondata.

Queste le ragioni.

2.1.1. Una così rilevante innovazione rimarrebbe affidata ad una previsione del tutto indiretta, ravvisata nella circostanza che si è fatto richiamo ad una corte di appello indicata da una norma disciplinatrice di un procedimento certamente penale.

Senonché, questo procedimento è tale non già per diretta qualificazione discendente dalla norma richiamata, bensì per il suo oggetto. Sotto tale profilo, la norma oggetto di richiamo non è una norma sulla individuazione della competenza penale, ma solo una norma individuatrice, all’interno di una competenza penale emergente aliunde, di una competenza per grado, quella della corte d’appello e di un criterio di competenza territoriale.

Voglio dire, cioè, che l’art. 5, comma 2, non è una disposizione sulla e non somministra la norma attributiva del procedimento alla giurisdizione ordinaria penale.

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La norma che attribuisce al procedimento cui si riferisce l’art. 5 è, al di là dello stesso oggetto di disciplina della legge, che emerge dalla sua intestazione (“Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri”), che già sarebbe rilevante al riguardo, quella dell’art. 1 della legge, che – lo ricordo ha il seguente tenore, sotto la rubrica “Disposizioni di principio e definizioni”: <<1. La presente legge attua, nell’ordinamento interno, le disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, di seguito denominata “decisione quadro”, relativa al mandato d’arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri dell’Unione europea ((…)). 1. Il mandato d’arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell’Unione europea, di seguito denominato “Stato membro di emissione”, in vista dell’arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro, di seguito denominato “Stato membro di esecuzione”, di una persona, al fine dell’esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell’esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale.>>.

È questa la disposizione che somministra chiaramente la norma attributiva alla giurisdizione penale del procedimento disciplinato dalla legge

Attribuire, dunque, al richiamo della competenza della corte d’appello sul MAE il valore di far passare le controversie sul trattenimento dalla giurisdizione ordinaria civile a quella ordinaria penale mi sembra privo di fondamento. L’art. 5 richiamato dal nuovo art. 5-bis è certamente norma sulla competenza, ma lo è all’interno della giurisdizione penale e sotto tale profilo individua solo una competenza di merito in unico grado. Serve ad individuare solo la competenza secondo il criterio del grado e come tale, essendo la nozione del “grado di giudizio” comune sia alla giurisdizione civile che a quella penale, non le si può ascrivere il valore di trasferire una competenza civile alla giurisdizione penale.

Poiché la norma ha chiaramente lo scopo indicato, mi sembra, dunque, assolutamente insostenibile la conclusione della Relazione del Massimario che il richiamo abbia avuto il significato di spostare i trattenimenti di cui si discorre nella giurisdizione penale.

Il fatto che si individui nell’art. 5-bis un criterio di competenza territoriale specifico e diverso da quello previsto nel comma 2 dell’art. 5 della l. n. 69 del 2005 non può essere letto nel senso che sia rimasto fermo un preteso richiamo ad una norma attributiva della competenza penale, giacché una simile norma non c’è nell’art. 5, comma 2. Questa norma è, come ho detto, solo una norma sulla competenza “per grado” che non individua, dunque, essa una competenza della giurisdizione ordinaria penale.

Non è, dunque sostenibile, che l’art. 5-bis abbia spostato la competenza sui trattenimenti dal civile al penale.

2.1.2. Si pone, semmai, per la discutibile fattura della norma, un altro problema, che, peraltro, determinerebbe una conseguenza esegetica che rasenterebbe l’assurdo e che, peraltro, si verificherebbe anche se si reputasse – al contrario di quello che ho sostenuto – lo spostamento della competenza dal civile al penale.

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La previsione del comma 2 di una competenza monocratica allude ad una competenza che non esiste né dinanzi alla corte d’appello penale né dinanzi alla corte d’appello civile.

Sotto il primo profilo, la tesi – adombrata nella relazione del Massimario – che con la disposizione si sia inteso fare richiamo alla competenza monocratica prevista dall’art. 13 della l. n. 69 del 2005 a favore del presidente della corte di appello o di un suo delegato, tanto se si sceglie l’opzione giudice penale quanto se si sceglie l’opzione giudice civile, deve scontare una evidente insostenibilità: il comma 2 dell’art. 5-bis dice che la corte d’appello giudica in composizione monocratica, così alludendo alla decisione finale.

Invece, l’art. 13 prevede una competenza monocratica, ma solo preliminare lato sensu cautelare, atteso che il suo comma 2 prevede che <<Se risulta evidente che l’arresto è stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi previsti dalla legge, il presidente della corte di appello, o il magistrato della corte da lui delegato, dispone con decreto motivato che il fermato sia posto immediatamente in libertà e procede agli adempimenti previsti dall’articolo 10, comma 4-bis. Fuori da tale caso, si procede alla convalida dell’arresto provvedendo con ordinanza ai sensi degli articoli 9 e 10 e all’emissione del decreto di cui all’articolo 10, comma 4, di cui si dà lettura>>.

Ebbene, l’art. 10, comma 4-bis prevede che <<Nei casi in cui la corte di appello non applica alla persona richiesta alcuna misura cautelare, il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, all’esito della deliberazione adottata ai sensi dell’articolo 9, comma 4, fissa con decreto l’udienza per la decisione non oltre i quindici giorni successivi e dispone contestualmente il deposito del mandato di arresto. Il decreto è comunicato al procuratore generale e notificato alla persona richiesta in consegna e al suo difensore almeno cinque giorni prima dell’udienza. Si applicano le disposizioni dell’articolo 702 del codice di procedura penale.>>.

Appare palese che l’art. 13 non può essere una norma di implicito rinvio da parte del comma 2 dell’art. 5-bis: questa norma istituisce la competenza monocratica a decidere su tutto il procedimento e, dunque, vorrebbe che la decisione finale e non quella cautelare sia monocratica.

A questo punto chi scrive – e le considerazioni varrebbero sia per l’opzione penale sia per quella civile – è costretto a prospettare una tesi che nella sua radicalità potrebbe sembrare solo apparentemente paradossale: l’inesistenza di una competenza monocratica decisoria sia della corte di appello civile, sia della corte di appello penale, il fatto che una competenza monocratica di un giudice collegiale esige a monte una previsione che la individui e che, dunque, dovrebbe rinvenirsi o nel c.p.c. o nel c.p.p. o in una legge speciale che la istituisca individuandone i profili ordinamentali, cioè le modalità di designazione presso l’ufficio collegiale dell’assegnazione di competenza monocratica. E poiché nulla di tutto ciò si coglie nella norma del comma 1, che chiaramente mostra di alludere ad una competenza monocratica da desumersi aliunde, si potrebbe reputare che la stessa norma dell’art. 5-bis, pur entrata in vigore, non sia efficace, ma possa divenirlo solo quando il legislatore detterà una normativa istitutiva della competenza monocratica civile o penale di una corte di appello.

La conseguenza sarebbe che l’innovazione legislativa non è ancora applicabile.

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L’incostituzionalità della (negata) previsione di una competenza della giurisdizione penale ai sensi del nuovo art. 5-bis.

1.Faccio questo rilievo per absurdum: se si reputasse che le controversie sui trattenimenti di cui all’art. 5-bis siano state attribuite alla giurisdizione penale, il giudice penale corte d’appello e gradatamente la Corte di cassazione penale, dovrebbero porsi un evidente problema di costituzionalità. Come ho detto nelle premesse, al rapporto fra giurisdizione civile e giurisdizione penale la Costituzione non è – mi pare – indifferente, nel senso che, pur supponendo l’unicità della giurisdizione “ordinaria”, non può dirsi indifferente al riparto delle materie fra il civile ed il penale da parte del legislatore. L’art. 102, primo comma, come ho detto, richiamando l’Ordinamento Giudiziario necessariamente impone al legislatore ordinario di attribuire rispettivamente al giudice penale e al giudice civile ciò che l’Ordinamento Giudiziario come vigente all’atto dell’entrata in vigore della Costituzione attribuiva all’uno o all’altro, inteso, naturalmente non nel senso di fattispecie concrete, bensì di materia emergente dall’assetto del c.p.c. e del c.p.p.

Ebbene, la materia penale, come dice l’aggettivo presupponeva come oggetto della giurisdizione penale all’atto dell’entrata in vigore della Costituzione ciò che il codice di procedura penale allora vigente indicava come tale o direttamente od indirettamente e, dunque, supponeva o la rilevanza della pena e, dunque, del reato (come emergeva dall’art. 1 del c.p.p. Rocco) in via diretta oppure, e penso al versante delle misure di sicurezza (ex art. 633 c.p.p. Rocco), del reato in via indiretta.

I Costituenti, dunque, attraverso la previsione dell’art. 102 hanno sostanzialmente individuato un limite per il legislatore ordinario, nel senso che esso non può attribuire al giudice penale, sebbene giudice ordinario, materie che non siano penali o indirettamente penali secondo il c.p.p. all’epoca vigente (ed eventualmente leggi speciali che facessero ad esso riferimento).

L’introduzione delle c.d. misure di prevenzione con la legge n. 1423 del 1956 bene attribuì la competenza al giudice penale sempre nella stessa logica, giacché non credo sia discutibile che esse, proprio per la loro natura, suppongono che si debba prevenire un reato e, dunque, indirettamente nella loro applicazione impongono al giudice di applicare norme penali.

La stessa cosa dicasi della legislazione successiva che ha mano a mano introdotto misure di prevenzione in àmbiti specifici.

Il Codice di Procedura Penale vigente non sfugge alla logica indicata: basti leggere gli artt. 1 e 4 di tale Codice e considerare che vale sempre il rilievo già fatto per le misure di sicurezza.

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La scelta di attribuire i trattenimenti di cui si discorre al giudice penale si collocherebbe del tutto al di fuori della logica supposta dalla Costituzione. Detti trattenimenti riguardano la rivendicazione di una protezione internazionale ed il giudizio richiesto non suppone in alcun modo l’applicazione di norme penali e nemmeno riguarda norme che vengono in rilievo ai fini dell’applicazione di norme penali.

Si tratta dunque di procedimenti di tutela giurisdizionale che non sembra in alcun modo possibile da parte del legislatore ordinario ascrivere al giudice penale.

Ne segue che la normativa di cui si discorre, se fosse possibile intenderla come attributiva della giurisdizione al giudice penale, risulterebbe incostituzionale per violazione dell’art. 102, primo comma, inteso nei sensi sopra indicati.

È appena il caso di rilevare che si deve sgombrare il campo dalla suggestione che potrebbe assegnarsi all’art. 13 della Costituzione, data la sicura incidenza dei procedimenti di trattenimento sulla libertà personale: è sufficiente rilevare che la norma non comporta che ogni fattispecie di limitazione della libertà personale sia da ascrivere, con riflessi sulla giurisdizione, alla “materia penale”, restando sempre decisivo che la limitazione sia inerente ad essa.

2.A questo punto debbo rilevare che non convince in alcun modo l’approccio con cui la Prima Sezione Penale della Corte di Cassazione (Cass. Pen. n. 2967 del 2025), investita – in base alla modifica tabellare che ho evocato all’inizio di queste considerazioni del primo ricorso pervenuto alla Corte, inerente – si badi – a decisione resa dalla Corte di Appello di Cagliari in sede penale (e, dunque, sull’assunto implicito che vi sia stata attribuzione di competenza alla giurisdizione penale), ha superato la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla parte ricorrente per la (pretesa) trasmigrazione dei procedimenti in discorso dal civile al penale, facendo appello alla nota giurisprudenza costituzionale che da sempre evoca la discrezionalità del legislatore nella regolamentazione della legge processuale: le considerazioni che ho svolto sopra escludono decisamente che quella giurisprudenza possa essere evocata per coprire scelte del legislatore ordinario che attribuiscano alla giurisdizione penale ciò che “penale” nel senso su indicato non è.

Il ricorso per cassazione.

1.La nuova previsione (art. 14, comma 6, d.lgs. n. 286 del 1998 novellato) contro i provvedimenti della corte d’appello ai sensi dell’art. 5-bis sopra considerato del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, lett. a), b) e c) c.p.p. a questo punto, se si condivide che non è stata introdotta la competenza della corte d’appello penale, risulta evidentemente da interpretare nel senso che il legislatore – come accade nel giudizio disciplinare magistrati davanti alle S.U Civili – ha inteso disciplinare il ricorso per cassazione, a livello dei motivi deducibili, secondo il paradigma penale anziché secondo quello civile.

A questo punto, si pone (a differenza di quanto accade per il disciplinare magistrati) un evidente problema di costituzionalità, perché la limitazione dei motivi deducibili alle lettere a), b) e c) confligge in modo manifesto con l’art. 111, settimo comma, della Costituzione. Invero, mentre le lettere a) e b) non pongono problemi in funzione di questa garanzia, la previsione della lettera b) si presenta – come rapidamente ha registrato anche la relazione del Massimario – impraticabile, giacché prevede come contenuto la violazione di norme che certamente il giudice dei trattenimenti non è chiamato ad applicare, dato che non si discute né di norme penali né di norme di cui si deve tenere conto nell’applicazione delle norme penali.

In pratica la previsione della lettera b) non rende concreta la garanzia del ricorso per cassazione ai sensi del settimo comma dell’art. 111 Cost., perché è manifestamente inidonea a coprire il vizio di violazione della legge applicabile nei relativi procedimenti. Mette conto di rilevare che palese è tale impossibilità rispetto alla previsione dell’art. 24 d.lgs. n. 109 del 2006, dove al riferimento alla legge penale si può sostituire – come può riscontrarsi dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite Civili – quello alla legge disciplinare, atteso che la sanzione disciplinare sempre una “pena” è, sebbene non “penale” inerente alla giurisdizione penale.

Da qui la a mio avviso sicura incostituzionalità della previsione limitativa.

2.Si badi che, anche qualora si ritenesse possibile l’opzione di esegesi della competenza della corte d’appello penale, la prospettata questione di costituzionalità non cesserebbe di porsi alla Corte di Cassazione Penale, che, pertanto, a mio avviso, dovrebbe porla.

Ritengo che la Prima Sezione penale, nella decisione che ho citato rivela la motivazione, ha deciso sulla base della questione più liquida, quella della mancanza di motivazione, che ha ricondotto alla lettera c) dell’art. 606 c.p.p.

Il provvedimento tabellare.

1. Rileva chi scrive innanzi tutto che la stessa rilevante importanza delle questioni somministrate dalla novità legislativa in termini di confini fra la giurisdizione civile e quella penale, pur dovendosi affrontare giustamente e con la dovuta urgenza il problema dell’eventuale investitura della Corte riguardo a ricorsi per cassazione conseguenti decisioni rese dalla corte di appello, avrebbe dovuto consigliare il coinvolgimento di tutti i precedenti titolari delle sezioni civili e penali, non trattandosi di questione riferibile solo alla prima sezione civile ed alla prima sezione penale.

2.In secondo luogo, la scelta effettuata nel senso di avallare l’attribuzione alla giurisdizione penale della materia di cui trattasi non pare affatto giustificata al lume delle considerazioni che si sono svolte sopra.

3. In ogni caso, si tratta di scelta che sconta un’evidente inadeguatezza rispetto al problema che si porrà in dipendenza della scelta che ciascuna corte di appello interessata avrà fatto quanto all’esegesi della normativa, tanto più risultando dagli echi di stampa, che gran parte (non quella di Cagliari, sul cui provvedimento ha deciso la Prima Sezione Penale) delle corti di appello interessate si sono ritenute investite nell’àmbito della giurisdizione civile.

In relazione a tale situazione rilevo che non si comprende come, ove un procedimento sia stato deciso ai sensi del più volte evocato art. 5-bis d.l. n. 13 del 2017, convertito, con modificazioni, nella l. n. 46 del 2017, nell’àmbito della giurisdizione civile, evidentemente come processo camerale ex art. 737 e ss. c.p.c. (non vedendosi quale altra forma di trattazione sarebbe possibile), e dunque con un provvedimento civile possa – sebbene iscritto, come doveroso, con  le modalità indicate nel comma 6 nuovo testo dell’art. 14 del d.lgs. n. 286 del 1998 – essere rimesso alla Prima Sezione Penale in forza della modifica tabellare: non è certo ipotizzabile che un affare trattato nel merito come affare civile venga attribuito alla decisione di una sezione penale, sebbene all’esito della disposta modifica tabellare.

Ne discende che il ricorso dovrebbe essere assegnato alla Prima Sezione Civile e questa, attesa la sicura “particolare importanza” delle questioni somministrate dalla nuova disciplina dovrebbe – a mio avviso – rimettere il fascicolo alla Prima Presidenza per l’assegnazione alle Sezioni Unite Civili.

4. Mette conto di rilevare che anche nel caso di trattazione di un procedimento da parte della corte di appello penale e di pervenimento alla cancelleria centrale della Corte, sembrerebbe opportuno che il ricorso sia rimesso dalla Prima Sezione Penale, indicatane come assegnataria, alla Prima Presidente e assegnato alle Sezioni Unite Penali. E ciò, sempre per la particolare importanza delle questioni che pone la normativa qui discussa.

5. Prima della decisione, al fine di scongiurare che le Sezioni Unite Civili e quelle Penali esprimano avvisi diversi, sarebbe opportuna una interlocuzione.

 

[1] Il testo della norma è il seguente: <<1.    Per i procedimenti aventi ad oggetto la convalida del provvedimento con il quale il questore dispone il trattenimento o la proroga del trattenimento del richiedente protezione internazionale, adottato a norma degli articoli 6, 6-bis  e 6-ter del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, e dell’ articolo 10-ter, comma 3, quarto periodo, del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero , di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, nonché per la convalida delle misure adottate ai sensi dell’articolo 14, comma 6, del decreto legislativo n. 142 del 2015  è competente la corte d’appello di cui all’articolo 5, comma 2, della legge 22 aprile 2005, n. 69, nel cui distretto ha sede il questore che ha adottato il provvedimento oggetto di convalida. 2.  Nei procedimenti di cui al comma 1, la corte d’appello giudica in composizione monocratica.>>





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